Non scorderò mai l’otto Ottobre, un giorno noioso, condito di mestizia e angoscia. Arrivò una notizia che come una saetta rese ancor più pessima la giornata
“Doom Eternal rinviato al 3 Marzo 2020”.
Quel giorno ho sofferto parecchio, ho segnato delle X con un pennarello rosso sul calendario di cani.it ed il tratto in quei momenti grondava sangue di demoni, mi sono allenato a covare il male e l’odio verso le empie creature. Come Rocky al posto di dare cazzotti a carcasse di bovini congelati, ho allenato la mia lingua a imprecazioni superiori e dimenticate, l’ho fatto nei peggiori bar degli anziani di Giulianova dove il dolore e il male primevo scorre incessante.
Forte dell’imprecazione finale imparata in un fioco plenilunio, ho fatto le valigie e sono approdato a Milano; pronto a provare il male definitivo, ecco a voi Doom Eternal.
Quattro chiacchiere in amicizia con i colleghi, saluto i proprietari del MOBA che mi hanno ospitato in quel di Milano e senza indugio, dopo un paio di cocktail a tema Doom, mi accomodo nella postazione, una bestia con delle specifiche invidiabili:
Sua Mostruosità:
PROCESSORE: Intel® Core™ i9-9900K
COOLER: ROG RYUO 240
SCHEDA MADRE: ROG STRIX Z390-F
MEMORIA: 32GB DDR4 3200Mhz
HARD DISK: SSD 500GB NVMe M.2
SCHEDA VIDEO: ROG STRIX RTX2070S GAMING
PSU: ROG Thor 850W 80Plus
Mi spiegano da subito che tali specifiche sono dedicate ad un’esperienza quasi hi-end. Il gioco, girando in futuro anche su Switch, risulterà godibile anche con macchine più datate (rinunciando a qualche orpello grafico).
Si inizia.
Il suo predecessore rientra tra i miei FPS preferiti di tutti i tempi, adrenalinico, macabro, deliziosamente di cattivo gusto e dolcemente violento in ogni pixel. Pensare che il suo successore possa ambire a superarlo in queste caratteristiche è un’impresa ardua. Quasi impossibile.
E invece…
A comporre la colonna sonora come nel precedente capitolo c’è Mick Gordon, ma prima di parlare di sonoro posso dirvi che il gioco sembra uscito dal parto folle di un fan degli Exciter che sotto droghe ascolta “Violence and Force”.
Sin dal tutorial (che ho skippato visto che l’ho provato alla Gamescom) il gioco ha una caratteristica che viene evidenziata subito, la velocità.
Doom Slayer approda sulla terra da un portale ed è già bello corazzato, a differenza del primo capitolo, infatti, non si dovranno aspettare diverse ore di gioco per attivare il doppio salto, lo avremo da subito. Con esso anche “lo slide” in avanti o indietro con il tasto shift.
Tali meccaniche rendono da subito il gioco veloce e rapido come una band speed metal degli anni 80 ubriaca all’inferno.
Andando avanti nelle prime parti del gioco, riecheggia il nome Doom Slayer, i pesanti riff che bucano i timpani mi riportano solo ad una canzone nella mia testa, Raining Blood. Ed è lo stesso sangue dei demoni che viene munto, a forza di proiettili, dalle mura dei palazzi del nostro pianeta.
Lo scenario che troviamo nelle prime ore di gioco è devastante, il nostro amato pianeta non è distrutto dalla mano dell’uomo come pronostica l’adorabile Greta Thunberg, bensì dall’inferno che è sceso in terra, L E T T E R A L M E N T E.
Correndo tra le strade e le piazze sprofondate negli abissi, saltando sui muri dei grattacieli che sono appesi ad un filo, evitando a più riprese interi portali pullulanti di demoni la sensazione che proveremo frequentemente è l’orrore, nella sua forma più viscerale.
Nel precedente capitolo abbiamo vestito i panni del salvatore di Marte, in questo caso vestiremo l’armatura del salvatore del campione del nostro pianeta. E saremo soli.
Questo aspetto è molto marcato nei dialoghi che, con sommo stupore, sono molto più presenti rispetto ad ogni più rosea aspettativa.
Parliamoci chiaro, si gioca a Doom per afferrare il cuore di un demone e stritolarlo fino a farlo esplodere, ma con totale onestà dopo dieci ore di gioco qualsiasi splatter shooting può risultare ripetitivo. Doom no, il mixing di platform / fps / story driven lo rendono variegato e godibile.
