“Il 12 maggio uscirà un gioco che potreste aver sentito nominare. Si chiama The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. Vi invito a giocarci il più possibile ma non al punto da scordarvi di parlare di Final Fantasy XVI quando sarà il momento.”
Così, scherzosamente, il producer Naoki Yoshida ha concluso il suo intervento introduttivo a uno degli altri giochi più attesi di quest’anno: pur avendo segnato la data in rosso sul calendario sarebbe stato difficile, perché Final Fantasy XVI si è impresso a forza già solo nella prima ora di gioco, senza neppure arrivare a tutte quelle disponibili durante l’evento cui abbiamo preso parte in quel di Milano.
Trovare un solo aggettivo che definisca l’esperienza è impossibile, perché il gioco segue un proprio ritmo, lo detta in base alla necessità e non ci pensa due volte a mollarti uno schiaffo per farti riprendere dalla fascinazione di luoghi, situazioni e personaggi, o dalla concentrazione di un sistema di combattimento dinamico e mai meccanico nella sua esecuzione. Forse quello che gli si addice di più è “sfumato” perché di questo vive Final Fantasy XVI: sfumature, mutazioni a volte impercettibili nella loro gradualità, che voglio raccontare una storia priva di filtri, senza la pretesa di insegnare al giocatore cosa sia giusto e cosa no. Sono considerazioni che deve maturare da sé, al fianco di Clive e altri personaggi narrativamente non meno validi.
L’intervista con Naoki Yoshida, assieme a Hiroshi Minagawa e Michael-Christopher Koji Fox, è stata un’esperienza unica che avremmo portato avanti per ore ma vi dedicheremo un articolo a sé: qui faremo una panoramica no spoiler delle nostre ore trascorse su Final Fantasy XVI.
Mentre scorrevano le immagini sullo schermo, mentre prestavamo attenzione a ogni linea di dialogo, inflessione, espressione e gestualità dei personaggi, in situazioni sempre diversi e coinvolgenti per un motivo o l’altro, lentamente ci è tornata alla mente questa citazione dalla serie televisiva One Tree Hill. Un monologo di circa due minuti, tratto dalla scena finale del sedicesimo episodio della terza stagione, considerato un vero e proprio punto di riferimento per la serie: gli eventi e il periodo storico non potrebbero essere più diversi, è vero, ma la bellezza delle parole sta nella loro trasversalità, nel modo in cui possiamo sentirle echeggiare persino e soprattutto dove non ce lo saremmo aspettato.
Ve la riportiamo in lingua originale.
Does this darkness have a name? This cruelty this hatred.
How did it find us, did it steal into our lives or did we seek it out and embrace it?
What happened to us that we now send our children into the world like we send young men to war, hoping for their safe return but knowing some will be lost along the way.
When did we lose our way?
Consumed by the shadows swallowed whole by the darkness.
Does this darkness have a name… Is it your name?
Sebbene il protagonista, nonché unico personaggio direttamente controllabile dal giocatore, sia Clive Rosfield, quella di Final Fantasy XVI è una storia corale: proprio come l’episodio della serie è stato pensato per essere collettivo nella sua narrazione, il gioco parla e racconta attraverso diverse voci, anche quelle che possono sembrare meno rilevanti.
Clive è il perno attorno al quale ruotano le vicende principali ma una storia, per respirare, ha bisogno di molto di più e in un mondo sfaccettato come Valisthea lui da solo non è sufficiente a trasmettere la ricchezza di un’ambientazione così finemente ricostruita: è qui che intervengono gli altri, comprimari, antagonisti o semplici personaggi di passaggio, tutti pronti a offrire un contributo per aggiungere un piccolo pezzo in più al puzzle. Lo fanno attraverso le parole ma anche i gesti, gli atteggiamenti, i vestiti, le espressioni, tutto: nulla dà mai l’idea di essere fuori posto.
Sappiamo che c’è una guerra in corso a carattere generale, ne apprendiamo la gravità da un brevissimo iniziale scambio tra Clive e suo padre Elwin, e ne conosciamo alcuni degli effetti più “nascosti” come il rischio di carestia dalle chiacchiere delle domestiche mentre esploriamo: sentiamo una di loro dire che il raccolto del grano è calato di nuovo e un’altra risponderle che se la guerra dovesse continuare ad andare per le lunghe, moriranno di fame. In 2 semplici scambi di passaggio abbiamo capito che: il conflitto va avanti da tempo sufficiente a ridurre sempre più i raccolti; la situazione del ducato è preoccupante in termini di approvvigionamenti.
