Might and Delight è più di una software house: si definisce un atelier che realizza arte digitale, artwork, libri e videogiochi. Localizzato a Stoccolma e fondato nel 2010, è composto di un team eterogeneo di artisti con background nella musica, nel cinema, nell’editoria e nella videoludica.
In questo campo si sono distinti per lo sviluppo di una decina di titoli, in particolare la trilogia di Shelter, in cui vestiamo i panni (o meglio le pelli) di animali di volta in volta diversi, con il compito di salvaguardare la salute del nostro branco.
Book of Travels è il loro progetto più recente ed ambizioso, con cui si cimentano nell’ormai inflazionatissimo genere degli MMORPG. La particolare sensibilità artistica dello studio, unita ad una originale filosofia di game design, fa sì che il titolo abbia le carte in regola per innescare una piccola rivoluzione all’interno del genere; fare ciò ha significato compiere scelte radicali: una scommessa che solo il tempo potrà dirci se abbia pagato oppure no.
Il titolo è in early access su Steam dall’11 ottobre, e lo sarà ancora per parecchio tempo. Pure in questa versione ancora abbozzata e, come vedremo, fortemente problematica dal punto di vista tecnico, Book of Travels è già in grado di offrire un’esperienza ludica decisamente fuori dall’ordinario, a patto di avere la giusta predisposizione d’animo e molto tempo a disposizione.
Il videogioco di ruolo occidentale, che sia online o meno, ci ha abituati a quest logs chilometrici, quasi soverchianti nella pletora di compiti assegnatici, tanto che completarli tutti è diventata più l’eccezione perpetrata da uno zoccolo duro di appassionati piuttosto che la regola di un giocatore più casual, che magari si limita alla main quest più qualche secondaria.
Tra un raid e una sessione di crafting, tra una fetch quest e un ingresso in gilda, la preoccupazione principale degli sviluppatori di MMO è stata finora quella di inondare l’utenza con una marea di “cose da fare”, preferibilmente più di quante ne possa o ne voglia completare, in modo da invogliarlo costantemente a proseguire la propria partita.
Book of Travels adotta un approccio antitetico: la sua filosofia di fondo è “less is more”, o meglio “less is better”. Il gioco ha una classica struttura a mondo aperto, ma questo è tutt’altro che pullulante di segnalini di missione e quest givers. Non esiste alcun quest log, alcun indicatore su mappa (a parte quelli che eventualmente piazziamo noi), alcuna main quest epica in cui rappresentiamo la salvezza per il futuro dell’umanità.
Al contrario, approderemo a Braided Shore (questo il nome del continente di gioco, suddiviso in macro-regioni, di cui solo una parte è attualmente esplorabile) senza una meta predefinita e saremo liberi fin da subito di dirigerci ovunque vogliamo, nonostante qualche velato suggerimento da parte dei primi NPC con cui ci è dato comunicare.
Per quanto riguarda la backstory del nostro personaggio, è anch’essa estremamente fumosa, e dipende dalle scelte che operiamo in fase di creazione dello stesso: in questo gioco non ci sono altre razze giocabili oltre agli umani, ma le classi sono numerose e tutt’altro che canoniche; scordatevi i ranger, i guerrieri, i maghi bianchi, neri, blu et similia: qui potrete scegliere se essere Mirther o Dimmed, Moss Walker o Weatherer e così via.
Cosa significano questi nomi? Dovrete leggere le informazioni contenute nelle schermate di creazione del personaggio per saperlo, vi basti sapere che le classi sono state concepite nell’ottica di orientare l’interpretazione del proprio personaggio da parte del giocatore; più che di skills vere e proprie, si tratta di una differenza di mood, di sensibilità, di coordinate caratteriali e attitudinali che scegliamo di conferire al nostro PG, in base a come vorremo ruolarlo.
Per esempio, la mia prima scelta è stata per un Dimmed, un uomo in età avanzata che brama accrescere le proprie conoscenze e per questo è mosso da continua curiosità verso i fatti del mondo. Questo profilo ha sì delle ricadute sulle statistiche iniziali del personaggio, ma più che altro rappresenta una bussola che aiuta il giocatore a creare un’impalcatura su cui poi costruire la propria interpretazione del protagonista, del quale siamo invitati a scrivere noi stessi alcune note biografiche, che poi altri giocatori potrebbero leggere una volta che si entra in contatto, sempre che abbiano l’abilità adatta per poterlo fare.
Una volta nel mondo, le attività principali che potremo espletare saranno due: esplorazione e baratto. La prima ci consente, appunto, di attraversare il mondo di gioco in lungo e in largo, immergendoci nella lussureggiante estetica pittorica del titolo, in grado di regalare scorci straordinari, realizzati tramite la giustapposizione di layers 2d in una profondità tridimensionale, un po’ come la classica tecnica dei cels utilizzata nell’animazione tradizionale. I colori pastello sembrano pennellate su tela, complice un tratteggio morbido delle linee che tendono al curvo e quasi mai al retto.
