Quanto un videogioco riesce ad influenzare la percezione del mondo che abbiamo? Quanto l’esperienza videoludica può segnare il carattere, il modo di pensare, la visione del mondo di un videogiocatore? Qual è il rapporto di un videogiocatore rispetto a un ideale “standard umano di percezione della realtà”?
Capita molto spesso, a qualunque videogiocatore, sia a quelli più casual che a quelli hardcore, di trovarsi a parlare con altre persone che condividono la loro stessa passione. Al di là della maggior facilità comunicativa derivante da un lessico gergale condiviso, non è insolito sentire usare elementi proveniente dai videogiochi come paragoni per esprimere concetti che con i videogiochi non hanno nulla a che fare.
Chiunque si senta o sappia di essere un videogiocatore non avrà alcuna difficoltà a fermarsi un istante e a ripensare a un episodio in particolare in cui ha usato un elemento di un videogioco per descrivere qualcosa che non abbia nulla, proprio nulla a che fare con il mondo videoludico.
Così come la maggior parte delle esperienze di una vita intera, anche i videogiochi influenzano le metafore lessicali, il modo di pensare e anche gli schemi cognitivi di una persona, entrando a far parte del sistema di filtri e mappe concettuali che il nostro cervello impiega per permetterci di comprendere la realtà.
La realtà che ogni essere umano vive e che comprende non è quindi altro che la somma delle sue esperienze, delle sue conoscenze e del risultato dei ragionamenti che il suo cervello riesce a elaborare quando si trova davanti qualcosa che non gli è familiare, noto o immediatamente conoscibile. Di fronte a questa considerazione, che per semplificare il discorso prenderemo come vera, qual è la porzione della percezione che un videogiocatore ha della realtà quotidiana che è stata modificata dalla sua esperienza con i videogiochi?
Fermiamoci per un istante a un livello di riflessione estremamente basilare e banale: la routine quotidiana. Prendete in considerazione la vostra personale quotidianità, l’insieme di azioni che eseguite giornalmente e sempre e dividete ogni singola azione. Ripensando a ognuna di queste azioni, provate a enumerare le volte che un dettaglio vi rimanda a un’esperienza videoludica o ve la ricorda, o ve la fa sembrare analoga a qualcosa di già visto in un videogioco. Quanto sarebbe diverso il vostro mondo, la vostra realtà, se non aveste mai giocato al videogioco a cui stavate pensando?
Se ipotizzassimo di poter rimuovere dalla memoria una parte circoscritta e ben definita, quella inerente all’esperienza videoludica, quanto varierebbe lo schema con cui il cervello spiegherebbe quell’azione? Quanto cambierebbe l’azione stessa, nel modo in cui viene eseguita o nel risultato che va a cercare?
Contemplando questo semplice e banale schema su una scala più ampia, prendendo quindi non più la sola routine quotidiana come riferimento ma un’intera esistenza, sorge spontaneo un altro ragionamento. Se le esperienze vissute nei videogiochi sono fra gli elementi che determinano la percezione umana della realtà e quest’ultima è alla base del processo di interazione con ciò che circonda l’essere umano, di conseguenza l’esperienza videoludica influenza, in misura variabile, le azioni che compiano ogni giorno.
Verosimilmente, questa singola influenza ha una carattere puramente marginale nel complesso totale di esperienze che contribuiscono alla percezione della realtà, tuttavia c’è. Ammettere questo, significa che un’esperienza simulata, non reale perché non vissuta direttamente dall’individuo ma assorbita attraverso un medium esterno, è in grado di influenzare in maniera consistente il cervello umano, portandolo ad arricchire il proprio spettro conoscitivo e introducendo ragionamenti che normalmente non sarebbe alla sua portata acquisire perché frutto di un’esperienza che nella realtà non potrebbe vivere.
Prendiamo ad esempio l’esperienza vissuta da un giocatore che si confronti con un videogioco in cui viene proposta una versione del mondo totalmente differente rispetto a quello reale, con regole fisiche diverse, logiche totalmente divergenti da quelle naturali o comuni. Supponiamo inoltre che l’esperienza di gioco sia particolarmente immersiva e che “alleni” il cervello del giocatore a ragionare fuori da schemi convenzionali e lo porti a riflettere secondo canoni del tutto nuovi.
Considerando la capacità di esecuzione di calcoli estremamente complessi del cervello umano e la quantità di interazioni per secondo che questo ha con le sue componenti, non è difficile immaginare che se una porzione anche minima dell’esperienza videoludica vissuta nel mondo fittizio del videogioco è rimasta nel giocatore, i dati di questa saranno scorporati e impiegati in futuri ragionamenti atti a “decodificare” anche il mondo reale.
In sostanza, seppure la realtà al di fuori del videogioco è rimasta invariata, il videogiocatore di questo esempio avrà ampliato la propria capacità di percepirlo, essendosi abituato a ragionare fuori dagli schemi comuni e affronterà le interazioni quotidiane, di qualunque tipo esse siano, in un’ottica e con una logica diverse, verosimilmente più ampie.
Ovviamente, quella illustrata fino a qui è un’ipotesi portata al suo estremo. Sono molti i fattori che non vengono tenuti in considerazione. Lo studio delle conseguenze dovute all’esperienza fatta in un mondo simulato che sia del tutto divergente da quello reale ma parimenti immersivo non è così immediato come nell’esempio, tuttavia vuol essere sprone per una riflessione.
Quanto il videogiocatore è influenzato dalle esperienze più disparate che ha vissuto attraverso i videogiochi? Quelle più assurde e lontane dal mondo reale, quanto hanno inciso sulla sua percezione, sul modo di porsi rispetto agli stimoli e alle sensazioni della sua quotidianità? Infine, ma certamente più importante di tutte le altre domande, l’esperienza simulata acquisita, ha ampliato o a ristretto la sua capacità di interagire con il mondo che lo circonda?
This post was published on 18 Ottobre 2017 12:00
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