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Ghostwire: Tokyo | Anteprima: dalla parte del J horror

Ghostwire: Tokyo sta arrivando, finalmente.

Mostrato per la prima volta all’E3 2019 e annunciato come il grande ritorno sulla scena di Tango Gameworks – studio in cui sensei Shinji Mikami sta passando la fase matura della sua carriera – il gioco rappresenta una sorta di curioso oggetto del desiderio per gli appassionati del survival horror in cerca di un degno erede dei primi Resident Evil (o di The Evil Within), ma non solo. Purtroppo però, fra pandemia e ovvie difficoltà di produzione, le notizie sono scarseggiate.

Per fortuna, con l’avvicinarsi del suo lancio, Ghostwire: Tokyo si è mostrato alla stampa in tutta la sua vera essenza, grazie a un’anteprima esclusiva.

Noi c’eravamo, e abbiamo toccato con mano la Tokyo più fantasmagorica che il videogioco contemporaneo potesse donarci.

Acchiappafantasmi a Tokyo

Partiamo dalla base: di cosa parla Ghostwire: Tokyo?

Come i vari trailer usciti negli ultimi anni ci hanno mostrato, a livello di atmosfere il nuovo gioco di Tango è una sorta di horror apocalittico ambientato in una Tokyo alternativa colpita da un maleficio di proporzioni notevoli: in seguito a questo evento, il 90% della popolazione è sparito nel nulla lasciando come traccia soltanto i propri abiti sparsi per strada (roba che ricorda alcuni dettagli disturbanti della saga di Cell in Dragon Ball Z) e un’orda di misteriose creature che minaccia gli umani rimasti.

E noi, ovviamente, siamo incaricati di fermarli, ma chi siamo noi? A quanto pare, un “acchiappafantasmi per costrizione”. Akito, un ragazzo con il potere di combattere ed esorcizzare gli spettri, costretto ad affrontare una crociata contro le forze del male da un inquietante “boss” che gli si presenta col volto coperto da una maschera dalle fattezze di demone giapponese (sì, quello che il marketing ci ha mostrato in tutti i trailer del gioco).

Perché Akito dovrebbe imbarcarsi nella straordinaria campagna di “defantasmizzazione” di Tokyo? Perché il caro “boss demoniaco” sembra avere in mano la sua dolce sorella, perfetta “merce di scambio”.

Ora, se avete seguito più o meno i gameplay trailer di Ghostwire: Tokyo, avrete ben chiaro che non siamo proprio di fronte a un erede filologico della filosofia survival di cui il fondatore di Tango è stato padre, quanto a un action con marcati elementi horror (ma ci arriviamo fra un attimo). Tuttavia, se le immagini della Tokyo infestata che fa da sfondo all’avventura vi hanno fatto bramare un focus sul ricchissimo campionario orrorifico del folklore nipponico, allora forse siete nel posto giusto: siamo di fronte a un gioco che sembra fare della sua ambientazione uno dei suoi elementi di interesse più forti.

E, cosa migliore di tutte, tale setting gioca un ruolo meraviglioso anche in termini di gameplay.

Un gioco ambizioso

Arrivando al nocciolo e lasciando perdere il suo pur centralissimo tema narrativo, che lingua videoludica parla questo Ghostwire: Tokyo?

Action è action, lo abbiamo detto: un gioco in prima persona in cui ci ritroviamo a correre da una parte e dall’altra sparando incantesimi per distruggere spettri giapponesi in uno scenario urbano disagiato, inquietante e caotico.

L’azione è altamente spettacolare e vagamente grottesca, gli scontri sono caratterizzati dal contrasto tra i fasci di luce colorati sparati dalle nostre mani e i colori freddi dell’ambientazione. E poi si corre, tanto, tantissimo.

Questa sembra essere l’architrave, la cornice, la struttura che regge tutto.

A convincere, però, sono una serie di features davvero notevoli.

Anzitutto, a colpire di Ghostwire: Tokyo è la sua struttura open-world, che sembra voler rendere l’atmosfera di gioco non solo un susseguirsi di missioni al cardiopalma in cui annientare spettri come se non ci fosse un domani, ma soprattutto permetterci di esplorare nella maniera più completa possibile un “mondo di tenebra” ricco di tutti quegli elementi che hanno reso indimenticabili i manga di Junji Ito e i serial e film j-horror: le strade deserte e lugubri, i piccoli supermercati di quartiere tanto anonimi da apparire minacciosi, e una sequela di appartamenti minuscoli, claustrofobici e pieni di segreti.

