Questo spassoso RPG dungeon crawler Made in Italy ha molti assi nella manica. Lo abbiamo provato a Tokyo e abbiamo chiesto ai ragazzi di Fix-a-Bug di raccontarci il progetto.
In queste settimane vi ho raccontato la mia esperienza Tokyo Game Show tramite le anteprime dei giochi che ho potuto provare e le interviste ad alcune figure chiave dello sviluppo. Per finire la rassegna sulla fiera giapponese sono contento di poter approfondire un titolo nostrano: The Crazy Hyper-Dungeon Chronicles, sviluppato dal team torinese Fix-a-Bug, è stato selezionato dal TGS per l’inclusione all’interno di Indie 80, una sezione della kermesse volta a presentare produzioni indipendenti provenienti da tutto il mondo. Pensatela come l’Indie Dungeon, ma moltiplicata di vari ordini di grandezza.
Tra l’altro vi do subito una lieta notizia: il gioco è tra i finalisti della quarta edizione di Redbull Indie Forge, contest ideato per sostenere i progetti di sviluppo italiani tramite attività di promozione e/o sovvenzione. Ciò significa che chiunque parteciperà alla Milan Games Week & Cartoomics di fine mese potrà provarlo con mano; vi suggerisco di farlo perché ne vale la pena. In questo articolo vi spiego perché, anche ricorrendo alle parole degli stessi sviluppatori che ho intervistato per l’occasione.
Aggirandomi per la sezione merchandise del Tokyo Game Show sono passato accanto all’Indie 80 che, come dice il nome, riuniva 80 sviluppatori indipendenti, ciascuno col proprio stand, desiderosi di far consocere al pubblico i propri progetti in via di sviluppo. Qui ho raggiunto lo stand di Fix-a-Bug, dove il team mi ha accolto per la prova di The Crazy Hyper-Dungeon Chronicles. Si tratta di un dungeon crawler sui generis, che imbastisce una storia fantastica dai toni umoristicie nonsense con un gameplay estremamente adattabile alle skill del giocatore. I protagonisti sono una coppia di fratello e sorella che rivaleggiano per un primato: esser ei primi al mondo a raggiungere la massima profondità dell’Hyper-Dungeon e tornare vivi per raccontarlo. Questo intricato labirinto procedurale su 50 livelli è il risultato di un collasso magico che ne ha provocato la natura mutante, rendendolo un luogo irto di pericoli… ma anche di peronaggi fuori di testa!
Il gioco mescola istanze roguelite a meccaniche survival/crafter e puzzle, oltre ad implementare un combat system reminiscente di Undertale e un sistema di progressione del personaggio e quest design da gioco di ruolo. Tutti questi elementi però sono interpretati in modo originale e ben amalgamati, in un pot-pourri che costituisce un distillato del retrogaming PC anni 80-90, come dimostrano la grafica in pixel-art e la colonna sonora in stile MIDI dell’epoca 16 bit. Ciascuno dei 50 livelli che compone il gioco ha una meccanica sua propria (i primi 10 livelli circa fungono da tutorial generale) che rende l’esploraizone sempre piacevole, tenendo viva la sensazione di scoperta costante. Il gioco si contraddistingue anche per la profonda personalizzazione del’esperienza in virtù delle scelte che si compiono a inizio partita rispetto al livello di difficoltà e allo stile di gioco selezionato.
Differentemente dal solito sistema di classi da RPG, il titolo offre tre archetipi di avventuriero tra cui scegliere: Distruttore, Esploratore e Risolutore. La scelta va a incidere su tanti aspetti dell’esperienza di gioco, dal numero di nemici e la loro aggressività fino al numero di NPC che è possibile incontrare e la quantità di dialoghi presenti nell’avventura! In questo modo il giocatore può decidere se vivere un’esperienza più hardcore e combat oriented, oppure adottare un apporccio più esplorativo e votato all’approfondimento narrativo. Raramente si trovano giochi che consentono una personalizzazione così minuziosa dell’esperienza, il che merita sicuramente un plauso, anche perché aumenta notevolmente la rigiocabilità dell’opera.
Di questi e altri aspetti cruciali dell’esperienza di gioco ho chiacchierato con il programmatore Paolo Nicoletti e lo sceneggiatore Luca Blengino. Ecco la nostra conversazione.
