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Wild Hearts | Anteprima (PC) | Welcome to The Jungle

La caccia è iniziata. O forse è meglio dire che la caccia sta per iniziare.
I giochi di caccia sono un genere che ha sempre affascinato le community di videogiocatori, appassionati di raccolta di materiali, grinding e armi ridicolmente grandi. Ed è molto importante che giochi del genere esistano.

Proprio come i videogiochi di guerra diventano delle semplici simulazioni di situazioni che, nella realtà, sono estremamente controverse e di cui nessuno si potrebbe dire appassionato senza diventare vittima di sguardi inquisitori, così è la caccia. La caccia è una delle passioni che più attirano polemiche che, solo di rado, riescono ad acquietarsi in una zona di comfort per tutti gli interlocutori coinvolti.

Ebbene, giochi che riescono a ricostruire le sensazioni della caccia, senza però il rischio di attirare antipatie, grazie ad ambientazioni e prede fittizie, sono una manna per chiunque voglia vivere quell’adrenalina senza fare del male a nessuno e senza mai abbandonare la propria scrivania.

Cuori selvaggi!

Per tutti gli appassionati di questo sotto genere dell’action, però, le alternative non sono mai state troppe. Chi prima chi dopo, finiva per confluire su Monster Hunter. La prolifica serie di Capcom è stata, per molto tempo, una singolarità inscalfibile nel mercato videoludico. La complessità crescente delle sue meccaniche, i meccanismi basati tanto sull’abilità quanto sulla strategia, sembravano rappresentare un inavvicinabile standard per chiunque si volesse affacciare, come competitor.

Quando una moda esplode però, si cerca inevitabilmente di seguirla, cercando di creare qualcosa che possa permettere ai fan della suddetta, di riconoscerne le caratteristiche principali, dando quel senso di familiarità che crea l’affezione. E, a parte qualche tentativo più recente come Dauntless, un free to play molto più immediato ma comunque simile nella struttura al colosso di Capcom, il vero competitor è sempre stato rappresentato da Toukiden.

Toukiden è il nome di una serie di giochi di caccia che, dall’inizio degli anni ’10 del 2000 ha cercato di dare un’alternativa agli affezioanti di Monster Hunter. Creando mondi nuovi, con nuove ambientazioni e mostri diversi, si cercava di renderlo qualcosa di lontano dall’universo già consolidato di MH. E la sua natura di competitor non è sicuramente velata, dato che furono gli stessi sviluppatori ovvero Omega Force e Koei Tecmo Games, a dichiarare nel 2013, al rilascio di Toukiden: Age Of Demons su PS Vita, di voler essere una risposta a Monster Hunter che in quel periodo approdava su Nintendo 3DS.

La stagione di caccia sembrava quindi aprire nuove ed interesssanti porte, cercando di portare, nel nome della concorrenza, una corsa alla creazione del miglior gioco possibile. Ma non andò tutto liscio.

Toukiden infatti, ricevette un’accoglienza abbastanza fredda da parte del pubblico occidentale, che difficilmente riusciva a interfacciarsi con un’ambientazione che scavava più a fondo nella cultura e nel folklore giapponese. La critica invece, ha sempre tenuto i voti dell’intera serie oscillanti tra 71 e 74 centesimi (tali medie sono consultabili sull’aggregatore di voti Metacritic).

Non brutti giochi, ma pieni d’ingenuità di sviluppo e che non riuscivano a brillare in nulla.

Poi, dopo tanto silenzio, si accende una fiammella all’imbrunire del 2022.
Il suo nome è Wild Hearts.

La riscoperta della caccia

Corri, corri

Wild Hearts è un gioco di caccia sviluppato da Koei Tecmo Games e distribuito da, nientemeno che Electronic Arts. Stessi sviluppatori di Toukiden ma, stavolta, con alle spalle una grande casa di distribuzione, più fondi e soprattutto più esperienza.