Da quel che abbiamo potuto vedere, potenzialmente ogni luogo del gioco potrebbe raccontare una storia evocativa, grazie ad ambienti ben caratterizzati che favoriscono l’immersione. A colpire è anche il numero delle cose da fare: durante la demo mostrata abbiamo visto il nostro Akito combattere contro orde di nemici usando poteri magici, ma lo abbiamo anche visto alle prese con l’hacking di sistemi informatici come in Watch Dogs (da questo punto di vista, sembra che il confronto tecnologia-soprannaturale sarà uno dei temi principali del titolo). E, naturalmente, anche compiere veri e propri esorcismi per liberare luoghi infestati dagli spiriti (e qui torna il ruolo fondamentale del setting).

Ad aiutare l’impressione di una certa varietà di approccio c’è anche il fatto che in Ghostwire: Tokyo potremo personalizzare diversi aspetti del nostro alter-ego, che sembra poter contare su varie abilità potenziabili. Non siamo certo di fronte a un action-rpg nel vero senso della parola, ma l’impressione è quella che il gioco voglia avvicinarsi all’immersive-sim su base action, una scelta che se confermata potrebbe regalarci un titolo con una sua chiara identità (e non può che essere un bene).

E la next-gen si vede?

Già, la natura next-gen di Ghostwire: Tokyo.

C’è? Si vede? È l’ennesimo titolo che sarebbe potuto uscire nell’anno di interregno old-gen corrente?

No, sembra che Ghostwire: Tokyo appartenga a un altro stadio evolutivo.

L’impressione deriva per esempio dalla fluidità con cui il gioco sembra gestire meccaniche complesse come la transizione rapida da un ambiente all’altro, come accade con i portali di Ratchet & Clank: Rift Apart o, in maniera più ridotta, con la double reality di The Medium.    

È stata una meraviglia assistere all’apertura di una sorta di varco dimensionale che ha permesso ad Akito di passare da un tetro appartamentino a un altro ambiente completamente diverso. L’impressione è stata quella di avere davanti un gioco in grado di unire il plot del caro e vecchio Yu degli Spiriti con la visionarietà di un classico come Inception di Christopher Nolan.

Ora, non sappiamo se queste transizioni saranno guidate da esigenze di trama, ma tenendo presente che siamo di fronte a un nuovo capitolo della storia del videogioco action, potremmo quasi sperare in un utilizzo più diffuso di certe tecnologie.

Nelle tenebre dell’Asia

Insomma, il viaggio di Akito sembra un viaggio nei segreti più oscuri di Tokyo attraverso un impianto action in grande spolvero che non disdegna esplorazione e detection come elementi fondamentali dell’avventura.

La primavera è alle porte, e presto potremmo finalmente sapere come tutti questi tasselli ambiziosi riusciranno a sposarsi l’un con l’altro.

Per il momento, se ci è consentito un piccolo plauso, è senza dubbio all’ambizione, dimostrata in due modi.

Da un lato c’è il coraggio di Tango nel cercare una propria originalità nella formula di gameplay proposta.

Dall’altro, nel voler realizzare un gioco dalle atmosfere dark che non ha paura di utilizzare un immaginario diverso dal solito appartenente alla scuola dei Resident Evil/Silent Hill. È infatti incredibile come il j-horror, un genere che dal successo di The Ring in occidente a oggi ha avuto una buona fortuna sia in tv che al cinema (per non parlare del manga, dove spiccano autori come Ito o Kazuo Umezu), abbia avuto un utilizzo tutto sommato modesto nel survival-horror “che conta”, anche di origine nipponica.

La curiosa e alquanto gustosa idea che Ghostwire: Tokyo ci suggerisce è che i big del videogioco made-in-Japan (il plurale è d’obbligo, pensiamo infatti anche a Slitterhead, sviluppato da Bokeh Studio e presentato ai Game Awards 2021) abbiano in mente una next-gen del genere horror che guardi molto più al loro contesto culturale d’origine (impressione su cui l’autore di questa anteprima aveva già ragionato in questo speciale). Questo può essere dovuto da un lato alla ritrovata fortuna dell’intrattenimento asiatico negli ultimi anni (qualcuno ha detto Squid Game?), dall’altro al fatto che l’horror mainstream degli ultimi tempi non ha più paura di parlare di immaginari inediti, fuori da quello anglosassone “canonico” (pensiamo solo alla fortuna del folk horror, incentrato sul racconto di contesti culturali “altri”).

Che sia arrivato il momento della rivincita del j-horror?

Al momento non lo sappiamo, ma una cosa è certa: Ghostwire: Tokyo sembra maledettamente divertente.

Dalle notizie delle ultime ore Ghostwire: Tokyo dovrebbe uscire il 25 marzo 2022.

This post was published on 4 Febbraio 2022 16:30

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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