Un tempo suonavo la chitarra.
Avevo una band.
Avevo registrato perfino un singolo e fatto un mini-tour tra Campania e Lazio.
Facevo schifo ma la strada musicale che avevo intrapreso era un punto di partenza interessante e divertente per quella che mi sembrava la mia futura vita.
Poi è subentrata la vita vera, tra vicissitudini personali che non sto qui a raccontarvi, band sciolta, progetti collaterali fallimentari e spostamenti verso altre città per motivi di studio.
Insomma, gradualmente ho lasciato le mie chitarre a prendere la polvere, credevo ormai definitivamente. Il destino poi ha voluto che l’anno scorso riprendessi a suonare e registrare demo, complice la mia frequentazione dell’Apple Developer Academy di Napoli per la quale ho portato avanti alcuni progettini come autore musicale.
È tornata la voglia di suonare e con i soldi appena guadagnati ho deciso di fare il grande passo: comprare una chitarra nuova che mi stimolasse a riprendere in mano questa mia passione.
Il caso ha voluto che proprio in quei giorni arrivasse anche il nuovo Rocksmith+, quindi quale occasione migliore per provare la mia nuova Telecaster e per recuperare le mie abilità con la chitarra? Ubisoft mi ha gentilmente fornito ben 3 mesi di prova di questo nuovo capitolo di Rocksmith, per capire un po’ quali sono le novità rispetto all’eccellente predecessore del 2014.
I ritmi forsennati delle recensioni non si addicono per nulla all’analisi di un prodotto del genere che è mirato all’apprendimento. Imparare richiede tempo, perciò questo articolo, dopo circa un mese di prova, sarà uno dei tre che verranno pubblicati per monitorare i progressi effettivi delle mie abilità e del servizio di Rocksmith+.
Ai tempi di Guitar Hero e Rock Band, tante persone che provenivano da quei rhythm game si sentivano invogliate a imparare uno strumento vero. Tanti altri, già capaci di suonare una chitarra o un basso, si sentivano limitati nel dover comprare e usare un controller di plastica enorme che non sarebbe mai stato un vero strumento.
Rocksmith uscì nel 2014 proprio per fare presa su queste tipologie di persone, in un periodo in cui, tra l’altro, sia Guitar Hero che Rock Band andavano in calo di vendite. In maniera simile a questi due rhythm game, Rocksmith forniva la stessa interfaccia a scorrimento dalla forma di un manico di chitarra infinito sul quale dei pulsanti colorati e dei numeri rappresentavano le corde e i tasti dello strumento.
La particolarità di Rocksmith era che il gioco fosse fruibile attraverso una vera chitarra o un vero basso. Il risultato fu importante (5 milioni di copie vendute), complice anche una tracklist sempre aggiornata con DLC pieni di canzoni moderne e grandi classici, ma Rocksmith fu un gioco relegato perlopiù a una nicchia di giocatori: i musicisti appassionati di videogaming.
Per un musicista già rodato bastava semplicemente comprare il gioco comprensivo di Real Tone Cable, un cavetto che collega un qualsiasi strumento a corda amplificato al PC o console tramite connessione USB grazie a una piccola scheda audio agganciata. I più fortunati potevano anche fare a meno del Real Tone Cable se avevano già un’interfaccia audio, sicuramente una soluzione qualitativamente migliore del cavo Ubisoft.
Invece, per un neofita della musica accedere al mondo di Rocksmith era un ostacolo economico non indifferente, in quanto oltre all’acquisto del videogioco e del cavo andava messa in conto anche la compera di uno strumento musicale. Strumento che, a differenza di un controller di Guitar Hero o Rock Band, ha bisogno anche di accortezza e manutenzione.
Dal lato del gameplay e della sua usabilità, inoltre, non si capiva bene Rocksmith da che parte volesse stare: gioco o software d’apprendimento?
Pur rimanendo uno dei prodotti Ubisoft che più mi stanno a cuore, c’è da dire che il titolo non eccelleva in nessuno dei due campi: era divertente come gioco, ma non c’erano vere e proprie sfide, se non la competizione personale con sé stessi per diventare più capaci nel suonare e più bravi nelle cover; come servizio invece aveva lacune nel fornire i giusti strumenti di lettura e di valutazione per i neofiti, risultando in un software ottimo per imparare a memoria delle canzoni, ma inutile per apprendere scale, per imparare a improvvisare o per conoscere un po’ di teoria musicale.
Veniamo dunque quasi 10 anni dopo a Rocksmith+, fruibile stavolta con una nuovissima tecnologia all’avanguardia che permette anche di utilizzare il servizio tramite chitarra acustica, senza alcun cavo da agganciare ad alcuna piattaforma.