Wild Hearts punta infatti, ancora una volta, a diventare un attore fondamentale nella discussione riguardo ai giochi di caccia e per farlo, cerca di attingere all’esperienza che il mondo del videogioco ha accumulato negli anni, aprendosi a nuove prospettive, senza dimenticare mai le radici delle proprie scoperte.

Dopo aver partecipato all’incontro riservato alla stampa, siamo finalmente pronti a raccontarvi per bene cosa ci è stato detto dagli sviluppatori di Wild Hearts, Kotaro Hirata e Takuto Edagawa, di quali siano i punti di forza su cui il gioco cerca di imperniarsi.

Uno dei fattori su cui più di tutti si è puntato, riguarda l’ambientazione della nostra avventura. Ci muoveremo infatti in un continente fittizio, basato nell’estetica e nel folklore sul Giappone feudale e sulle tradizioni che l’hanno reso affascinante ai nostri occidentali occhi. Verrebbe da chiedersi se questa sia la scelta giusta, dato che già con Toukiden, l’esperimento sembra non aver portato i risultati sperati.

Tanti anni sono passati però da Toukiden e, insieme a Koei Tecmo, anche i giocatori sono cresciuti e hanno sviluppato nuovi gusti dovuti a mode che sembrano essere diventate presenti in ogni aspetto della società. Da qualche anno a questa parte infatti, il setting giapponese, che sia feudale o moderno, pare aver sviluppato un’attrattiva verso i giocatori che nessuno si sarebbe mai potuto aspettare.

Vi è stata la riscoperta del feudalesimo, con titoli che ne hanno elevato l’estetica e la filosofia, come Ghost Of Tsushima. La delicatezza del fiori di ciliegio e le sconfinate colline verdi a fare da sfondo all’inesauribile componente spirituale, tipica delle religioni che abbracciano le tradizioni della terra del sol levante.

Il Giappone, coi suoi modi e la sua cultura, ha conquistato l’occidente. In quest’ottica, si incastra dunque benissimo la scelta di ambientare la nostra avventura in un medioevo fittizio ma così simile a quello che il Giappone ha realmente attraversato, che ha visto la tecnologia bellica prosperare grazie ai contatti con l’occidente, con l’approdo dei portoghesi su terra giapponese e l’importazione della polvere da sparo.

Ovviamente, si tratta di un mondo fantasy. Non ci sono portoghesi e la polvere da sparo è sostituita da una forza spirituale che confluisce nel mondo materiale e che da vita alla più grande peculiarità di Wild Hearts. Ma ne parliamo tra poco.

Difficoltà nello sviluppo

Bestie immonde

Durante la conferenza, i due sviluppatori a capo del progetto, sono riusciti ad aprirsi nonostante l’impaccio iniziale. Da loro è trasparita una voglia di raccontare qualcosa, una voglia di far conoscere a tutti il mondo che avevano cercato di costruire con tanta fatica, lavorando silenziosamente per anni. Insomma, nonostante la nomea di Electronic Arts non si associ tanto a questo genere di racconto, Wild Hearts sembra avere un cuore pulsante, un’anima creativa inequivocabile.

Tuttavia, giungere a questo risultato non pare esser stato un gioco da ragazzi. Da quanto dichiarato dagli sviluppatori, il processo di creazione e sviluppo del titolo procedeva a “tentativi ed errori“. Inizialmente, uno dei più grossi problemi, era legato al concept della caccia e, soprattutto, a cosa cacciare.

Per un pubblico moderno e smaliziato, che arriva da anni dietro a giochi di caccia molto complessi e con creature estremamente elaborate nel design, bisognava capare quale sarebbe stata la scelta più efficace.
Ed in quest’ottica, si piazzano i Kemono.

I Kemono sono infatti i “nemici del gioco, le nostre prede, ignari antagonisti che ci ritroveremo ad affrontare per preservare l’esistenza della razza umana. Si tratta di creature che riescono a fondere in esse aspetti di flora e fauna. Animali fusi con gli elementi della natura che li circonda e in grado di controllare quella stessa natura. Creature che hanno raggiunto un grado di evoluzione ed adattamento al territorio in cui vivono, da diventare parte di esso. Si tratta quindi, perlopiù, di creature sedentarie che dimostrano però, grande capacità d’adattamento ai cambiamenti.

