Il tempo che ci separa dall’uscita di Final Fantasy Rebirth è quasi esaurito. A ridosso dell’uscita siamo stati invitati oltre Manica per provare l’incipit del gioco. Si è trattato di una demo che riprendeva in parte il flashback di Nibelheim già visto nella build del TGS (qui il resoconto di quella prova a firma Giacomo Todeschini) ma espandendola all’intero primo capitolo, nonché una sezione inedita riguardante il villaggio di Kalm e l’approccio alle Grasslands, la prima mappa aperta del gioco. In definitiva la prova ha concesso qualche ora per affrontare i primi due capitoli di Rebirth, che inizia immediatamente dopo la fine di Intergrade, l’espansione di Remake dedicata al personaggio di Yuffie.
Questo secondo capitolo della trilogia permette insomma di riprendere l’avventura esattamente da dove eravamo rimasti, offrendo al giocatore un perfetto senso di continuità con quanto esperito nel segmento precedente. Per chi avesse bisogno di un veloce ripasso o fosse un totale neofita, nel menù principale del gioco sarà comunque presente un filmato riassuntivo degli eventi di Remake.
Il capitolo 1 di Rebirth si apre nella locanda di Kalm, piccolo borgo a qualche decina di chilometri di distanza da Midgar, dove i nostri eroi si trovano a passare la notte dopo la rocambolesca fuga dalla metropoli controllata da Shinra. Il loro arrivo nel villaggio si può vedere nel filmato conclusivo del DLC Intergrade, di cui è consigliata la prova qualora voleste essere in totale sintonia con l’incipit di questo gioco. Rebirth, infatti, non si perde in chiacchiere ed in inizia in medias res, dando per scontato che il giocatore abbia ben chiari gli avvenimenti occorsi fino a quel momento. Cloud inizierà a raccontare gli avvenimenti verificatisi qualche anno prima nella sua città natale: non mi addentrerò troppo nei particolari della narrativa di questo segmento per evitare spoiler ai neofiti del gioco; tutti gli altri possono stare tranquilli sul fatto che quanto viene raccontato in questo lungo flashback ricalca pedissequamente i fatti narrati nel gioco originale.
La premessa narrativa, a grandi linee, vede un giovane Cloud appena inserito nei ranghi dei SOLDIER (le milizie d’élite di Shinra) accompagnare il leggendario guerriero Sephiroth in una missione apparentemente di routine: investigare su alcuni strani fenomeni occorsi in un vecchio reattore mako dismesso sito tra le montagne vicine al villaggio di Nibelheim. Arrivati sul posto, Cloud avrà occasione di ricongiungersi con la vecchia amica d’infanzia Tifa, che farà da guida alla spedizione in vetta. La spedizione però prenderà una piega imprevista e gli avvenimenti si faranno ben presto tumultuosi e drammatici.
Nel rivangare il misterioso passato, i ricordi di Cloud non sembrano combaciare del tutto con quelli di Tifa, e queste incongruenze per il momento rimarranno un enigma senza soluzione.
In definitiva l’incipit di Rebirth innesta la sezione tutorial della demo del TGS – che introduceva l’inedita meccanica della scalata delle superfici verticali, la possibilità di controllare Sephiroth in combattimento e l’introduzione delle manovre sinergiche – in un più ampio flashback che occupa la quasi totalità del primo capitolo del gioco, che si conclude poi con i nostri eroi che si ritirano per la notte nella locanda. Nel corso della prova Square Enix non ha concesso l’estrapolazione di immagini o video da questo capitolo per evitare spoiler, ma voglio comunque spendere qualche parola per commentare quanto ci sia di riuscito e quanto no in questo inizio di gioco.
Lo sforzo profuso da Square Enix per non far percepire alcuna soluzione di continuità tra Remake/Intergrade e Rebirth fa sì che l’inizio del gioco sia agli antipodi della scoppiettante sequenza d’apertura del precedente. Pacata e riflessiva anziché fulminea e spettacolare, si tratta di un’apertura di gioco all’insegna della calma, della riflessione e dello straniamento. Un flashback ambientato anni prima della vicenda principale, che scombina le carte in tavola presentando Sephiroth come eroe positivo e che ci pone di fronte ad un rapporto Cloud-Tifa particolarmente tormentato. I veterani del gioco sapranno già come decodificare il tutto, mentre ai neofiti sarà chiaro che l’opposizione tra realtà e percezione, tra verità e inganno sarà uno degli elementi chiave attorno a cui si costruirà la narrativa di questo sequel.
