L’Evolution Championship Series (abbreviato in Evo) è tradizionalmente l’evento più atteso dai fan dei picchiaduro di tutto il mondo che vede radunarsi da ogni parte del mondo migliori giocatori di Street Fighter, Super Smash Brothers, Marvel vs Capcom, Mortal Kombat, Guilty Gear e moltissimi altri giochi per scontrarsi in questi 3 giorni di continui incontri a Las Vegas, nel Nevada.
Evo 2017, la quindicesima edizione della competizione, si è appena concluso ed è ora di tirare le somme. Più che concentrarsi su chi abbia vinto quale torneo, penso sia più interessante discutere sullo stato attuale non solo delle varie scene dei picchiaduro ma anche dell’Evo stesso e di come la sua percezione sia cambiata e continui ed il suo eventuale futuro.
Ciò che caratterizza l’Evo e da anni lo distingue dalla competizione è il numero estremamente alto di giocatori che si registra per competere ai tornei dei vari giochi.
Questa tabella mostra gli iscritti ai tornei divisi per gioco dal 2012 all’edizione di quest’anno. Seppure la magnitudine dell’Evo rimanga comunque di svariati ordini di grandezza superiore a qualunque altro evento della FGC, quest’anno sembra esserci stata una battuta d’arresto. Con l’eccezione di Tekken 7, che ha visto più che raddoppiare i partecipanti e Injustice 2, che ha visto un leggero incremento di partecipazione rispetto a Mortal Kombat X, il precedente prodotto della NetherRealm Studio (comunque inferiore al 2015, l’anno di debutto di MKX), tutti gli altri giochi hanno avuto un calo di affluenza.
Non ci si deve stupire del continuo calo di Marvel Vs Capcom 3, gioco il cui supporto da parte della casa madre è stato abbandonato per anni e solo a cavallo tra l’anno scorso e quest’anno riesumato unicamente come trampolino di lancio per Marvel vs Capcom Infinite, ciò che tuttavia preoccupa è che Street Fighter, da sempre carro da traino dell’intera scena abbia visto dimezzare i partecipanti al torneo. La continua crescita durante gli anni finali di Street Fighter IV pareva volgere verso un futuro padroneggiato ancora una volta da Capcom, e gli oltre 5000 iscritti di Street Fighter V nel 2016 ne parevano la conferma. Quest’anno, tuttavia, qualcosa è evidentemente andato storto e la crescita del titolo ha subito una decisa battuta d’arresto.
E’ difficile poter affermare con certezza quale siano state le ragioni a far scemare l’interesse verso il picchiaduro per antonomasia. Sicuramente la perdita del fattore novità ha inciso come è normale che accada nel ciclo vitale di un videogioco. Street Fighter IV, tuttavia, ha mostrato un andamento diametralmente opposto: dopo il rilascio dell’edizione Ultra, il trend si è mostrato positivo grazie alla continua scoperta di meccaniche e all’apertura di nuove possibilità di affrontare i combattimenti. Street Fighter V, al contrario, mostra di aver già completamente esaurito le proprie potenzialità creative e molti dei Pro Player hanno già esposto il proprio disappunto per la direzione intrapresa da Capcom in quest’ultimo capitolo.
Ciò che effettivamente risulta apparente se si confrontano i due capitoli, quantomeno a livello competitivo, è il sostanziale appiattimento della possibilità di scelta di combo e di contrattacchi, rendendo il gioco blando e pressoché impossibile lo sviluppo di un proprio personale stile di gioco. Se a questo uniamo la presenza di ben 8 frame di input lag, poi ridotti a 6,5, che rendono più difficile la reazione e costringono a giocare in maniera più predittiva, è più semplice comprendere i motivi per cui i giocatori competitivi si siano lamentati dei cambiamenti avvenuti con Street Fighter V.
Un ulteriore elemento che ha frenato il prolificare della scena competitiva può essere attribuito all’assenza di una versione Arcade. Mentre in occidente le sale giochi dominate dai coin-up stanno progressivamente scomparendo, in Giappone sono tutt’ora il fulcro della sottocultura dei picchiaduro. Per quanto le console siano ampiamente diffuse, questo stacco netto col passato ha causato uno sfaldamento della scena nipponica di Street Fighter che era tenuta in vita anche grazie ai continui eventi organizzati dalle varie Arcade.