Un altro problema era però gestire la potenza dei Kemono. Gli sviluppatori hanno infatti dichiarato che:

Convinti che il successo di un gioco di caccia sia dato dalle prede da cacciare, abbiamo continuato a creare Kemono sempre più potenti. Ma ciò portò ad un altro problema: non sapevamo come i giocatori avrebbero potuto affrontarli e sconfiggerli. In quel momento, le armi date ai giocati non avrebbero mai potuto battere un Kemono

E proprio da questo problema, arriva il colpo di genio, il guizzo che permette oggi di parlare di Wild Hearts come qualcosa più che una semplice copia sbiadita di Monster Hunter: i Karakuri.

Karakuri, la novità

Big bonk

Come facevano gli uomini preistorici, sforniti di qualsivoglia arma moderna che si possa definire tale, a cacciare enormi bestie come i mammut, le tigri e altri predatori naturali?

Mentre gli animali si adattano al luogo in cui vivono e, tramite processi evolutivi, riescono a sviluppare capacità che permettano loro di vivere al meglio in qualunque posto, gli uomini agiscono diversamente. L’uomo ha sempre cercato di adattare il luogo in cui vive, alle necessità che voleva soddisfare. L’ingegno umano risiede proprio nella capacità di intuire quali siano i metodi migliori per rendere familiare anche la più austera delle situazioni.

Seguendo questa linea di pensiero, gli sviluppatori di Wild Hearts capiscono il da farsi e si chiedono: <<come farebbe un uomo ad affrontare queste enormi creature, in grado addirittura di controllare fisicamente il terreno dello scontro?>>. La risposta sono i Karakuri.

Senza entrare troppo nello specifico di quale sia la forza che controlla i Karakuri e lasciandovi lo sfizio di scoprirlo, basti sapere che i Karakuri sono degli strumenti che è possibile creare durante una battuta di caccia e che permettono di avere dei vantaggi tattici sulle varie creature. Ne esistono di vari tipi: dalle semplici casse che permettono di guadagnare in altezza a trampolini che permettono manovre evasive e, ovviamente, anche alcuni strumenti che permettono manovre offensive.

Se in un primo momento si potrebbe essere scettici su questa meccanica, vista la natura del gioco e l’utilizzo che in passato molti titoli hanno fatto del crafting in battaglia, basterà giocare e ogni dubbio verrà superato.

Che bel braccialetto

I Karakuri si rivelano prima di tutto facili ed intuitivi da utilizzare, veloci da costruire. Non soffrirete la lentezza della costruzione, costretti inermi a subire le ire della bestia di turno mentre siete intenti a fabbricare uno strumento. La costruzione è immediata e anche la combinazione di tasti necessaria a costruire, si rivela molto comoda.

La perplessità di molti potrebbe risiedere nell’effettiva utilità di questi strumenti. Tanti, abituati ad altri titoli di caccia che non presentano questa meccanica, potrebbe quasi trovarla superflua. Basti sapere però che non solo i Karakuri molto spesso sono necessari ma si rivelano una delle cose più divertenti da utilizzare, permettendo al giocatore di liberare tutta la sua fantasia cercando di utilizzare gli strumenti sempre in modi diversi.

E gli sviluppatori ci invitano proprio a divertirci quanto più possibile con questi strumenti incredibili, a lasciare che, proprio come uomini primitivi ignari di fronte alle possibilità che offre la vita, ci lasciamo guidare dall’irrefrenabile senso di scoperta che un mondo così primordiale ci offrirà.