La scrittura di Nojima, al netto di qualche parentesi enfatica di troppo, riesce a mescolare vari registri di genere, dall’umorismo al dramma, dal mystery al fantahorror, in una lodevole prova di equilibrismo. Alcuni personaggi che nell’originale erano poco più che macchiette ora hanno quella scenetta in più, quella battuta aggiuntiva che concorre a tratteggiarne una personalità più precisa, mentre le new entries raramente lasciano il segno (questo vale soprattutto per Broden nel capitolo 2, su cui torno dopo). Aggirandoci per la cittadina di Nibelheim avremo l’impressione di una comunità viva, con lo stesso piacevole effetto di coerenza interna che ha contraddistinto la nuova veste di Midgar in Remake. Sul finale del capitolo, la narrazione raggiunge un valido climax emotivo destinato a lasciare più domande che risposte e ad invogliare il giocatore a proseguire nel gioco per saperne di più e dipanare il mistero che si annida nella mente di Cloud.
Per quanto riguarda le scelte di regia, esse risultano sempre sapienti ed efficaci riguardo la realizzazione delle scene di intermezzo e delle sequenze scriptate, anche se dal punto di vista dell’integrazione con il gameplay permangono soluzioni concettualmente un po’ vecchie che rendono alcune fasi leggermente tediose e prolisse: per fare un esempio spoiler-free, ad un certo punto Cloud rimane azzoppato e il gioco ci costringe a percorrere molti metri con questo insopportabile incedere claudicante; si tratta di un espediente che non aggiunge nulla alla componente emozionale del momento e che sarebbe stato meglio omettere. In altri casi, al giocatore sono concesse scelte di dialogo o di azione che però non sembrano influenzare sostanzialmente il corso degli eventi, o anche solo le micro-dinamiche legate a una scena specifica: ad esempio, la scelta di suonare o meno un pianoforte è in realtà finta, poiché il gioco non prosegue se non si sceglie di suonarlo.
La prova è stata effettuata sulla versione inglese del gioco. Pertanto, dovendomi riferire ad alcune nuove meccaniche ed elementi di gameplay, li indicherò in corsivo con la denominazione presente in questa build. Può darsi che nella localizzazione italiana assumeranno nuova denominazione.
Concluso il capitolo-prologo, riassumiamo il controllo del party nell’amena Kalm, dove saremo liberi di gironzolare per familiarizzare con alcune nuove meccaniche che Rebirth introduce allo scopo di stratificare ulteriormente l’esperienza di gioco.
La prima gradevole aggiunta è il minigioco di carte Queen’s Blood, tanto semplice nelle sue meccaniche quanto profondo a livello strategico: si gioca su una plancia divisa in tre sezioni, poste una sopra l’altra. Il giocatore e il suo avversario posizionano le carte delle rispettive mani a partire da uno dei due estremi della plancia. Ogni carta ha un costo di dispiegamento, un valore di punteggio e uno schema di influenza della plancia stessa, che determina su quali porzioni della stessa potremo posizionare le restanti carte. Una volta che ciascun giocatore esaurisce le mosse a sua disposizione, si somma il valore di punteggio delle carte sezione per sezione: chi ha racimolato il punteggio più alto si aggiudica la rispettiva sezione, e aggiunge punti al suo punteggio di vittoria. Si procede così per ciascuna sezione, si contano i punti totali e si determina chi vince la partita.
A Kalm è possibile sfidare alcuni cittadini in partite di bassa difficoltà, ma già si intuiva il fatto che più avanti nel gioco le sfide potrebbero farsi ostiche e variegate, con carte che attivano condizioni particolari e magari regole aggiuntive oltre a quelle spiegate nel tutorial. Come nelle migliori tradizioni dei giochi di carte della serie, sarà possibile espandere il proprio mazzo con carte sottratte agli avversari sconfitti, ed è ragionevole pensare che ci saranno carte rare ottenibili in modi unici. Insomma la prima sensazione è decisamente positiva, anche se l’approccio è un po’ diverso dai soliti card game poiché le carte non “combattono” una contro l’altra, ma accumulano semplicemente punteggio: lo scopo dunque è realizzare il miglior posizionamento sulla plancia piuttosto che sconfiggere le carte avversarie. Tuttavia, alcune carte hanno il potere di danneggiare quelle avversarie, aggiungendo un ulteriore livello di sfida. A proposito di minigiochi, in questa prova non si è vista l’ombra di Fort Condor, l’RTS introdotto in Integrade; mi viene difficile pensare che non sarà proposto anche in Rebirth, forse la sua presenza è stata omessa da questa specifica build.