Dopo un mese di prova, posso dire che senza ombra di dubbio stavolta Rocksmith+ cerca di essere molto più un servizio di apprendimento gamificato che un videogioco.
Ad affiancare una libreria di circa 8000 canzoni di ogni genere musicale esistente sulla faccia della Terra, vi sono anche esercizi divisi in diverse fasce di apprendimento, dalle nozioni più basilari a quelle più avanzate e specifiche.
Ogni esercizio è inoltre accompagnato da video dove dei professionisti spiegano le tecniche e le eseguono. Inoltre, ogni canzone può essere modificata nella sua difficoltà o rallentata, e può essere esplorata nelle sue trascrizioni in tab proprio per incentivarne l’apprendimento. C’è perfino una sezione workshop dove poter condividere i propri arrangiamenti delle canzoni su internet con gli altri giocatori.
Tra i vari elementi gamificati ci sono le personalizzazioni dello strumento virtuale e del proprio profilo, ottenibili tra l’altro attraverso un sistema riconducibile a un pass stagionale che si aggiorna ogni mese e sblocca una sua fetta di ricompense tematiche ogni settimana, man mano che aumenta la propria maestria con lo strumento. Le personalizzazioni coinvolgono anche gli effetti visivi di sfondo.
Sembra tutto bellissimo, vero?
Forse anche troppo.
Per quanto mi stia divertendo con Rocksmith+, per quanto le novità proposte siano interessanti, per quanto la nuova tecnologia sia efficace con una scheda audio esterna, e per quanto io stia riscontrando miglioramenti nella velocità e nella precisione delle mie dita, non sono esenti problemi strutturali e… di senso.
Partiamo dal problema principale di Rocksmith+: i soldi.
Trasformando Rocksmith in un software di apprendimento, Ubisoft ha deciso di far diventare il titolo un servizio in abbonamento che costa dagli 8 ai 15€ al mese, a seconda di quale sia il piano di abbonamento sottoscritto (un mese singolo, tre mesi o un anno intero).
Contando che le lezioni di chitarra nella vita reale, almeno dalle mie parti, costano all’incirca dagli 8 ai 20€ all’ora a seconda di chi sia l’insegnante, quello di Rocksmith+ potrebbe sembrare un prezzo competitivo, se non si incorresse in ostacoli non di poco conto, al di là della mancanza del fattore umano in grado di correggere gli errori in tempo reale.
Il primo ostacolo col quale bisogna interfacciarsi è proprio la tracklist: a che serve un database di 5000 canzoni se la stragrande maggioranza è fatta di brani sconosciuti, canzoni che hanno solo gli accordi e nessuna tab, tante cover della stessa canzone (ma non quella originale!) e componimenti regionali?
Potete dare un’occhiata anche voi seguendo questo link.
Ubisoft stavolta ha deciso di puntare alla quantità delle canzoni, ma non alla qualità.
Il risultato è che mentre su Rocksmith avevamo i Muse, gli Arctic Monkeys, i Queen e i Rolling Stones, su Rocksmith+ ci troviamo di fronte a solo una ventina di brani famosi come i successi degli MGMT e dei The Clash, Master of Puppets dei Metallica o More Than A Feeling dei Boston, soffocati da una pletora di artisti semisconosciuti, canzoni provenienti da live, cover e Gigi D’Alessio.
Esatto, non ci sono i Pink Floyd ma c’è Gigi D’Alessio con 6 o 7 brani, nessuno dei quali è una sua hit famosa! Il processo logico che potrebbe aver guidato Ubisoft a includere brani del genere probabilmente è stato guidato dall’abilitazione della chitarra acustica: usata principalmente per accordi aperti e canzoni da falò, gli sviluppatori forse avranno pensato, giustamente, di includere nel repertorio di brani anche pezzi regionali delle nazioni principali. All’Italia sono toccati quindi il nostro Gigi nazionale, Antonello Venditti e Ornella Vanoni…
A conferma della scarsa cura riscontrata nella composizione della tracklist, tali brani non fanno nemmeno parte dei successi dei suddetti artisti. Ci si poteva curare delle reali canzoni da falò suonate sulle nostre spiagge o nelle nostre scampagnate di pasquetta, come per esempio un sempiterno Lucio Battisti o qualche cantautore della nuova leva Itpop come Calcutta, tanto per citare due autori. Immagino che la stessa situazione sia replicabile anche negli altri contesti locali delle altre nazioni, purtroppo.
Il dubbio che mi sono posto io ma che si sono posti anche in molti in giro per internet, così come il nostro pubblico sul canale di Twitch di Player.it durante le dirette di Rocksmith+ della domenica sera, è proprio se una tracklist del genere meriti un prezzo di 15€ al mese.
