Cara gente, benvenuto nel primo episodio delle Cronache Perdute di Gotrek & Felix! Questa serie di articoli ha l’obiettivo di andare a scoprire storie sepolte nel passato della pubblicazione di Warhammer. Un tempo, la saga di Gotrek & Felix ha visto una pubblicazione italiana fino a Sventragiganti e ora Alanera Edizioni sta ripercorrendo la serie dall’inizio rivedendo tutte le vecchie traduzioni fino a raggiungere quel passato traguardo così da poterlo superare.
Tuttavia, le avventure di Gotrek & Felix sono andate ben oltre la serie di romanzi e racconti. Nei loro primi anni di esistenza, i due divennero ben presto i VIP di Warhammer Fantasy. Con il loro successo ampiamente maggiore rispetto alle restanti pubblicazioni, Games Workshop desiderò inserirli pressoché ovunque, ma tante di queste storie non sono mai state tradotte. Sono storie secondarie, non leggerle non crea alcun buco nella comprensione di un lettore, ma sono comunque una parte che secondo me può permettere di raggiungere una pubblicazione ancor più completa di questa grande saga.
Dunque, iniziamo con una storia apparsa nel Libro degli Eserciti: Skaven di 4a edizione, pubblicato nel 1993. Si tratta di una storia ambientata dopo la fine di Artigli di Skaven, la prima parte del romanzo Sventraskaven. I più informati potrebbero chiedersi: “Ma come? La prima pubblicazione inglese di Sventraskaven è avvenuta nel 1999, come è possibile che ci fosse già una storia ambientata dopo la prima parte di un romanzo che ai tempi non esisteva?”
È presto spiegato, miei ipotetici curiosi. Artigli di Skaven fu pubblicato per la prima volta nel 1992, la prima parte su White Dwarf 152 e la seconda su White Dwarf 153. Solo anni dopo, Artigli di Skaven divenne la prima parte di un intero romanzo. Dunque, oggi scopriamo la prima parte della breve continuazione pubblicata nell’anno seguente.
Accompagnato da guardie albine del Consiglio dei Tredici, non sapendo se ritenersi un ospite oppure un prigioniero, il Veggente Grigio Thanquol fu condotto forzatamente attraverso le strade affollate di Skarogna così da raggiungere la Torre Frantumata. Tentando di controllare il proprio battito accelerato, ingoiò la saliva che gli riempiva la bocca come faceva sempre nei momenti di stress. Scosse la coda tre volte così ferocemente che persino l’enorme Ratto d’Assalto bianco si allontanò di un passo da lui. Bene-bene, pensò, almeno gli mostravano ancora un po’ di rispetto.
La folla si divise di fronte alle guardie come per magia. Al loro passaggio, persino grandi guerrieri recanti la livrea della guardia del corpo del signore di un clan si spostavano nei canali straripanti compiendo gesti d’obbedienza. Thanquol ne fu lievemente rassicurato. Pur essendo un prigioniero, una possibilità che non era pronto ad ammettere, nemmeno a se stesso, era comunque in grado di incutere ancora paura nella sciamante popolazione della città.
La costante spinta di corpi era onnipresente. Skarogna brulicava di abitanti. Si strofinavano costantemente l’un l’altro e le zanne si snudavano in sorrisi d’avvertimento. Una marea strisciante di uomini ratto incappucciati e imbacuccati si muoveva attraverso la città, correndo ovunque per sbrigare oscuri affari. I palanchini dei grandi signori vagabondavano nella follia, ergendosi sopra la pesante massa di carne come vascelli naviganti su un fiume di pelliccia.
Qua e là i parassiti giacevano sul lastricato distrutto. Forse erano addormentati; forse erano morti, a Thanquol non importava. Da dove venivano, ce n’erano tanti altri come loro. A Thanquol interessava maggiormente la fontana erosa dal tempo, quella che mostrava ancora vagamente le fattezze di un arciere umano. Gli importava più di chiunque dei suoi simili Skaven, e a lui della statua non importava proprio nulla.
Il clamore era quasi assordante. Solo il brontolio delle distanti macchine sotterranee e la macinazione dei grandi mulini sovrastavano il baccano di ventimila voci di Skaven. Essi emettevano un chiacchiericcio in cento modi diversi; squittii arrabbiati, proclamazioni d’innocenza, suppliche di pietà e grida desiderose d’attenzione competevano l’una sopra l’altra.
Respirò profondamente prendendo una boccata di quell’aria umida e calda. Aveva odore del metano, della spazzatura in decomposizione e di una folla di corpi sudici. L’aria trasportava il lezzo d’acqua stagnante e il dolce pizzico malaticcio di corruzione verso le sue narici sensibili. Si trattava di un odore rassicurante che gli trasmetteva la presenza di molti esemplari del suo popolo e la lunga occupazione di questo luogo da parte di innumerevoli generazioni di Skaven. Per Thanquol era l’odore di casa.