In secondo luogo, sono stati introdotti i livelli del party (Party Level), una meccanica volta a premiare la nostra esplorazione del mondo e soprattutto delle relazioni tra i personaggi: particolari interazioni tra i membri del nostro party, azioni virtuose e sfide superate permetteranno di ottenere esperienza di gruppo, che porterà a dei veri e propri level up dell’esperienza del party. L’aumento di livello sbloccherà nuove abilità presenti nei folios dei nostri personaggi (ci torno fra poco). Inoltre effettuare determinate scelte di dialogo nel corso delle interazioni tra i membri del party potrà cambiare la nostra relazione con ciascuno di loro.
Si tratta di una meccanica leggermente diversa rispetto ai punti nascosti che nel precedente Remake portavano a determinare l’esito della scena dell’incontro notturno del Capitolo 14; in Rebirth i valori di legame tra i personaggi saranno resi più espliciti: dei pop-up ci notificheranno l’influenza di una nostra scelta sul rapporto tra Cloud e i vari membri del party, di cui avremo anche una rappresentazione grafica del livello di affezione tramite emoji di faccine più o meno sorridenti. Ovviamente, il livello del legame instaurato potrà cambiare alcune porzioni della storia, e i giocatori più navigati già immaginano che una delle più significative in questo senso riguarderà la scena dell’appuntamento al Gold Saucer (anche qui evito di dire altro).
Poco fa ho citato i folios, ma di cosa si tratta? Anche questa è un’aggiunta di Rebirth rispetto a Remake e consiste in una sorta di skilltree personalizzato per ciascun personaggio, cui potremo far apprendere nuove abilità investendo punti abilità (Skill Points, SP). C’è un po’ di tutto, dal grezzo aumento di statistiche a nuove abilità sinergiche. Con una meccanica reminiscente della Sferografia di FF X, l’acquisizione di un determinato core sbloccherà l’accesso a quelli ad esso collegati.
Alcuni core si renderanno disponibili solamente al raggiungimento di un determinato party level. Gli SP utili ad attivarli si otterranno invece ogni volta che si livella un personaggio, oppure in conseguenza del ritrovamento di particolari manoscritti, una procedura che ricorda la lettura delle riviste in FF VIII. Infine, in qualsiasi momento potremo riassegnare gli SP dei personaggi, saremo perciò molto liberi di sperimentare configurazioni diverse per trovare quella più adatta alle nostre esigenze; sono curioso di capire quanto queste meccaniche da minmaxer si riveleranno determinanti per affrontare il gioco: presumo che a difficoltà standard queste scelte saranno più flavour che altro, mentre a livelli di sfida maggiore potranno risultare davvero significative. Si direbbe insomma che i programmatori si siano divertiti ad aggiungere un sostrato di character building recuperando e riplasmando alcune meccaniche provenienti da precedenti capitoli della serie.
Anche la personalizzazione delle armi è stata completamente rivista. Abbandonata le meccanica di espansione vista in Remake, ora Rebirth propone una nuovo sistema di weapon upgrade anch’esso basato sugli SP, che potranno essere impiegati per livellare le armi e per sbloccarne bonus latenti, solitamente incrementi statistici ma anche bonus di altro tipo (nel caso di Barret, ad esempio, il primo upgrade ottenibile rende più difficile interromperne le azioni da parte dei nemici). È stata invece mantenuta da Remake la presenza di abilità uniche associate a ciascuna arma, il cui uso ripetuto porta al loro apprendimento e possibilità di utilizzo anche una volta cambiato equipaggiamento. Si tratta complessivamente di tante piccole aggiunte gradevoli, anche se rendono i menù di gioco parecchio affollati: bisognerà sondare quanto il sistema rimanga di facile gestione nelle fasi di gioco più avanzate.
L’introduzione a tutte queste nuove meccaniche si alterna ai nostri vagabondaggi per la graziosa cittadina di Kalm, creata magnificamente dagli artisti di Square Enix in salsa “medieval-punk”. Rispetto all’esigua piazza rotonda che nel gioco originale esauriva il borgo in un unico fondale pre-renderizzato, ora la cittadina pullula di ambienti, scorci suggestivi ed attività da intraprendere. Le sue dimensioni rimangono contenute, ma la cura per il dettaglio impreziosisce ogni passo con graziose botteghe, piccole attività da intraprendere, un naviglio interno in cui sguazzare (nel gioco si può nuotare in superficie ma immergersi sott’acqua, almeno per quanto visto finora) ed una rinnovata preminenza narrativa: gli eventi del gioco infatti renderanno Kalm protagonista di un’incursione di Shinra alla ricerca dei terroristi (noi), che ci obbligherà ben presto a cercare di sgattaiolare fuori dalla città.
