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Anteprime

Dragon Age: The Veilguard al Tokyo Game Show | L’importanza delle prime impressioni

Abbiamo provato una breve demo del gioco al booth Bioware del TGS, ricevendone una sensazione decisamente positiva… A patto di avere le giuste aspettative!

È il 26 settembre, primo giorno di Tokyo Game Show 2024, e ho corso da una parte all’altra tutta la mattina. La situazione, vista l’ora di pranzo imminente, si sta tranquillizzando. Mi dirotto anch’io verso la zona ristorazione, ma nel farlo passo davanti al booth di Bioware e noto che è quasi vuoto: ci sono solo un paio di persone in attesa di poter provare la demo di Dragon Age: The Veilguard. So già che un’occasione così ghiotta non mi capiterà più in tutte le giornate di fiera, quindi decido serenamente di lasciar brontolare lo stomaco e di provare con mano uno dei giochi più chiacchierati dell’anno.

La gestazione di Dragon Age: The Veilguard è stata particolarmente lunga e travagliata, con cambi di staff al vertice reiterati e ri-concettualizzazioni dell’intero progetto (avviato addirittura nel lontanissimo 2015), che ha persino cambiato titolo rispetto a quello inizialmente annunciato (Dragon Age: Dreadwolf). Una crisi sintomatica della crisi di identità vissuta da Bioware da Mass Effect 2 in poi, con anni pessimi funestati da produzioni fallimentari – Anthem su tutte – e l’abbandono delle formule RPG che avevano reso famose l’azienda in favore di tentativi maldestri di compiacere platee di pubblico più ampie adottando approcci ibridi e maggiormente action-oriented. Non che tali soluzioni siano un male di per sé, ovviamente: tutto sta nel come le si implementa, e la software house non è riuscita a farlo in modo intelligente né in Mass Effect 3 né tanto meno in Andromeda, un titolo che definire problematico è un eufemismo. Questi disastri, uniti all’abbandono dell’azienda da parte dei suoi 3 fondatori (Ray Muzyka e Greg Zeschuk nel 2012, Augustine Yip già nel 1998) lasciavano sempre meno speranze sulla stessa sopravvivenza dello studio.

Che però è, effettivamente, sopravvissuto e ora sembra desideroso di lasciarsi alle spalle tante brutture e si prepara al lancio di un action-RPG già estremamente discusso e divisivo, fin dai primi trailer di presentazione e ancora dopo le anteprime estese che molte testate e content creator hanno avuto occasione di provare con mano nelle scorse settimane. Personalmente ho avuto solo 20 minuti di tempo per provare il gioco, una finestra troppo breve per farmene un’idea precisa, sufficiente giusto per riceverne una primissima impressione. E sappiamo quanto le prime impressioni contino!

Bene, posso dirvi che la mia prima impressione di Dragon Age: The Veilguard è stata positiva, e credo potrà esserlo per un discreto numero di giocatori… a patto di avere le giuste aspettative su questo progetto.

La prova

Non ho potuto registrare la mia prova, dunque non ho video o immagini da condividervi. Recentemente alcune testate hanno avuto accesso a una demo di una manciata di ore: ho setacciato alcuni di questi video in cerca della mia porzione di giocato, senza trovarlo da nessuna parte. Mi suona strano che Bioware abbia approntato un segmento di demo giocabile esclusiva per il Tokyo Game Show, perciò qualora sbucasse fuori del materiale inerente alla mia prova lo aggiungerò a questo articolo.

A inizio demo potevo scegliere la classe di appartenenza del mio Rook; ho optato per il Guerriero, in modo da non impelagarmi con le complicazioni di una classe magica per una prova così breve, e poiché la classe del ladro era già stata mostrata nel primo gameplay trailer ufficiale di qualche mese fa. La demo si apriva su un passo montano, in una imprecisata località. Mi sono ritrovato membro di una spedizione di recupero composta dalla scout Harding e dall’elfo guerriero Davrin, che era forte di un grifone addomesticato di nome Assan. Quest’ultimo si è rivelato più che un vezzo estetico, dato che un’abilità del mio compagno gli consentiva di impartire degli ordini diretti alla creatura. Nella fattispecie, era possibile (anzi, necessario per proseguire), ordinare al pennuto di beccare una corda che reggeva una cassa in sospensione, di modo che questa cadesse al suolo permettendoci di scalarla e raggiungere così una scarpata inizialmente fuori portata.