Egli esaminò le vicinanze, tentando di scrollarsi di dosso il seccante sospetto che quella fosse l’ultima volta in cui avrebbe potuto posare lo sguardo su di esse. Nella torbida coltre, Skarogna raggiungeva il suo massimo splendore. Gli enormi edifici fatiscenti si stagliavano oltre la nebbia. Uomini ratto sciamavano attraverso ogni porta e finestra dei piani terra. Grandi supporti di quercia marcia gemevano sotto il peso della muratura che faticavano a sostenere. Dei funghi brillanti illuminavano un sentiero attraverso le tenebre. Delle pozzanghere risplendenti d’alghe fosforescenti macchiavano le strade spaccate. Da ogni fessura o angolino, gli Skaven li osservavano, i loro sguardi predatori e ricolmi di fame.
La sua scorta aveva le lame sfoderate, e questo innervosiva Thanquol. Era già stato privato di tutte le proprie armi all’interno della camera-tana. Solo la guardia scelta dei Tredici, tutta composta da albini muti, aveva il permesso di entrare armata nella Torre Frantumata e la lealtà di ognuno di essi per i signori era la massima possibile a uno Skaven. Thanquol lo sapeva bene. Aveva tentato molte volte di corromperne o assoggettarne uno, ma sempre senza successo. Temevano i loro padroni ben più della stregoneria e non poteva eguagliare la ricchezza che comprava la loro lealtà.
Nella mente di Thanquol passò una futile congettura. Le guardie del Consiglio tingevano il proprio pelo di bianco oppure assumevano quel colore una volta entrate al servizio dei Tredici?
Forse la voce era vera e si trattava di mutanti acquistati a caro prezzo dal Clan Moulder. Thanquol scartò l’idea. Avrebbe dato ai Capimuta troppo potere sui membri del Consiglio. E se avessero allevato le guardie per farle attaccare tutte pronunciando una parola in codice? L’intero Consiglio poteva essere spazzato via con un unico attacco ben organizzato. Thanquol prese un’altra nota mentale per scoprire la causa della mutazione dei ratti albini. Non si può mai dire quando un’informazione del genere potrebbe essere utile o quali altre interessanti vie di esplorazione potrebbe aprire. Questo sempre presumendo la sua sopravvivenza all’imminente colloquio con i Tredici, naturalmente. E sarebbe sopravvissuto, non ne dubitava.
In effetti, il pensiero di incontrare i temibili signori della sua razza di topi riempiva il Veggente Grigio di terrore, e lui non era affatto estraneo all’orrore. I Tredici erano leggendari per la loro astuzia e intrisi della malvagità più nera. Si diceva che fossero immortali, i prescelti del Ratto Cornuto in persona, e che conoscessero le magie più terribili e potenti. Ognuno di loro aveva raggiunto i vertici della società Skaven grazie alla ferocia, all’astuzia e a molti atti indicibili. Ognuno di loro poteva essere sostituito solo se ucciso da uno Skaven più forte. Non un solo Signore era stato sostituito nelle ultime dieci generazioni.
I Signori del Decadimento erano spietati, saggi e maligni e non sopportavano volentieri i fallimenti. Thanquol temeva che lo avrebbero considerato, molto ingiustamente, un fallito. Accantonò quel pensiero. La faccenda sotto la città-uomo di Nuln era stata un fiasco, ma non era colpa sua.
La colpa era dei suoi subalterni incompetenti e, naturalmente, di quel Nano infernale e del suo alleato senza pelo, che il Ratto Cornuto possa rosicchiare le loro putride anime. Tutti gli obiettivi del Consiglio avrebbero potuto essere raggiunti se non fosse stato per loro. Inoltre, sospettava un tradimento da qualche parte anche tra le file dei suoi seguaci. L’odio per i suoi nemici e la paura del Consiglio guerreggiavano nell’anima putrida di Thanquol. Frettolosamente, mise da parte entrambe le emozioni.
Che cosa aveva da temere? Non era forse un Veggente Grigio, il più potente tra i maghi-ratti, il più astuto tra gli agenti del Consiglio? Non era forse passato attraverso i Tredici Cerchi dell’Iniziazione e non aveva camminato bendato attraverso il Labirinto della Morte Inevitabile? Non aveva forse ucciso il suo stesso mentore stregonesco prima di mangiare la sua anima? Non era sopravvissuto a tre generazioni dalla sua nascita? Non era forse responsabile di alcuni dei più grandi successi del Consiglio negli ultimi anni?
Thanquol si concesse un meritato gongolamento. Non aveva forse organizzato l’assassinio del rinnegato Signore della Peste Skratsquik e non aveva messo in riga il ribelle Signore della Guerra Kaskat e il suo clan? Il pensiero di come aveva ingannato Kaskat e tutti i suoi consiglieri a una conferenza di pace, per poi metterli l’uno contro l’altro con sospetti di tradimento, lo riempiva ancora di gioia.