Questo sarà possibile con l’aiuto di Broden, il locandiere, nuovo personaggio secondario che ci aiuterà a fuggire dalla città donandoci anche un ulteriore nuovo strumento, ovvero un trasmutatore in grado di trasformare risorse grezze in oggetti utili, sbloccandoci di fatto l’attività di crafting. Funziona in modo abbastanza classico, con le classiche formule/ricette che si potranno scovare in vari modi in giro per il mondo ed un lista di oggetti e accessori che è possibile forgiare a patto di aere i rispettivi ingredienti, ognuno col diversi livelli di rarità.
In merito a Broden, si tratta del tipico NPC che assolve la sua funzione nel giro di poche battute, e le cui azioni non appaiono del tutto giustificate. L’impressione è che si potesse escogitare qualcosa di più originale per imbastire la fuga del party dalla città, o viceversa che al personaggio in questione potesse essere garantito un maggiore screen time. In ogni caso, dalla prova effettuata non c’è modo di capire se avremo occasione di tornare a Kalm nel corso della partita, nel quale caso forse potremo saperne di più su di lui.
L’ultima parte della prova londinese ha permesso di scorrazzare in libertà per le Grasslands, la prima area aperta del gioco. È bene ribadire quanto sembra ormai chiaro: Final Fantasy VII Rebirth non è totalmente a mondo aperto, ma ha una struttura per così dire a fisarmonica, fatta di vaste aree aperte intervallate da sezioni di raccordo in ambienti più circoscritti. L’area aperta esplorabile in questa sezione è una vasta pianura frastagliata, una prateria cinta da montagne da un lato e da una costa a strapiombo sul mare dall’altro, su cui il nostro sguardo di giocatori si estende a perdita d’occhio. L’abbandono del matte painting in favore di background interamente poligonali ha migliorato sensibilmente il senso di maestosità generale rispetto a Remake, che pure non sfigurava affatto dal punto di vista estetico. Quasi tutto ciò che si vede è raggiungibile (e dove non arrivano i piedi nudi potrebbero, in futuro, arrivare i chocobo) e i punti di interesse non mancano di risaltare subito all’occhio, invogliando il giocatore a muoversi nella loro direzione.
Devo sottolineare che, arrivato a questo punto della mia prova, non avevo più tanto tempo a disposizione, dunque la mia impressione su questa porzione di gioco è parziale. La mancanza di un obiettivo specifico di fine demo, poi, non ha giovato, lasciandomi tra l’incudine delle infinite possibilità di cose da fare e il martello dell’orologio impietoso. Mi sono aggirato un po’ qua e un po’ là per la mappa, cercando di farmi un’idea delle sue dimensioni e della quantità di attività che fosse possibile intraprendere al suo interno. Col senno di poi avrei volentieri rushato il Capitolo 1 per concentrarmi sul secondo, dato che il tempo è stato quantomai tiranno. In ogni caso, ecco una carrellata della tante attività in cui ci si può imbattere nelle Grasslands.
Le dimensioni dell’area esplorabile appaiono generose, eppure per arrivare alla zona paludosa che ne contrassegna la fine bastano una manciata di minuti in sella ad un chocobo; non ho condotto cacce in questa demo, in compenso mi sono imbattuto in Chadley, sempre ansioso di proporci nuovi combattimenti virtuali ed ulteriori sfide di abilità da effettuarsi nel corso delle nostre avventure; vi sono ruderi da setacciare in cerca di tesori, personaggi che danno l’avvio a quest secondarie se interagiamo con loro, misteriosi luoghi in prima battuta inaccessibili che forse lo diverranno al completamento di incarichi o alla scoperta di segreti, addirittura covi di banditi in cui penetrare in modalità stealth.
Ci sono anche incarichi secondari legati alla modalità foto, che vi sproneranno a tentare di realizzare degli scatti perfetti ricompensandovi con filtri unici. Sono stati introdotti i Summon Crystal che, se trovati, permettono di intraprendere un minigioco basato sulla memoria che vi permetterà di rafforzare le vostre evocazioni. Si possono anche scansionare sorgenti di lifestream cristallizzate per ottenere dati e informazioni su flora e fauna di una regione, oltre che scampoli di lore e frammenti di storia locale; il tutto viene archiviato in un registro sempre consultabile dal menù.