Gli screenshot presenti di seguito sono tutti presi dalla demo del gioco, già disponibile su Steam a questo indirizzo.
Ciao Paolo, ciao Luca. Volete innanzitutto presentarvi e spiegare quando e come nasce Fix-a-Bug?
P.: Certamente! Fix-a-Bug attualmente non è nient’altro che un’etichetta, un brand utilizzato dalla nostra azienda 3×1010 per indicare le nostre produzioni gaming-oriented. La nostra azienda è una digital agency che sviluppa applicativi web, e ogni tanto ci capita di sviluppare anche giochi. Ci serviva quindi un nome diverso per identificare queste produzioni, ed è uscito il nome Fix-a-Bug che ci sembra più giocoso e adatto ad opere creative di questo tipo. Attualmente stiamo valutando se aprire una vera e propria divisione interna dedicata al gaming. L’azienda è composta da una quindicina di persone, e io sono uno dei tre soci. Ai progetti di Fix-a-Bug ci dedichiamo sostanzialmente io e un’altra persona che si occupa della grafica; poi abbiamo dei collaboratori esterni come Luca, che collabora con noi da anni; Alessandro che è il musicista e Giorgio che cura la parte di pubbliche relazioni; poi all’occorrenza ci possiamo avvalere di altri collaboratori occasionali.
Qual è invece il tuo percorso, Luca?
L.: Io principalmente sono uno scrittore. Mi è capitato tramite contatti di conoscere tanti anni fa Paolo, con cui abbiamo subito stretto amizia grazie alla passione comune per i videogiochi. Nel 2016 abbiamo collaborato alla creazione del nostro primo titolo, un piccolo progetto di gioco educativo intitolato Il segreto di Castel Lupo. Era un gioco totalmente gratuito perciò non ci abbiamo ricavato nulla, ma ha avuto un buon riscontro perciò la voglia di continuare a collaborare è rimasta. Ho lavorato anche con altre produzioni, tra cui lo studio di Roma Centounopercento, su un progetto che non è ancora stato annunciato.
Parliamo brevemente de Il segreto di Castel Lupo. In che cosa consisteva?
P.: Fondamentalmente si trattava di un’applicazione mobile di edutainment. Per farla breve, cercavo un modo per invogliare la mia bambina di 8 anni a leggere e mi sono tornati in mente i librigame che leggevo da ragazzino, tipo Lupo Solitario. Quindi assieme a Luca abbiamo fatto un misto tra libro game, avventura testuale e avventura grafica. In pratica è narrata un’avventura in cui due protagonisti esplorano un castello pieno di segreti; le descrizioni sono testuali, ma tramite hotkeys è possibile interagire con alcuni elementi evidenziati, raccogliere oggetti nell’inventario e utilizzarli con elementi dello scenario, e così via. Il tutto condito con una storia adatta a dei ragazzini, che erano il target primario.
Una specie di punta-e-clicca testuale.
P.: Esattamente! Poi c’erano anche dei minigiochi per vivacizzare un po’ il tutto e mantenere l’attenzione dei giocatori. Si poteva scegliere se giocare come ragazzo o ragazza, c’erano vari enigmi… Ha avuto un certo successo sugli store, con alte valutazioni e circa 50.000 download. Non male per un gioco totalmente gratuito e a zero budget. L’idea era di proporlo a case editrici, ma non abbiamo trovato soggetti interessati, quindi l’abbiamo messo da parte per sviluppare The Crazy Hyper-Dungeon Chronicles. Tuttavia non abbiamo del tutto abbandonato il progetto, anzi una volta finito questo gioco vorremmo realizzarne un seguito, e magari riproporre il primo episodio anche su PC tramite Steam.
È stata un’esperienza formativa importante per voi, mi pare di capire. Senza quel gioco non esisterebbe The Crazy Hyper-Dungeon Chronicles?
P.: Molto probabilmente è proprio così, anche perché quell’esperienza mi ha dato modo di conoscere a fondo Luca che secondo me è veramente fantastico dal punto di vista della scrittura… oltre che come persona! Lavoriamo alla grande insieme, ricordo che per Castel Lupo eravamo a casa sua in cucina col foglio di carta a tracciare ogni singola stanza e studiare il posizionamento di ogni singolo oggetto, gli enigmi eccetera.