I Karakuri, oltre ad essere utili in battaglia, ci aiuteranno anche a muoverci più agevolmente per la mappa, creando modi diversi di affrontare la verticalità delle montagne o di attraversa le profonde vallate. E ancora, ci permetteranno di creare delle parti stabili di accampamento che potremo sempre ritrovarci disponibili sulla mappa, che permetteranno di riposare, accumulare risorse, cucinare, migliorare armi e armature, localizzare meglio i Kemono o, semplicemente, di dare al nostro campo un aspetto interessante.

Non saranno sicuramente i nostri unici strumenti. Avremo a disposizione 8 tipologie di armi di cui 5 immediatamente disponibili e 3 da sbloccare andando avanti con la storia. E sulle armi c’è forse qualcosa da dire.

Armi, armature e skill tree

Ombrello best arma

Crea per cacciare, caccia per creare.
In questo brocardo, si nasconde l’intera natura del gioco.

Wild Hearts è un gioco che cerca di far comprendere come la sconsideratezza non paghi mai e che una preparazione adeguata sia necessaria per la miglior riuscita di una battuta di caccia. E in quest’ottica, migliorare armi, armature e abilità è fondamentale per non farsi trovare impreparati.

Come detto, il titolo ci offre sin da subito la possibilità di scegliere fra 5 diversi armi: katana, spadone, arco, martello e ombrello con lame. Quest’ultimo è sicuramente tra la armi più particolari che si potessero proporre, in quanto rivela la possibilità di giocare in una maniera diversa: dal punto di vista estetico propone dei movimenti aggraziati e leggiadri, atipici alla tipologia di gioco; dal punto di vista del gameplay, offre una possibilità che nessuna altra arma offre ovvero la parata o parry che dir si voglia. La possibilità dunque non solo di evitare di subire un danno ma di deflettere l’attacco avversario ed usarlo a proprio vantaggio.

Le altre armi sono abbastanza lineari nell’utilizzo:

  • la katana è un’arma a corto raggio, molto veloce ed immediata che permette si infliggere una gran quantità di colpi in successione;
  • lo spadone (Nodachi) è un’arma a corto raggio, molto pesante che permette di effettuare combo brevi ma potenti, in grado di infliggere ingenti danni;
  • l’arco trasforma il gameplay, poiché permette un approccio da lontano con le prede, concedendoci vantaggi tattici non indifferenti, nonostante possa risultare ostico da utilizzare;
  • il martello o maglio è un’arma enorme e pesante, a corto raggio e che porta il giocatore al compromesso per cui ad una grande quantità di danni inflitti, corrisponde il rimanere totalmente scoperti a causa dell’enorme consumo di stamina.
  • L’ombrello infine, come già detto, è un’arma molto veloce, con la possibilità di deflettere attacchi nemici. Tuttavia, dovrete diventare veramente competenti per utilizzarlo al meglio o potrebbe finire col rivelarsi il vostro peggior nemico, nella frenesia del combattimento.
Ue, occhio di falco

I problemi, almeno per la build provata al momento, sono relativi al bilanciamento di alcune abilità, ostiche da utilizzare in maniera fluente in combattimento e che rischiano di appesantire l’esperienza. Non si tratta di problemi insormontabili e in questo aiuta sicuramente lo skill tree.

Dato che non ci sono delle vere e proprie classi, sono le armi a darci un po’ la classe d’appartenenza, a seconda che scegliamo un approccio più tattico e “ranged”, più fisico e “tank“, più di supporto magari creando marchingegni che permettano ai nostri alleati di affrontare al meglio le situazioni (degli alleati parleremo dopo).

E quindi, per espandere l’utilizzo delle armi e le loro finalità, l’albero delle abilità si rivela essere non solo estremamente ampio ma di una complessità incredibile, risultando al tempo stesso molto completo ma molto permissivo. Se infatti, per necessità di una specifica battuta di caccia, avessimo bisogno di una modifica all’arma così da renderla più efficace contro una determinata preda, potremo farlo senza troppi problemi. Basterà “annullare” i potenziamenti fatti fino a quel momento e, con i denari che ci verranno restituiti, percorrere un’altra via di potenziamenti.