Il posizionamento della telecamera è inusuale e suggestivo, una mezza altezza, a metà tra la terza persona classica e la visuale isometrica; l’esempio più familiare che si possa fare è quello della ripresa televisiva del campo da calcio, in modo da mettere sempre in risalto la linea dell’orizzonte; in questo mondo ci muoveremo tramite mouse, cliccando di volta in volta sul terreno nella direzione che vogliamo imprimere al nostro avatar, in puro stile punta-e-clicca.
Accompagnano le nostre lente camminate dei soffusi brani strumentali dal sapore vagamente etnico e orientaleggiante, con strumenti prevalentemente acustici (legni, archi, fiati), nonché un campionamento di suoni ambientali pastorali ed esotici: il connubio visivo e sonoro funziona benissimo, e personalmente lo ritengo il risultato più significativo ottenuto dagli sviluppatori, ancor prima delle meccaniche peculiari di game design.
Might and Delight brilla nella messinscena di un mondo che è una sorta di dipinto in movimento, dotato di uno stile unico, immediatamente distinguibile e identitario, che è un piacere da vedere e ascoltare.
Per fortuna è il mondo è così bello: come detto, una delle attività principali del titolo consiste semplicemente nell’esplorarlo, cosa che si fa per la maggior parte del tempo e a piedi, e con un’andatura compassata. Correre consuma in men che non si dica la barra della stamina, per ricaricare la quale dovremo sederci a riposare. Dunque non potremo permetterci che qualche breve scatto ogni tanto, per il resto ci affideremo solo alla nostra andatura, in piccola parte influenzata dall’equipaggiamento, che può garantirci bonus o malus a questa ed altre caratteristiche, come i valori di attacco e difesa (su questo torneremo dopo).
Vagare per il mondo ci consentirà di imbatterci in persone ed insediamenti: parlando con i primi verremo a conoscenza di dettagli di lore, suggerimenti su percorsi o località di interesse da visitare, o richieste di aiuto che di fatto si traducono in quest più o meno esplicite, solo che il tutto avverrà senza indicatori di sorta.
Abbiamo da subito a disposizione una mappa del mondo con la toponomastica di regioni ed insediamenti, ma nessun indicatore che segnali tesori, dungeon, obbiettivi; sta a noi, eventualmente, piazzare degli indicatori per prender nota delle informazioni raccolte, ad esempio il destinatario di una consegna, o la posizione di un supposto luogo magico di cui abbiamo sentito parlare in una conversazione occasionale tra due persone al mercato.
Presto o tardi capiteremo in una qualche cittadina, e ci troveremo ad esplorare il suo mercato. Questi quartieri pullulano di persone e mercanti di ogni risma. Il commercio, in particolare il baratto, è una delle attività principe che in cui indugiare nel gioco, almeno in questo early access: in Book of Travels il denaro non esiste, e nessuno dà niente per niente.
Che si tratti di acquistare del cibo o del vestiario, un capo d’equipaggiamento o un’abilità, dovremo farlo dando qualcosa in cambio. Il valore della merce è estremamente soggettivo, cambia da venditore a venditore: alcuni sono più esosi di altri, ed ovviamente alcuni hanno merce più rara e preziosa. Il valore degli oggetti, nostri e loro, varia anche in base alle caratteristiche del nostro personaggio, che possono facilitarci o meno gli scambi.
Alcuni venditori sono itineranti, altri sono stanziali; alcuni vendono oggetti che si trovano a prezzi ribassati altrove, altri sono disposti a comprare alcune merci pagandole molto di più di quanto si farebbe nel mercato di un’altra città. Per studiare seriamente la faccenda e spuntare gli affari migliori è necessario armarsi di carta e penna, specialmente se si ambisce ad un acquisto specifico, ad esempio una particolare abilità.
Troveremo oggetti da scambiare semplicemente vagabondando in giro e raccattando quel che capita, oppure compiendo alcune attività (ad esempio pescare) o portando a termine degli incarichi. E non è folle pensare che, con uno studio attento e capillare dei venditori, si possa riuscire a comprare tuto ciò che si vuole anche partendo da un pugno di cianfrusaglie.
Un altro modo di ottenere loot è come ricompensa al termine di un combattimento vittorioso. Il combat system è un altro elemento originale del gioco: sporadico e dalla fuga sempre possibile, il combattimento è tutt’altro che il fulcro del gioco (ho combattuto solo in una manciata di occasioni dopo 10 ore di gioco, e sempre per scelta mia) e si basa sulla contrapposizione dei valori di attacco, velocità e difesa (Force, Speed e Ward) degli opponenti.
La velocità regola l’iniziativa e quindi il primo attacco sferrato, oltre che la velocità di riempimento dell’indicatore di attacco: esso non funziona come una classica ATB, bensì come una percentuale di successo; più tempo attendiamo, più la probabilità che il nostro attacco vada a segno aumenta. Un attacco riuscito diminuisce il valore di difesa dell’avversario in base al nostro valore di forza, e viceversa. Chi azzera per primo la difesa avversaria vince lo scontro.