Sul sito ufficiale di Rocksmith+ viene riportato che comunque la libreria sarà costantemente aggiornata e rinfoltita, ma al momento, dopo un mese di prova, ho visto la sola introduzione di un vecchio brano degli Extreme come parte della colonna sonora della quarta stagione della serie Netflix Stranger Things.
Vedremo nei prossimi mesi di prova come si evolverà la situazione da questo punto di vista, sperando di tornare ai fasti delle tracklist dello scorso capitolo di Rocksmith. Ad ogni modo, nel mare di brani sconosciuti di Rocksmith+, ho avuto modo anche di riconoscere e ripescare vecchie perle e artisti che non ascoltavo da anni, come per esempio i The Alan Parsons Project o i Jefferson Airplane. Sono sicuro che con un po’ di ricerca in più si può trovare anche altro, ma la situazione tracklist per ora resta molto dubbia.
Quando si tratta di dover armeggiare con sistemi e interfacce audio, è sempre un gran casino.
Mandare un segnale dal proprio strumento musicale che si trasforma in digitale e ritorna nelle proprie cuffie senza alcun ritardo nel sovrapporsi a una canzone che sta venendo eseguita dall’applicazione, non è un procedimento agevole, soprattutto per chi si troverebbe alle prime armi con un software come Rocksmith+.
Per fortuna Ubisoft ha pensato a più metodi di collegamento di strumenti musicali, ognuno dei quali ha i suoi pro e i suoi contro per quello che ho avuto modo di esplorare in questo mese. Vediamo uno per uno i sistemi provati:
La soluzione consigliata da Ubisoft stessa è il Real Tone Cable, aggiornato ai driver più recenti. Comprabile ad un prezzo di una trentina d’euro, permette di collegare chitarre e basso a una presa USB 3.0 del proprio PC. Ho provato con il cavo sia la mia Gibson SG, sia la mia nuova Fender Telecaster, e ho potuto riconoscere il suono di entrambe le tipologie di chitarre, in tutte le posizioni dei pick-up.
Dal mio punto di vista però, il Real Tone Cable ha due grandi problematiche: viene a mancare un po’ di corpo, a un orecchio abituato all’amplificatore si percepisce che il suono che passa da tale cavetto è molto digitale e leggermente plasticoso.
Il difetto più grave però è la latenza: il segnale suonato dalle proprie dita ritorna in cuffia con un leggero ritardo di qualche millisecondo, impercettibile se siete alle prime armi o se state suonando canzoni lente, ma molto invalidante se siete abituati a segnali puntuali, o in generale se state suonando brani più veloci e ritmati.
È possibile ridurre questa latenza scaricando driver ASIO e armeggiando con le impostazioni come visibile nell’immagine in basso, ma sia con Rocksmith che con Rocksmith+ sinceramente non ho mai trovato un segnale davvero puntuale con il Real Tone Cable.
Nel tentativo di rendere Rocksmith+ un software molto più accessibile e penetrante nel mercato, è stata compiuta la saggia decisione di coinvolgere gli strumenti acustici non amplificati, implementando un’app collegabile al proprio profilo di Ubisoft Connect che funzioni da microfono. Tramite tale app, scaricabile dai principali store degli smartphone e attivabile attraverso un semplice pulsante, ho avuto modo di provare la mia chitarra acustica Yamaha su alcuni brani.
Da tempo sono diffuse applicazioni che permettono di accordare il proprio strumento a corda sfruttando il microfono dello smartphone: niente di eccessivamente preciso, ma comunque utile alla causa. Della stessa pasta è fatta anche l‘app Rocksmith+ Connect, imprecisa ma comoda e gratuita. Per riuscire a suonare l’acustica tramite questo stratagemma è essenziale che i microfoni siano ben orientati verso la cassa armonica della chitarra, e che siano almeno entro 2 metri di distanza.
Finché si tratta di suonare gli accordi aperti di un brano, non si riscontrano particolari problemi. I disagi cominciano quando durante gli arpeggi l’app non resta al passo, o quando in frasi più concitate e ritmate con diverse note, per i microfoni dello smartphone ce n’è sempre qualcuna che scappa via. È molto probabile che anche qui bisogni giocare con i millisecondi nelle impostazioni di Rocksmith+, ma è difficile da valutare visto che, a differenza degli strumenti elettrici, la chitarra acustica non produce suoni nel gioco; semplicemente il sistema né riconosce le note e ci avvisa se sono state ben eseguite o no.
La miglior soluzione possibile che ho sperimentato con Rocksmith+ è sicuramente la scheda audio esterna. Consiste sicuramente in un costo in più, ma si tratta del metodo più puntuale e pulito possibile, senza alcun tipo di lag. Io possiedo una Focusrite Scarlett 2i2, una piccola scatoletta rossa che mi consente di poter attaccare le mie chitarre e di ricevere il loro suono esattamente come lo sentirei da un amplificatore. Il ritardo del segnale riscontrato con l’utilizzo del cavetto Ubisoft qui si è rivelato completamente assente grazie ai driver ASIO integrati.