L’interazione con l’ambiente di gioco, insomma, è apparsa da subito meno inerte di quanto ci si potesse aspettare da un gioco di ruolo, avvicinando Dragon Age: The Veilguard più all’ambito dell’action-adventure, almeno a livello di sensazione iniziale. Questa impressione è rafforzata dalla rinuncia ormai ben nota (e che ha suscitato un certo scalpore) al mondo aperto in favore di una suddivisione in livelli con mappe chiuse, seppur in un certo qual modo esplorabili. Appena prima della prova ho scambiato qualche parola con Scylla Costa, uno dei producer del gioco, cui ho chiesto conto di questo cambio di approccio. Costa ha confermato il cambio di paradigma dicendosi convinto che, dopo tanti tentativi, il team di sviluppo sia riuscito a mettere a punto un level design che rispondesse alle esigenze di un’esperienza più compatta e meno dispersiva rispetto un RPG classico, pur preservando un certo qual senso di scoperta e libertà esplorativa.

Muoversi nel livello è effettivamente risultato più vario del solo camminare e guardarsi attorno, contribuendo a diminuire notevolmente la sensazione di mondo-corridoio che ha funestato tante esperienze di giochi di ruolo in anni passati – a cominciare da quel Final Fantasy XIII che mette i brividi solo a ricordarlo, ma in tale novero finisce senza dubbio anche Mass Effect 3, per tacere dell’atroce level design di Dragon Age 2. Certo, la porzione di livello che ho esplorato non mi ha permesso di farmi un’idea definitiva su questo punto, ma la combinazione di un ispirato art design, di una discreta mobilità del personaggio (che può arrampicarsi e scalare pareti), della succitata presenza di abilità che interagiscono direttamente con il mondo di gioco, di pur semplicissimi enigmi ambientali (le solite leve da premere o meccanismi da attivare) e di immancabili forzieri del tesoro piazzati in luoghi reconditi ha reso il vagabondaggio piacevole e variegato.

Alle fasi esplorative si alternavano istanze di combattimento che avevano luogo in scenari leggermente più ampi adatti a ospitare un copioso numero di nemici, di cui aver ragione simultaneamente in un tripudio di effettistica colorata ma sempre discretamente leggibile. Il level design della demo assumeva dunque una struttura “a fisarmonica” piuttosto evidente. Ciò non è necessariamente un male, anche se si tratta di un design che conosciamo sin troppo bene, dato che stato adottato praticamente da qualsiasi action-adventure da Uncharted in poi. Dalla mia breve prova è impossibile dire quanto tale formula cambierà nel corso del gioco: spero che Bioware abbia adottato alcune accortezze e varianti per non cade in una sterile ripetizione di uno schema che finirebbe per accostare The Veilguard a un titolo appena uscito che pecca esattamente da questo punto di vista, ovvero Unknown 9: Awakening (di cui il Alessandro Colantonio ha illustrato brillantemente le criticità nella sua recensione del gioco).

Menar fendenti

Il feedback del sistema di combattimento, che nella demo vedeva sbloccate varie abilità tanto per il protagonista quanto per i compagni, si è dimostrato responsivo, immediato da comprendere e discretamente appagante da mettere in pratica. Di primo acchito mi è sembrato combinare in modo riuscito le istanze dinamiche dell’action non tecnico – che richiede semplicemente un po’ di tempismo nelle schivate e parate, nonché un costante riposizionamento nella mappa – alla pausa tattica, elemento caratteristico della serie, qui implementata alla Mass Effect, ovvero un freeze dell’azione di gioco che si attiva all’apertura della ghiera delle abilità. Non voglio entrare nei dettagli della spiegazione del sistema di controllo in questo frangente, poiché chiunque abbia avuto accesso al gioco in anteprima ha avuto modo di approfondirlo assai più di me, che ne ho potuto saggiare solamente un’infarinatura generale. Vi dirò invece le sensazioni a riguardo, che sono state senza dubbio positive.