Un gioco, tuttavia, non è composto solo dall’elemento competitivo: affinché la scena stessa esista e fiorisca è necessaria una solida base di giocatori. Questa è una ulteriore nota dolente del titolo Capcom, capace di vendere non più di 1.5 milione di copie, ben lontano dall’obiettivo di 2 milioni e si tratta comunque di dati relativi ad oltre un anno dal lancio. Alcune delle cose che hanno causato il malcontento dei videogiocatori sono stati l’assenza di una modalità storia al lancio, implementata solo oltre 6 mesi dall’uscita, nessuna Arcade Mode, da sempre presente nei titoli di Street Fighter e la continua instabilità dell’Online Play, il cui netcode sembrerebbe essere stato programmato da una sola persona, forse per problemi di budget della casa nipponica.
Chi dunque pare abbia beneficiato di questo passo falso di Capcom? Tekken 7, con i suoi oltre 1000 iscritti all’Evo 2017 pare esserne uscito vincitore. Se da una parte è innegabile negare l’entusiasmo in seguito al lancio globale, a ben due anni dal rilascio della versione Arcade in Giappone, dall’altro se andiamo a sbirciare le tabelle di VGChartz, le vendite si assestano a circa 430 mila unità, quindi un successo, sì, ma non così significativo come ci si potrebbe aspettare.
Un’altra paura è che i due anni intercorsi tra l’arrivo del gioco in Giappone e Corea abbiano creato un gap così ampio da colmare tra le scene competitive orientali ed occidentali che si rischi di assistere ad un effetto Starcraft, dove il dominio di giocatori provenienti dalla penisola coreana è stata una delle cause del declino del titolo Blizzard. Street Fighter V dal canto suo, mettendone un attimo da parte i problemi, sembra aver avvicinato a livello di abilità scena asiatica e scena occidentale, “bilanciando” la competizione ma senza per questo aumentare il favore tra il pubblico. Va inoltre ricordato come i picchiaduro siano da sempre appannaggio di giocatori provenienti dai paesi dell’est asiatico e Tekken 7 non ne è una eccezione.
Il successo di Tekken 7 non basterà tuttavia a controbilanciare la voragine che è stata aperta dal declino del picchiaduro di punta Capcom. Street Fighter è la stessa del cast, dal cui successo dipende la portata generale dei picchiaduro verso il grande pubblico, e conseguentemente l’esposizione di giochi dello stesso genere. Se in un primo momento, quindi, la crisi di Street Fighter dettata da scelte discutibili di Capcom può far gioire in quanto punizione per una azienda che si è dimostrata incapace di rilasciare un prodotto in grado di soddisfare non solo i professionisti ma anche i giocatori più casual (e il rilascio di DLC characters in ritardo secondo la schedule e dalla qualità discutibile non sta aiutando), sul lungo andare potrebbe segnare un blocco per la crescita dell’intera scena FGC. E’ infatti stato il titolo Capcom ad essere scelto come cavia per tentare un approccio più vicino al mondo eSports dei picchiaduro. Se tuttavia il gioco si rivelasse un fallimento su lungo andare, vi è il rischio concreto di un balzo nel passato, con un riavvicinamento alle origini grassroots e più limitate della scena e uno stop deciso alla sua crescita, perché ricordiamo che nonostante tutto, Street Fighter rimane in cima come spettatori su Twitch, staccando di gran lunga gli altri picchiaduro tradizionali.
Nel prossimo articolo mi concentrerò proprio su questo dualismo tra grassroots e professionalizzazione che attanaglia la scena competitiva, la spinta di alcuni Pro Player, in particolar modo della scena si Super Smash Brothers Melee verso un modello che preveda seeding dei giocatori e non sia più, quindi, un torneo completamente gestito dal basso.
This post was published on 18 Novembre 2017 15:00
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