Infine, ovviamente, ci sono i chocobo. Tramite la storia principale saremo introdotti al Chocobo Ranch, che ci affiderà il compito di rintracciare un pennuto smarrito. Una volta fatto avremo accesso alle simpatiche cavalcature, di cui potremo anche acquistare accessori e potenziamenti. Ovviamente potremo catturare chocobo selvatici, a patto di avere dell’erba gysahl con cui attirarli. Potremo anche cimentarci in prove di velocità in sella agli adorabili pennuti in fase di addestramento.
Insomma le attività da intraprendere sicuramente non mancano, anche se non si è visto nulla che faccia gridare al miracolo per originalità o guizzo. Le stesse dimensioni delle Grasslands non sono state del tutto comprensibili da questa prova; teniamo comunque conto del fatto che questa è solo una porzione di uno dei due continenti nei quali si dipana il gioco, che senz’altro non risulterà avaro di attività né di superficie calpestabile!
In ultimo, il sistema di combattimento è l’aspetto che ho più trascurato in questa prova, nella quale ho ingaggiato giusto una manciata di battaglie al di fuori della sezione tutorial di Nibelheim. A parte l’assenza di Yuffie nel party, che immagino si unirà a noi con un evento ad hoc poco più avanti, non ci sono state novità di rilievo rispetto a quanto visto nella demo precedente. Se non altro le spiegazioni dettagliate fornite a Kalm hanno dato un quadro complessivo più esaustivo rispetto alle abilità sinergiche tra i personaggi, che come abbiamo visto sono personalizzate per ciascuno di essi e sbloccabili negli skilltree dedicati. Inoltre esse non possono essere selezionate in combattimento fino al riempimento delle relative cariche, che a loro volta dipendono dall’esecuzione di determinate abilità che consumano le barre ATB.
Insomma l’intera fase di combattimento si potrebbe definire una lunga reazione a catena, o se preferite, una lunga concatenazione di input che starà al giocatore pianificare a dovere per infliggere di volta in volta l’agognato status di stremo ai nemici, e subissarli poi dei nostri colpi migliori. Tutto questo ben di Dio fa sì che la composizione del party sia un elemento chiave nella riuscita di uno scontro, e dal menù è possibile configurare vari preset di party tra cui switchare a piacimento (non in combat, sia chiaro); attendo con vivo interesse di trovarmi davanti a boss fight particolarmente impegnative che costringano a ricorrere all’intero potenziale strategico offerto dal gioco per mettere a segno vittorie che siano di testa ancora prima che di dita.
Non che l’azione non ci sia, anzi: le ampie possibilità di manovra e il combattimento in tempo reale non rinuncia minimamente al suo sostrato tattico, fatto anche di sfruttamento di debolezze elementali, attacchi Limite, abilità speciali (ogni personaggio continua a possederne una specifica) e i consueti automatismi garantiti da alcune materie di supporto che assolvono in parte al ruolo di primordiale gambit system (come cure automatiche, sincromagie e altro ancora). Ora si aggiunge anche la possibilità di effettuare un attacco preventivo nel caso si riesca ad ingaggiare il nemico prima che quest’ultimo ci avvisti; ciò permette di sferrare il primo colpo e di iniziare il combattimento con un piccolo riempimento di barra ATB. Se saremo bravi e rapidi potremo stremare i nemici in men che non si dica!
La prova di Final Fantasy VII Rebirth ad un mese dal lancio conferma quanto di buono emerso dalla demo del TGS e promette di costruire, sulle solida fondamenta di Remake, un edificio elegante, moderno ed accogliente. Raffinato ulteriormente il sistema di combattimento, che rappresenta una delle migliori formule action-RPG in assoluto, e seminate sensazioni positive in merito a vastità e longevità del titolo, la principale incognita è rappresentata ora dalla componente narrativa. Nulla di ciò che è stato mostrato in questa prova si discosta particolarmente dal gioco originale a livello di trama (eccetto l’espediente che ci obbliga a lasciare Kalm, tuttavia perfettamente integrato nel corso degli eventi), ma d’altro canto nulla ha lasciato intuire rispetto alla direzione che Nojima, Hamaguchi e Nomura hanno intrapreso per conciliare la vicenda originale agli sconclusionati twist di Remake. Solo quando avremo il gioco fra le mani otterremo finalmente tutte le risposte cerchiamo, proprio come il nostro smemorato Cloud Strife.
This post was published on 7 Febbraio 2024 1:01
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