La vostra sintonia dipende anche da un comune background circa i vostri videogiochi preferiti?
P.: Sì, infatti l’ho conosciuto tramite suo fratello, che è appasionato di Ultima Online come me e lui a quei tempi; ci siamo messi a parlare del gioco e da lì è nato tutto. Poi siamo entrambi giocatori nati su PC, quindi abbiamo gli stessi gusti, dagli RPG alle avventure grafiche.
Passiamo a The Crazy Hyper-Dungeon Cronicles: quando e come nasce l’idea?
P.: Nei ritagli di tempo mi dilettavo a creare piccoli progetti videoludici, ad esempio livelli custom di Bubble Bobble, istanze del duello a insulti di Monkey Island… Un giorno ho iniziato a studiare gli algoritmi per creare labirinti, ne ho fatto uno e poi ho pensato “Ok, sarebbbe carino metterlo però in grafica”; poi ho aggiunto un omino, un po’ di nemici, la cosa a iniziato a ingrandirsi e senza nemmeno accorgemene avevo un abbozzo di videogioco per le mani! Aveva una decina di livelli, però era una roba scritta in HTML puro e CSS, era veramente lento – anche se funziona ancora – ed è rimasto lì due anni. Poi un mio amico a cui l’ho mostrato durante una trasferta di lavoro mi fa “Secondo me se lo riscrivi e lo migliori potrebbe venire una roba carina”. E quell’estate 2022 l’ho passata a progettare vari livelli e mettere l’intero gioco su carta. Verso dicembre sono andato da Luca e gli ho proposto di lavorarci assieme. Ha subito accettato. Abbiamo iniziato a scrivere storie, dialoghi, personaggi eccetera eccetera e allora da lì poi è diventato un gioco decisamente diverso e e migliore. Si è aggiunto anche un altro mio amico compositore per lavorare alla colonna sonora, che a breve sarà pubblicata su Spotify.
Se non sbaglio è stato programmato con Phaser, un framework per applicativi web. Questa scelta deriva dalle vostre competenze lavorative?
P.: Certo, è proprio quello il motivo. Io faccio sviluppo web dal 1996, ho avuto esperienze con Flash – gioie e dolori – e poi Javascript, HTML CSS… Dunque ho deciso di utilizzare degli strumenti di cui avessi già competenza, anche se probabilmente lavorare su Unity o altri engine avrebbe semplificato alcuni aspetti del lavoro. In ogni caso Phaser è una libreria fantastica per il tipo di gioco, stiamo mettendo a punto un gioco leggero che gira ad alte prestazioni anche su macchine vecchie. Inoltre la community di Phaser è molto nutrita e io la bazzico da anni, questo mi garantisce supporto da altri sviluppatori in caso di problemi.
Questo gioco è un passion project, quindi il suo sviluppo avviene in parallelo rispetto al vostro lavoro regolare. Come fate a bilanciare le due cose, quanto tempo riuscite a dedicare al progetto e come è organizzato il lavoro?
P.: Io ci lavoro abitualmente la sera quasi tutti i giorni e nei weekend quando quando riesco. Ora dopo Tokyo e in vista di Milano il progetto sta iniziando a generare attenzione perciò aumenta anche il carico di lavoro.
L.: Essendo scrittore freelance per me è uno dei tanti progetti su cui sono, quindi mi divido il tempo fra questo e molti altri. Quanto ci dedico? In realtà poco, ma penso anche Paolo rispetto al resto delle robe da fare! Lavoriamo molto a stretto contatto e procediamo in contemporanea: fondamentalmente Paolo progetta un livello, ce lo vediamo insieme, poi lui programma mentre io scrivo e poi alla fine lui rimonta tutto e viene fuori il livello finito. La cosa interessante è che procediamo a compartimenti stagni, per così dire, cioè un livello per volta, e andiamo in ordine: finito un livello passiamo al successivo.
A che punto siete dello sviluppo? E una curiosità: come siete arrivati a definire il numero di 50 livelli?
P.: Siamo più o meno arrivati a finalizzare 33 livelli. Per quanto riguarda il numero, siccome ogni livello ha una sua idea particolare che lo differenzia dagli altri, dipendende semplicemente dal numero di idee che mi sono venute! All’inizio erano una quarantina, poi confrontandomi con Luca ci sono venute altre idee e siamo arrivati al numero attuale di 50.