Si tratta quindi di una sorta di fase rhythm game in cui decidere quando sferrare un attacco e quando attendere (rischiando di essere colpiti nel frattempo) è il fulcro decisionale dell’operazione; non è certo un combattimento skill-based insomma, ma un approccio inusuale a questo aspetto di gioco, che rischia sicuramente di essere poco appagante per una fetta di utenza.
Ciò che differenzia maggiormente Book of Travels da tutti gli altri MMORPG in circolazione è il ristrettissimo numero di utenti per server, limitato a 7.
Ciò significa che incontrare altri giocatori è un evento sporadico, e gli sviluppatori spingono a voler far contare ogni incontro; Might and Delight definisce il suo gioco T(iny)MMORPG, marcando con un certo orgoglio questo scarto rispetto agli approcci tradizionali del genere, focalizzati sulla costituzione di party allargati con cui compiere epiche missioni. Al contrario, qui non solo imbattersi in altri giocatori è più l’eccezione che la regola, ma anche le interazioni non sono affatto scontate.
Innanzitutto non esiste alcun sistema di chat, vocale o testuale.
L’unico modo per comunicare è tramite un sistema di icone, costituite da semplici gesti, espressioni facciali e simboli grafici (frecce, segni di interpunzione, cuori, case, fiumi…), il che contribuisce da un lato a mantenere pulito e rilassante l’ambiente di gioco, impedendo la nascita di comportamenti o atteggiamenti tossici, in secondo luogo motivando la community ad istituire una sorta di lingua universale condivisa (seguendo l’hub della comunità su steam si possono già testimoniare tentativi di canonizzare l’attribuzione di significati standard a sequenze predefinite di simboli; si assisterà all’istituzione vera e propria di un linguaggio non verbale?).
La presenza di altri giocatori garantirà un boost delle nostre statistiche, e questo sarà utile per superare alcune prove che non avremmo potuto avvicinare da soli: nel mondo ci sono compiti che richiedono prove di forza, meccanica, socialità o misticismo, le quali una volta superate conferiscono loot o altri bonus. Con le nostre normali caratteristiche è difficile superarle, ma in collaborazione con altri giocatori potremo riuscirci molto più facilmente.
Girovagare in compagnia o in solitaria sarà comunque unicamente frutto delle nostre scelte interpretative: stiamo ruolando un vecchio eremita? Allora avrà senso non dare confidenza e tirare dritto. Siamo un bontempone in vena di compagnia? Allora tenderemo ad associarci con chiunque ci capiti a tiro. La mancanza di obbiettivi forti ci solleva dal dover a tutti i costi cercare la compagnia altrui, ma al tempo stesso ci garantisce dei vantaggi qualora decidessimo di farlo. Tutto è lasciato alla libertà d’approccio del giocatore, che deciderà come vivere il suo viaggio.
Insomma per vivere appieno l’esperienza proposta da Book of Travels è imperativo non avere fretta ed adottare uno stile di gioco partecipativo al mondo che mette in scena, oltre che una elevata soglia di attenzione (ai dettagli ambientali, ai dialoghi ed alle informazioni scoperte). Questo approccio taglia sicuramente fuori tutta quell’utenza in cerca di esperienze di gioco più immediate. Anche i più volenterosi, però, potrebbero alla lunga essere disincentivati dall’insistere nell’esplorazione di Braided Shore: allo stato attuale, il gioco presenta problemi di stabilità non indifferenti; nel corso della settimana di lancio i server sono risultati quasi del tutto inaccessibili, e ancora dopo una ventina di giorni la connessione è estremamente ballerina, con frequenti riavvii e log out forzati. Il gioco inoltre è afflitto da numerosi bug che minano l’esperienza complessiva e crash occasionali.
Personalmente l’esperienza è stata frustrante: in questi primi 20 giorni di early access sono riuscito a fare poche ore di gioco a singhiozzo; anche se la situazione è in costante miglioramento, non è infrequente assistere a fenomeni come mancata comparsa di prompt di dialogo che bloccano l’avanzamento, animazioni buggate e input delay spaventosi, tanto che in più di un’occasione sono uscito dal gioco per eccesso di nervosismo, un bel problema per un gioco che vorrebbe indurre alla calma! Il team è consapevole dei problemi, e lavora attivamente per risolverli pubblicando aggiornamenti regolari, ma la strada è ancora lunga: il gioco resterà in early access per ben due anni, a detta degli stessi sviluppatori, segno che il lavoro da fare è enorme, tanto a livello di pulizia generale quanto di implementazione di contenuti (messe da parte le attività di vagabondaggio e baratto, c’è davvero ben poco da fare).
Book of Travels è un esperimento interessantissimo nel suo genere, addirittura coraggioso nel suo tentativo di guardare con occhi nuovi ad un genere tanto codificato come l’MMORPG. Per poter davvero lasciare un’impronta duratura nell’industria però, dovrà essere attentamente e costantemente revisionato da Might and Delight negli anni a venire. Vale sicuramente la pena di tenerlo d’occhio e seguirne lo sviluppo, anche se allo stadio attuale i numerosi problemi tecnici che lo affliggono inducono prudenza e l’attesa di qualche tempo anche per chi fosse curioso di provarlo.
This post was published on 2 Novembre 2021 16:00
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