Nella frenesia del combattimento, non mi è pesato non avere il controllo diretto dei miei compagni di squadra. L’approccio action, in questo senso, aiuta, e mi ha ricordato in questo senso le dinamiche di combattimento di Kingdom Hearts, con il plus di poter effettivamente scegliere quali abilità alleate utilizzare, senza relegarle totalmente all’intelligenza artificiale. Il motivo per il quale non ho rimpianto l’impossibilità di switchare da un personaggio all’altro credo vada individuata nel pacing dell’azione che, tra possibilità di deviare o schivare gli attacchi avversari, gli effetti direzionali dei danni (diretti, lineari, ad area…) e la possibilità di utilizzare potenti colpi speciali (chiamati in inglese Ultimate Abilities) cadenzati da tempi di cooldown, rendono l’azione concitata e soprattutto stimolando il giocatore ad agire continuamente, addirittura facendo sì che la pausa tattica offra un espediente per tirare un attimo il fiato in lunga sessione di combattimento, pianificando le successive manciate di secondi. Questa, almeno, è la mia speranza, poiché il livello di sfida della demo era pienamente accessibile, pur lasciando ben sperare che nel corso dell’avventura si possano raggiungere alti ritmi di sfida.

Altra questione ancora, destinata per il momento a rimanere un’incognita, riguarda la tenuta di tale sistema nel lungo periodo: per quanto continuerà ad essere divertente? Non rischia di divenire ripetitivo? A ciò si potrà rispondere solamente dopo averlo spremuto per qualche decina di ore, e soprattutto dopo aver esplorato le tipologie di abilità sbloccabili e i loro eventuali effetti sinergici, oltre che la loro applicazione strategica sul campo di battaglia.

Questione di prospettive

Dopo tanto parlare (e parlar male) di questo gioco, dopo tutte le polemiche e i timori, il primo impatto con Dragon Age: The Veilguard, pad alla mano, mi ha confortato. Non perché dopo questa prova sia convinto che Bioware abbia in saccoccia un grande gioco di ruolo all’altezza della fama di questa IP: non ho raccolto indizi in favore di questa ipotesi, che anzi mi pare molto lontana dalla realtà, specialmente in un mondo post-Baldur’s Gate 3. Forse paradossalmente, ma sono rinfrancato dal fatto di potermi lasciare alle spalle qualsiasi incertezza su un fatto: Dragon Age: The Veilguard sarà un gioco profondamente diverso dai precedenti capitoli della serie. Sono passati molti anni da Inquisition, l’azienda è cambiata quasi totalmente e il panorama dell’industria videoludica e del suo pubblico anche. In tutto questo sono usciti validisimi giochi di ruolo in questi ultimi anni, di cui l’opera di Larian rappresenta l’indubbio apice, e nei confronti del quale sarebbe puerile ingaggiare qualsiasi competizione.

Sono rasserenato dal fatto che la direzione intrapresa dal gioco (per quanto sia strano parlare di “direzione” per un titolo dalla gestione così travagliata) appaia conscia dei propri limiti ma anche della propria occasione: l’occasione di rilanciare un marchio storico dei videogiochi riproponendolo sotto una veste simile ma diversa dal passato, facendosi approcciare da un pubblico nuovo che potrebbe riuscire ad appassionare e fidelizzare, se saprà tener fede alle sue promesse di novità. L’incognita principale a questo punto riguarda narrativa e qualità della scrittura, aspetti critici che hanno sollevato finora qualche dubbio e che solo la prova completa potrà dipanare… e speriamo non confermare!

Dragon Age: The Veilguard esce il 31 ottobre su PC, PS5 e Xbox Series X|S.

This post was published on 22 Ottobre 2024 18:30

Alessandro Giovannini

Puoi scrivermi in modo sicuro a: alessandro.giovannini.1990@proton.me Cinema e videogiochi: le mie due più grandi passioni. Da bambino mi alzavo presto la mattina per giocare con il Sega Mega Drive II prima di andare a scuola; passavo i pomeriggi a guardare Terminator 2 fino a consumare il nastro della VHS; impiegavo le serate a cimentarmi nelle avventure grafiche di Lucas Arts su un glorioso PC con Windows 95 in compagnia di mio fratello. Poi è venuta la laurea in cinema, nonché le esperienze di redattore presso siti di informazione cinematografica e gaming. Su Player mi sono specializzato in analisi di mercato e monografie su developers e franchise storici della gaming industry. Ho anche lanciato la newsletter Gamer's Digest che offre una rassegna settimanale della principali novità dell'industria del gaming. Primo videogioco: The Adventures of Captain Comic (DOS) Videogioco console casalinga preferito: Final Fantasy VII (PSX) Videogioco console mobile preferito: Advance Wars (GBA) Piattaforme di gioco possedute: Super Famicom, Game Boy Color, Mega Drive II, PSX, PS2, PS3, PS4, Xbox One S, PC.

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