Non si era forse avventurato in Tilea fino alla città di Miragliano, presso la quale aveva conquistato tutti i borgomastri senza pelo alla causa degli Skaven promettendo loro potere e vita eterna? Quegli sciocchi senza cervello erano stati fin troppo disposti a credere alla sua stregoneria. Non aveva forse guidato l’esercito che aveva distrutto la banda di guerrieri del Caos di Alarik Crinedileone e la sua schiera, quando avevano minacciato la tenuta del Consiglio a Nord? E non aveva forse sconfitto personalmente il Necromante Vorghun di Praag in singolar tenzone? Sicuramente tutto ciò contava qualcosa nel giudizio del Consiglio, giusto?
È vero, c’erano state alcune piccole battute d’arresto. I borgomastri di Tilea erano andati tutti incontro a mutazioni causate della polvere di mutapietra che aveva dato loro da consumare, e di conseguenza erano stati lapidati dai loro concittadini. Alarik era stato fermato solo a costo della vita di tutti gli Skaven al suo comando. Vorghun era tornato più forte che mai come liche e aveva giurato eterna ostilità al popolo Skaven per quello che considerava il loro tradimento. Tuttavia, queste erano solo battute d’arresto temporanee per il Grande Piano. Non erano fallimenti. Solo i più ciechi e idioti potevano considerarli tali. E il Consiglio non era né cieco né idiota. Avrebbero visto il suo valore. Sì, lo avrebbero visto.
Mentre si avvicinavano alla Torre Frantumata, Thanquol controllò l’impulso di spruzzare il muschio della paura. Era un Veggente Grigio, il più potente di tutti gli stregoni Skaven, e si rifiutava di avere paura. Sì, si rifiutava di mostrare paura, anche di fronte all’ira del Consiglio. Non si spaventò alla sola vista della loro Torre. La vista della sua enorme massa follemente inclinata non lo riempì di terrore. No, le sue membra non tremavano alla sua vista. Gli altri topi potevano anche evitare superstiziosamente di calpestare l’ombra della Grande Torre. Lui era superiore. Si era già avventurato all’interno della torre in passato, durante la sua iniziazione, e allora non aveva avuto paura. Lasciò che la sua mente tornasse a quegli altri giorni più felici, quelli lontani in cui era ancora un giovane inesperto e immaturo.
Non si era fatto strada dai bassifondi di Skarogna fino alle vette inebrianti del potere per essere un codardo. Era coraggioso e feroce. Era stato il più piccolo e il più debole della sua cucciolata, contraddistinto come diverso dal colore della sua pelliccia. Normalmente, avrebbe dovuto morire nelle torbide profondità illuminate dal gas, divorato dai suoi simili più grandi o ucciso da uno dei tanti crolli o esplosioni che avevano colpito gli altri membri della sua cucciolata. Sì, avrebbe dovuto morire, ma non lo fece, perché era stato scelto.
La sua naturale ferocia aveva più che compensato le sue dimensioni ridotte, in più il suo inquietante colore grigio aveva ispirato paura e odio nei suoi simili. La sua naturale astuzia gli aveva permesso di tendere trappole a coloro che lo avevano battuto e la sua naturale intelligenza ed eloquenza lo avevano reso presto un capo tra i suoi simili. Nessuno aveva più osato mettere alla prova il suo temperamento, non quando aveva un piccolo esercito sotto il suo controllo.
E c’era di più: non era sopravvissuto solo grazie alla fortuna, all’astuzia e alla ferocia. Quando la terra tremante aveva fatto crollare il tetto della tana di tutta la sua famiglia, un sesto senso gli aveva intimato di fuggire e lo aveva guidato lungo l’unico sentiero sicuro per uscire dalle gallerie crollanti. Quando i grandi trasporti motorizzati si erano schiantati uccidendo tutti i passeggeri, qualche istinto lo aveva avvertito di non salire a bordo all’ultimo secondo. Anche quando gli agenti del Clan Skryre avevano riempito la tana del suo clan con il vento venefico, lui l’aveva saputo in anticipo, avvertito da un sogno, ed era fuggito attraverso le fogne per mettersi in salvo. Aveva avvertito solo alcuni suoi compagni selezionati che gli avevano mostrato il massimo rispetto.
I suoi sogni lo avevano guidato nella ricerca degli agenti del Consiglio. Il Ratto Cornuto gli aveva parlato e gli aveva fatto capire d’essere uno dei prescelti. Thanquol aveva ascoltato e si era avventurato nel tempio, unendosi a tutti gli altri giovani Skaven spaventati che cercavano di entrare al servizio del Signore Cornuto. All’interno del Tempio si era confrontato con la Prova della Morte. Aveva indovinato quale delle tredici porte attraversare e si era recato con sicurezza nel Santuario del Ratto Cornuto, mentre gli altri erano entrati nelle Camere della Morte Certa.
A quel punto i Veggenti avevano capito che Thanquol faceva sul serio, sinceramente toccato dalla grande zampa del loro signore, dunque lo avevano accolto e nel frattempo avevano ridacchiato per le urla degli altri candidati bocciati.
This post was published on 4 Gennaio 2024 13:00
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