Ci sono titoli specifici che hanno costituito un’ispirazione particolare per il gioco? Io ci ho visto elementi di Undertale per il combat system ma anche i classici alla Wizardry per l’impostazione da dungeon crawler, e poi tanti elementi da RPG e roguelite, addirittura l’umorismo nonsense proprio dei classici di Lucas Arts!
P.: Volevamo fare un gioco che richiamasse classici alla Dungeon Master, anche se questo adottava una visuale in prima persona mentre il nostro gioco adotta una prospettiva dall’alto, però comunque le meccaniche sono molto simili. È vero che alcuni meccanismi ricordano anche giochi tipo Undertale o altre avventure di quel genere. Ovviamente è una questione che è già stata sollevata perché quando vai da un publisher, per convincerlo gli dici “questo gioco è il punto d’incontro tra Dungeon Master e Undertale“!
In realtà però il gioco ha molti altri aspetti suoi propri, a partire da una grande attenzione per la scrittura e la narrativa; la storia è anche abbastanza complessae ricca di colpi di scena, e le scelte del giocatore potranno in una certa misura plasmarla. L’impianto del gioco rimane quello del dungeon crawler, ma con tante influenze diverse. Ogni livello ha una sua caratteristica peculiare, in alcuni abbiamo inserito omaggi diretti ad alcuni giochi, oppure rivisitazioni originali degli stessi. Dal quindicesimo livello [dove finsice la demo, ndr] in avanti il gioco aumenta progressivamente la difficioltà, a partire dal combattimento; alcuni mostri modificheranno i propri pattern di attacco e ci saranno più insidie, oppure modalità di combattimento strampalate su cui non voglio fare spoiler, ma diciamo che sarà proprio un tributo a Lucas Arts e alla serie Monkey Island. In generale abbiamo fatto tesoro di tutte le nostre passioni videoludiche e le abbiamo implementate nel gioco in modo originale.
Al tempo stesso il gioco si prende delle libertà significative dai generi di riferimento. Ad esempio non c’è una classe magica, fatto inusuale in un RPG. Ci sono elementi survival ma non stiamo parlando di un roguelike poiché non c’è permadeath. Quanto è stato difficile mescolare tutti questi generi e decidere quali elementi tenere e quali no?
P.: Allora, abbiamo fatto tantissime variazioni e modifiche con l’avanzare dello sviluppo, e ovviamente alcune ideee che avevamo all’inizio le abbiamo poi eliminate. Ad esempio, all’inizio avevi dieci skill tra cui l’alchimia o la capacità di cucinare ricette uniche, e tutte sbloccavano abilità progressive avanzando nel gioco e reiterando le azioni. Col procedere dello sviluppo abbiamo diminuito a 8, e poi sempre di più fino alle 3 attuali: spada, lancia e mazza. Il fatto è che troppi rami di abilità complicavano il gioco inutilmente o erano difficilmente implementabili. Volevamo che il gioco avesse i tanti elementi che hai ricordato anche tu, dai combattimenti al crafting al survival, ma allo stesso tempo puntiamo a renderlo divertente e accessibile.
Non volevamo renderlo né punitivo né stressante quindi non esite il caso in cui non puoi fare una certa cosa perché non hai sbloccato la gusta skill. Al limite puoi non trovare un oggetto segreto custodito in una stanza segreta, ma questo attiene all’esplorazione del livello e non a una scelta iniziale che sacrifica una cosa piuttosto che un’altra. Ciò non ci preclude comunque la possibilità di aggiungere ulteriori abilità in futuro, come ad esempio le magie, sotto forma di DLC.
Il gioco rinuncia a un sistema di classi standard da RPG adottando una tripartizione che cambia l’approccio al gioco.
P.: Esatto, tu puoi scegliere tra Esploratore, Risolutore e Distruttore. Queste non sono le classi intese come nei videogiochi classici: si tratta di uno stile di gioco nel senso che cambia proprio il gameplay. Se giochi col Distruttore i mostri non scappano, incontri più mostri ed essi non fuggono praticamente mai e d’altro canto hai meno dialoghi, perché il tipo di giocatore diciamo così actioner vuole andare in giro a dare mazzate e non vuole perdere tempo a leggere dialoghi inutili. L’Esploratore invece ha più slot di inventario ma le trappole gli fanno più male, d’altro canto i nemici sono più deboli e meno aggressivi. Il Risolutore invece è la persona che ama la lore dei giochi cioè che vuole dialogo, NPC approfonditi, dunque ne incontrerà anche più rispetto alle altre classi. E ci sono anche tante altre piccole differenze che però vogliamo lasciare scoprire al giocatore.