Suonare con una scheda audio esterna restituisce la massima fedeltà del suono. Se come me siete stati abituati al Real Tone Cable di Rocksmith fin dal 2014, vi ritroverete ora invece a viaggiare sulla tastiera del vostro strumento come se foste su un palco, complice anche una vasta libreria di preset di suono che vi spingeranno a provare sempre più generi e sonorità, tra pedalini e amplificatori virtuali.
L’unico difetto riscontrato nell’utilizzo dell’interfaccia audio è l’impossibilità di cambiare output audio nelle impostazioni. Non so se dipenda dalla mia Scarlett 2i2 o da Rocksmith+ in sé, ma in pratica se utilizzo la scheda audio il suono deve uscire anche obbligatoriamente da lì.
Tutto ciò non è un vero e proprio problema, a meno che non vogliate andare in streaming: in quel caso è impossibile recuperare l’uscita audio di Rocksmith+ a meno che la vostra scheda non consenta di rimandare il suono dell’applicazione di nuovo al PC.
In tal caso la situazione potrebbe cambiare con una scheda audio differente, o con dei settaggi un po’ più complessi che prevedano l’utilizzo di mixer, pre-amplificatori per cuffie e/o cavi che rispediscono l’audio al computer. Per lo streaming dunque ci riserviamo di esprimere un giudizio netto e concreto nei prossimi articoli, dopo aver provato ulteriori soluzioni.
Superato il senso di straniamento davanti a una tracklist dalla dubbia qualità, e dopo aver armeggiato abbastanza con interfacce audio e cavetti, questo primo mese di Rocksmith+ si è rivelato sinceramente un toccasana per le mie dita da chitarrista fuori forma. Mancavano da troppo tempo i calli sui polpastrelli della mano sinistra, indice di un allenamento continuo sulle corde.
Al momento ho imparato le parti soliste e ritmiche di More Than a Feeling, un arrangiamento carinissimo di Sweet Dreams Are Made of This, ho fatto recuperare alle mie orecchie band che avevo perduto come i The Alan Parsons Project e i Triumph, e mi sto anche allenando (quasi) quotidianamente con gli esercizi proposti dal servizio.
Rocksmith+ implementa anche un regolatore di difficoltà automatico chiamato Adaptive Difficulty System che si avvale dell’intelligenza artificiale: se facciamo troppi errori, diminuisce le note sul manico, e viceversa se non ne facciamo, ne aggiunge. Questo sistema registra la propria abilità con le differenti tecniche usate dal giocatore anche per regolare la difficoltà in nuove canzoni da eseguire. Tutto ciò aiuta sicuramente a migliorare le proprie abilità in mancanza di un supporto umano.
Tuttavia il metodo più efficace per imparare le canzoni resta sempre quello del Ripetitore di Riff, perché rispecchia in toto ciò che accade nella realtà quando si cerca di imparare una canzone: accessibile durante l’esecuzione di un brano, vi basterà aumenta la difficoltà al massimo, includendo quindi tutte le note e tutte le posizioni possibili suonate in un brano, e ne si rallenta al minimo la velocità.
L’esecuzione del brano in questa maniera cresce progressivamente all’apprendimento, esattamente come accade nella realtà quando si vuole imparare un brano. Un aiuto supplementare è inoltre la visuale in tab, sicuramente più agevole della pista verticale derivata dai rhythm game alla Guitar Hero.
Al momento, dunque, le prime impressioni su Rocksmith+ sono mediamente positive. Se preso con le giuste corde, il software di apprendimento funziona nel suo ruolo di insegnante. Il vero dubbio effettivo sulla valenza dell’abbonamento di Rocksmith+ è da ricercare nel business model che basa la sua forza sulla quantità di canzoni, invece che sulla qualità. Si intravede certamente un futuro per Rocksmith+ in questo mondo, a patto che Ubisoft conduca un’evoluzione progressiva verso un concetto di servizio di apprendimento all’altezza del nome che porta e del suo retaggio storico, condito magari anche di assistenza umana per gli aspiranti musicisti inesperti.
Vedremo come continuerà il servizio nel prossimo mese e come le mie abilità miglioreranno col tempo, sperando di trovare nuovi brani all’altezza dell’abbonamento, e di riuscire a trovare una soluzione agevole con lo streaming. Nel prossimo articolo inoltre, affronterò un’analisi di Rocksmith+ anche dal punto di vista di un completo neofita di uno strumento visto che sto per procurarmi il primo basso elettrico della mia vita
This post was published on 14 Ottobre 2022 12:30
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