La finezza di Final Fantasy XVI è il suo non essere didascalico: i rapporti tra i personaggi, o il loro status sociale, si comprendono dal contesto e da come interagiscono fra loro o con chi li circonda. C’è naturalmente un’enciclopedia a corredo per chi volesse dettagli ulteriori, tuttavia almeno fin dove abbiamo potuto leggere è anch’essa asciutta, essenziale: poche righe, quanto basta per inquadrare Valisthea con i suoi regni, lasciando sia il gioco vissuto a raccontare tutto.
Da adolescente figlio “cadetto” del ducato di Rosaria, non per mancata primogenitura bensì per non essere il custode di Fenice, a giovane uomo mercenario e oltre, la strada di Clive si prospetta impervia e sofferente: le prime impressioni che abbiamo ricavato, da lui ma non solo, sono di una storia raccontata per quello che è, senza filtri che possano in qualche modo sporcarla di una qualche forma di giudizio. I personaggi visti in azione si presentano con le loro luci e ombre, sfaccettature che consentono loro di inserirsi fluidamente nella narrazione, offrendo differenti punti di vista su una situazione che va ben oltre la “banale” faida tra i regni.
Gli Eikon e la guerra sono dei pretesti per raccontare l’umanità che vi sta dietro, i sacrifici, i conflitti interiori in modo particolare da parte di chi potrebbe quasi essere considerato un dio tra gli uomini (i Dominanti). Nella sua crudezza, nel suo essere spietato e non guardare in faccia nessuno, Final Fantasy XVI sembra promettere una storia in grado di affiancarsi ad altre indimenticabili come Vagrant Story. Il prologo ad esempio, che abbiamo visto nella sua interezza, è un crescendo continuo di tensione che alla fine esplode, lasciandosi poi dietro una quiete istupidita dove provare a fare il punto e capire cosa ci riserva il destino – a noi come a tutti i personaggi coinvolti. Il lavoro di scrittura si conferma per adesso di altissimo livello.
La discussione più animata attorno a Final Fantasy XVI ruota attorno al suo gameplay. Nello specifico al sistema di combattimento, giudicato da alcuni un tradimento rispetto ai canoni della saga (soprattutto per gli affezionati del sistema a turni) e un “Devil May Cry-like” che va in qualche modo a snaturare l’essenza di Final Fantasy – ricordiamo che il Combat Director del gioco è Ryota Suzuki, adottato da Capcom ed ex lead designer di Dragon’s Dogma, tra gli altri. Lasciando tutto questo da parte, il valore del gioco e del suo sistema di combattimento in costante evoluzione lo si percepisce, ovviamente, con il pad alla mano.
A differenza di Final Fantasy VII Remake, che ha giocato tra innovazione e tradizione presentando un action dov’era tuttavia possibile sfruttare la pausa tattica per impartire comandi ai compagni o utilizzare tecniche e magie, Final Fantasy XVI punta su un action a trecentosessanta gradi che però, dal passato, si porta dietro la necessità di pensare mentre si agisce. Action vuol dire libero dai legacci di un sistema di turnazione ma non per forza frenetico, irrazionale o button mashing.
Dinamico sarebbe il termine più corretto per definire il combattimento in Final Fantasy XVI. Come abbiamo detto, l’unico personaggio controllabile sarà Clive (con una piccola eccezione in un momento specifico del prologo) ma sarà ad esempio possibile impartire comandi al nostro fidato Torgal una volta che si unirà al gruppo. Il tutto senza mai mettere in pausa il gioco, come nel già citato Final Fantasy VII Remake: Clive ha il suo set di pulsanti dedicato così come Torgal, che si gestisce tramite il D-pad del controller. Da ragazzo e fino all’età adulta, Clive cresce e il suo stile si modella con lui: da giocatori, ne seguiamo i passi imparando piano piano a gestire un sistema che, avanzando con la storia, si farà sempre più complesso e stratificato, arrivando a dipendere molto dal modo in cui si gestiranno i poteri di Clive. Se all’inizio, da ragazzo, lo vediamo agire con una piccola parte dei poteri di Fenice – che non ha ereditato allo stesso modo del fratello Joshua – in seguito ci dovremo adattare a Ifrit, Garuda e diversi altri.