In effetti questo approccio è inusuale: mi vengono in mente, come paragone, alcuni survival horror che consentono di stabilire livelli di difficoltà differenti per quanto riguarda i combattimenti e la risoluzione di enigmi.
P.: Esatto, in base alla classe che tu scegli vai a modulare questi aspetti. Ci hanno fatto notare un precedente in Indiana Jones and the Fate of Atlantis, dove da un certo momento del gioco in poi potevi scegliere se vivere un’esperienza più action e avere più combattimenti e anche giocare in coppia o in solitaria. Noi stiamo provando ad adottare un approccio simile. Avevamo implementato anche una quarta classe ovvero l’Avventuriero, che era una via di mezzo fra tutte le altre, ma non era né carne né pesce e alla fine l’abbiamo eliminata.
Nel gioco ci sono anche i classici livelli di difficoltà. Nella demo si poteva scegliere tra facile e Normale, mentre vedo che sono 4 in totale. Questi incidono solo sul combattimento?
P.: No, figuriamoci, troppo facile! (ride) Nelle difficioltà più alte ci saranno le maledizioni. Quindi, all’inizio tu parti con una maledizione (o due o tre) che durante il corso d’avventura incideranno più o meno su una serie di feature. E potrai potenziarle in negativo oppure togliertele durante l’avventura, ovviamente facendo determinate cose. Il livello Facile invece è pensato solo per chi vuole vuole vedere la storia: la mappa in molti livelli ti viene già rivelata all’inizio, i nemici sono molto deboli e così via. In effetti forse lo renderemo un po’ più difficile perché così è veramente imbarazzante!
Luca, parliamo della scrittura: come hai lavorato per rendere interessante la componente narrativa del gioco? Non è facile fare un dungeon crawler con della narrativa significativa.
L.: Alla fine la cosa divertente di scrivere per videogiochi è che lavori con quello che hai in mano: questo era fantasy quindi la base di partenza è quella; c’erano due personaggi maschio e femmina quindi sono partito da questi elementi. Ho trovato una ragione narrativa plausibile per la natura procedurale dei labirinti, ovviamente sulla base di un incidente magico. Poi ho delineato un finale della storia che non rivelerò. È risultato tutto piuttosto semplice da scrivere. La scrittura per videogiochi in particolare deve sempre sottostare alle regole del game design che si è stabilito, cioè tante volte è più paralizzante avere il foglio bianco e non sapere da che punto partire. Invece qui c’è una lista precisa di cose che pre-esistono e tu semplicemente devi trovare il modo più divertente di raccontarle. Poi ci siamo ovviamente sbizzarriti con tutti i personaggi di cui il gioco è pieno, dando a ciascuno un minimo di profondità. Nel gioco c’è tantissimo testo, da descrizioni a dialoghi, e in generale ho cercato di renderli sempre divertenti o caratterizzanti, e non di riempire righe di inutile blablabla, bensì di strappare sempre un sorriso. Come dicevi c’è molto umorismo alla Lucas Arts, con rotture della quarta parete, nonsense e cose simili.
Mi dicevi che in alcuni casi c’è anche la possibilità di avere scelte di dialogo multiple: questo può influire il finale della storia o di alcune subquest?
L.: Allora, il finale è sempre lo stesso. Abbiamo deciso a priori che il gioco avrà un finale comune per tutto quanto. Abbiamo però sviluppato una serie di filoni di narrazioni che si concatenano per certi livelli: ad esempio nel livello 11 troverai delle situazioni che avranno un loro sviluppo se fai determinate cose nel livello 24 e se anche lì farai determinate cose questa questa sotto trama avrà una conclusione nel livello 42 – ti dico dei numeri a caso, giusto per far capire il concetto! Aggiungo anche che ci saranno alcuni enigmi che si potranno risolvere tramite l’uso accorto dei dialoghi, e in alcune situazioni la diplomazia potrà anche servire ad evitare alcuni combattimenti. Inoltre ci sono tipologie di nemici che affronterai solo se farai un determinato percorso nel corso del gioco.