Occhio però a scegliere bene cosa e come potenziare. Se è vero che ci vengono restituiti i soldi impiegati nelle migliorie, non sarà così per i materiali, che andranno persi e richiederanno nuove sessioni di farming per essere raccolti ed accumulati.

Infine, per quanto riguarda le armature, saranno craftabili con parti dei Kemono uccisi. Sarà quindi nostra premura capire che tipo di armatura vorremo e iniziare la ricerca del Kemono giusto, che possa darci i pezzi per crearla. Se dovessimo trovare un’armatura che a livello di statistiche risulti ottima per i nostri intenti, ma che non soddisfi la nostra idea estetica, potremo comunque scegliere dei modelli diversi con cui il nostro personaggio apparirà. Avremo quindi le statistiche di un’armatura e il modello di un’altra.

Una caccia in compagnia, una caccia da solo

Uno, due, tre, Karakuri

Un totale di due cacce ma Wild Hearts è questo qua… Sto divagando.

Una delle cose più interessanti, che aiuteranno sicuramente Wild Hearts ad essere giocato e rigiocato, è la possibilità di giocare sia in singolo, cacciando come un lupo solitario circondato solo da musica e/o rumori ambientali, sia la possibilità di giocare in modalità cooperativa. La co-op è disponibile fino ad un massimo di tre persone nello stesso mondo in contemporanea. Alla domanda sul perché limitare a tre persone l’affluenza in un mondo, gli sviluppatori hanno voluto chiarire che si tratta di un fattore di equilibrio tra potenza dei giocatori e dei Kemono. Non voglio rendere la vita semplice a nessuno.

Prima di tutto, diciamo subito che il gioco è crossplay quindi, qualunque sia la piattaforma da cui giocate, potrete interagire coi vostri amici o con qualunque sconosciuto riuscirete a trovare nelle sconfinate terre di Azuma.

Vi sono varie modalità di multigiocatore: potrete avviare una caccia dal vostro accampamento creando una sessione o unendovi ad una già esistente; potrete unirvi ad una sessione dai portali che si trovano in giro per la mappa e che vi segnalano a che tipo di caccia state andando incontro; potrete fare delle sessioni riservate solo ad amici, con cui condividere una password così da non subire ingerenze esterne.

Le cose più interessanti a riguardo sono sicuramente il fatto che la storia principale può essere affrontata interamente in cooperativa, andando ovviamente ad alleggerire il livello di sfida ma rendendo i combattimenti ancora più divertenti e spettacolari grazie all’uso combinato di vari Karakuri. Secondo poi, molti Karakuri, i cosiddetti “Karakuri del drago“, potranno essere piazzati da altri giocatori nel nostro mondo e noi potremo fare lo stesso quando andremo in visita in altri mondi.

Questi rimarranno per sempre nel nostro mondo (a meno che non decidiamo di distruggerli). In questo modo, i giocatori più avanti con l’esperienza potranno regalare strumenti pratici ed utili ai novizi per imparare a vivere meglio il mondo di Wild Hearts. Assisteremo ad una vera e propria evoluzione, passando da accampamenti scarni e immersi nella natura, a primordiale ma funzionale tecnologia.

O, più semplicemente, si potrà creare una lanterna per semplice estetica, come segno di gratitudine verso che è stato così gentile da accoglierci nel suo mondo. Sicuramente, la voglia di aiutarsi sarà forte visto che ci si sentirà tutti sulla stessa barca: piccoli ed inermi umani, devoti alla lotta contro i Kemono.

Conclusioni

La voglia di raccontare in maniera più approfondita il cuore del gioco è forte. Ci sarebbe veramente tanto da dire, in quanto a profondità sia di gameplay che narrativa. Al momento vi invitiamo semplicemente a tenere d’occhio un titolo che, apparentemente, potrebbe riservare grandi sorprese e che, soprattutto, potrebbe farvi venire voglia di non staccarvi più dalla sedia.

This post was published on 13 Febbraio 2023 16:00

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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