Prima di proseguire, è opportuno specificare che quanto da noi giocato rappresenta una versione speciale creata per l’esperienza stampa, motivo per cui i contenuti potrebbero differire dal gioco finale. In termini di bilanciamento, poteri e progressione generale del sistema di combattimento è possibile ci siano delle differenze ma già così ci siamo fatti un’idea chiara del tipo di esperienza che Final Fantasy XVI intende offrire: torniamo sulla questione del dinamismo, al quale affianchiamo l’improvvisazione perché, seppur vero che le abilità e gli equipaggiamenti di Clive possono essere modificati a seconda del bisogno, è altrettanto evidente che alcuni nemici (boss in particolare) non vanno giù tanto in fretta e serve adottare una strategia, basata sullo stile di combattimento che più ci è congeniale: chi vi scrive, per esempio, fa molto affidamento sul parry e le schivate, soltanto in seguito alle quali concatena attacchi più elaborati, e non ha in particolare simpatia le magie. C’è chi invece preferisce il contrario, ovvero un’offensiva prettamente magica; altri ancora prediligono un’equilibrata via di mezzo. In tal senso, Final Fantasy XVI non mette paletti di nessun genere e, anzi, andrà a stratificarsi ulteriormente quando arriveremo a poter combinare tra loro i poteri degli Eikon.
Possiamo vedere questi ultimi come degli stili, similmente a quelli da padroneggiare in Devil May Cry: ciascun Eikon ha degli attacchi diversi, di elemento e portata altrettanto differenti. Da quanto si è potuto vedere, Clive può equipaggiarne due al contempo e passare da uno all’altro per ottimizzare il più possibile la sua efficacia in combattimento. Ciascuna abilità ha un proprio tempo di ricarica e molte di queste possono essere potenziate nel menu di sviluppo del personaggio. Se con i nemici comuni l’obiettivo è semplicemente sbarazzarsene il più in fretta possibile, tenendo conto di punti di forza e debolezza, nonché eventuali priorità in base a chi ci troviamo a fronteggiare, con i boss la questione è più articolata: bisogna puntare a stordirli svuotando la barra della resistenza, in modo che subiscano molti più danni. Consumando la prima metà possiamo farli tentennare brevemente e guadagnare un po’ di vantaggio ma è stordendoli che guadagneremo il massimo in termini di combo e danni inflitti.
Il passaggio da un potere all’altro è fluidissimo e avviene senza pressoché rendersene conto, dando modo di concatenare mosse di tipo differente in base alla necessità. Molto bello è stato anche notare la differenza di approccio dei due Eikon: laddove Fenice è più esplosiva e tendente al singolo attacco che infligge danni ingenti, Garuda opta per un approccio più continuativo e dai danni minori. Inoltre, se la prima permette a Clive di avvicinarsi subito al nemico, il secondo sceglie di agganciarlo e trascinarlo a sé, permettendo dunque di restare più distanti nel combattimento e correre meno rischi nel caso in cui si punti a un obiettivo specifico all’interno di un gruppo. Com’è logico pensare, una maggiore efficacia nel portare a segno gli attacchi in modo costante permette di spezzare più in fretta la resistenza del nemico – ovviamente giocando anche sulle sue debolezze – e guadagnare molteplici finestre in cui massimizzare il danno. Final Fantasy VII Remake in questo vi ha sicuramente già fatto scuola.
Se questa è solo la superficie del sistema di combattimento, non vediamo l’ora di arrivare al momento in cui le cose si faranno davvero serie, sia in termini di gestione sia di nemici che dovremo abbattere. Il nostro suggerimento e non fermarvi alla superficie e a un paragone di comodo, nonché prevenuto: c’è tanto per cui essere soddisfatti da questo aspetto del gameplay, senza che vada in alcun modo a rovinare la memoria della saga. Sperimenta, proprio come ha fatto Final Fantasy VII Remake (la cui formula è attualmente la migliore), e sembra abbia trovato la sua strada ideale spalancandosi a diversi giocatori e ai loro approcci.
Ci sarebbe ancora tanto di cui discutere, come l’esplorazione e la gestione degli equipaggiamenti, ma sono aspetti che abbiamo visto troppo brevemente per fornire loro l’analisi che meritano. Il fatto che Final Fantasy XVI sia open map, per quanto ci riguarda, è una boccata d’aria fresca in un panorama che si sta sempre più riempiendo di open world che poi risulta difficile riempire in modo interessante. Qui il team di sviluppo pare abbia optato per mappe molto vaste ma con un certo limite, entro le quali è possibile incontrare sfide e missioni di ogni genere e che comunque, data la loro ampiezza, offrono un ottimo colpo d’occhio nonché tanto respiro. Questo sedicesimo capitolo ha appena iniziato a svelare le proprie carte ma se quanto visto è giusto un assaggio, le aspettative non possono che alzarsi: considerato ciò che Yoshida e il suo team sono stati in grado di fare con Final Fantasy XIV, concedere loro fiducia è il minimo sindacale. A maggior ragione dopo aver visto e provato con mano il gioco.
This post was published on 22 Maggio 2023 15:00
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