Quali differenze ci sono giocando il protagonista maschile rispetto a quello femminile?
L.: Ci sono alcune piccolissime differenze in alcune parti e modifiche ai dialoghi però in generale non ci sono quasi differenze. È una scelta prevalentemente estetica, che non precondiziona l’andamento di una run solo in base al personaggio che scegli. Ciò è evidente anche dalla descrizione dei personaggi, che è identica eccetto il loro nome!
Che tipo di feedback avete ricevuto finora sul progetto, da parte di utenti su Discord o di eventuali publisher cui avete pitchato il gioco?
P.: Allora, su Discord abbiamo relativamente il nostro punto debole. Ci vuole molto tempo e lavoro per fare comunicazione in questo senso, star dietro ai social… e siamo indietro. Abbiamo iniziato da poco ad avere una social media manager e quindi a fare un piano di pubblicazione su Instagram, LinkedIn, Facebook, insomma le principali. Discord lo gestisco io, nel senso che gestisco il server e man mano arrivano persone, e ci mandano parecchi feedback tramite mail soprattutto se ci sono degli errori e bug. In caso di freeze delle versioni test il gioco si pianta e viene fuori una schermata con un dump diciamo, che contiene informazioni a me utili per capire che cosa è successo e quando succede. Il fatto poi di avere dei riconoscimenti tipo il Tokyo Game Show e ora l’Indie Forge sta generando interesse e molti feedback positivi, che per noi sono importantissimi. Anche perché ogni notizia, ogni evento, ogni articolo che esce ci porta nuovi utenti interessati e aumenta il numero di wishlist, che sono un biglietto da visita fondamentale per quando parliamo con potenziali publisher. Poi questo non garantisce di trovarne uno, ma potremmo anche pensare di aprire un Kickstarter, lo valuteremo più avanti.
Le fiere sono momenti molto importanti per voi. Com’è avvenuta la selezione all’Indie 80 del TGS?
P.: Grazie a Giorgio Catania, la persona che ci segue lato PR, e che ha molta esperienza e contatti grazie anche ai suoi 7 anni di carriera all’interno di IIDEA. Grazie a lui siamo stati alla Gamescom, e ci siamo candidati per la selezione all’Indie 80. Tra l’altro compilare il form per Tokyo è stata veramente un’impresa perché non sapevo bene cosa scrivere! Ho compilato quella roba e poi me ne sono quasi scordato. Poi un giorno ricevo un’email in giapponese che non avevo calcolato di striscio. Tre giorni dopo mi arriva un’altra mail che mi dice “ti abbiamo riservato il posto, facci sapere se non ti interessa perché nel caso lo diamo a qualcun altro”!
Quindi stavate per perdervi l’occasione della vita!
P.: È proprio così! Per fortuna alla fine è andata benissimo, abbiamo avuto un grande riscontro. Inoltre la prima sera di fiera sono anche andato a vedere il concerto degli Iron Maiden! (ride)
L.: Io poi venendo dal campo dei fumetti ho un’esperienza ventennale in fatto di fiere e questa mi è piaciuta molto perché organizzata benissimo, con un grande spazio per gli indie che ci ha dato una visibilità pazzesca. Sono reduce da Lucca Comics: lasciamo perdere! Due mondi diversi quanto a organizzazione e gestione dei flussi. A Tokyo eravamo strategicamente posti accanto allo spazio merch, quindi gli avventori erano portati naturalmente anche a passare da noi. È stato bellissimo.
Per concludere, quando ritenete di poter terminare lo sviluppo?
P.: Secondo me rispettiamo tranquillamente la data di maggio-giugno del prossimo anno. Credo che finiremo tutti i 50 livelli per gennaio-febbraio, quindi tenendo conto dei ritocchi e del bilanicamento finale confido che sarà pronto per il Q2 2025. E poi non ci resterà che trovare un publisher… Mal che va ce lo pubblicheremo da soli!
Vi ricordo ancora che The Crazy Hyper-Dungeon Chronicles è in sviluppo per PC. È già disponibile una demo su Steam che trovate a questo indirizzo.
This post was published on 17 Novembre 2024 12:00
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