Doom Guy mi ricorda molto il protagonista di Mandalorian, non dialoga ma con la sua mimica facciale, con la sua postura, con il suo semplice “non parlare” risulta credibile e comunicativo. E dannatamente carismatico.
Passiamo alla parte divertente dell’anteprima, FUOCO E FIAMME.
Sì, non ho scritto “Fiamme” a caso.
Il gioco porta con se il meglio del bagaglio tecnico della precedente fatica di id Software, il gunplay è godibile, frenetico e squisitamente violento.
A farla da padrona sono le nuove meccaniche, da una parte c’è il dash che ci permette di finire a lato dei nemici e distruggerli, magari colpendoli nei loro punti deboli, dall’altro c’è il mio nuovo strumento preferito della vita, il lanciafiamme da spalla.
Con esso si aggiunge una nuova meccanica che chiude il cerchio dinamico di Doom, segnatevi quello che vi sto dicendo, tra un mese e mezzo ne avrete bisogno:
LA BIBBIA DI DOOM:
MOTOSEGA : MUNIZIONI
LANCIAFIAMME : ARMATURA
GLORYKILL : VITA
Come nel precedente capitolo l’unico modo giusto di giocare a Doom è lo sfruttamento del massacro.
Siete a corto di munizioni? Tasto rapido e motosega, rifornimento di munizioni, avete poca armatura? Andate di lanciafiamme e i mostri morendo vi lasceranno i preziosi frammenti verdi. Siete ad un passo dalla morte? Non c’è problema, Glory Kill e spappolando il cranio dei demoni recupererete vita.
Sembra scontato ma questa triade è il fondamento del gioco, in piena tradizione Doom stare fermi equivale a MORIRE, male. Dovrete correre, scattare, ritirarvi tatticamente (perché il Doom Slayer non scappa mai) e valutare la mossa migliore in un lasso di tempo brevissimo.
Questo gioco va giocato con la maschera d’ossigeno.
P.s. quanto è cafone il pugno di sangue, non vi spoilero nulla. Guardate il video sul nostro canale YouTube!
Messo da parte il gunplay, c’è da parlare del design dei livelli; la gestione della mappa è stata migliorata di tanto, è consultabile rapidamente e al suo interno le informazioni sono posizionate decisamente meglio.
I livelli hanno sentieri labirintici ma la velocità dello scatto perenne, il dash e il doppio salto permettono un’esplorazione rapidissima, un singolo stage è esplorabile in 25-30 minuti e i checkpoint automatici sono molteplici.
Un aspetto che però voglio sottolineare è il platform: che lavoro ragazzi, CHE LAVORO!
Ci sono dei platform che giocano molto sulla nostra pazienza, morire in alcuni di essi è un trauma, considerando i tempi di caricamento e il punto di respawn dopo la morte nel completamento di un puzzle. Doom no, è rapido, potrete morire tantissime volte per superare un’enigma di piattaforme fluttuanti o muri da scalare, ma non sarà mai frustrante.
Il doppio salto e il dash vi permetteranno di risolvere il puzzle che avrete davanti anche fallendo svariate volte, senza dover piangere sui caricamenti o sul “ti riporto indietro a cinque minuti prima nella mappa”. Ottimo lavoro.
Fondamentalmente giocheremo sul pianeta terra, alternando diversi luoghi:
Luogo dove dimorano i sacerdoti infernali, questa zona è la protagonista delle prime ore di gioco, in questa città dimenticata bisognerà trovare dei pezzi per comporre un dispositivo utile a trovare questi scellerati e ammazzarli, male.
Sono l’evoluzione delle aree sfida del Doom 2016. In queste zone ci sarà da grindare male i mostri, cercando ad ogni modo di sconfiggerli nel minor tempo possibile, in palio potenziamenti armi e caramelle. Juicy.
Avrei tanto altro da dirvi, ma poi cosa vi racconto durante la recensione finale?
Un parco demoni rinnovato, nuovo design delle armi, più frenesia, più storia, più platform, più glorykill, più cafonaggine, più DJENT da parte di un Mick Gordon in formissima nella sua colonna sonora.
La scarica di adrenalina che si prova giocando al nuovo Doom è incommensurabile, rimandare il gioco è stata una mossa saggia visto che il gioco si presenta fluido come l’olio nel motore della motosega.
Sono uscito dalla postazione gaming con il sorriso, conscio di aver giocato 5 ore delle possibili 30-40 ( o 60 se siete poco avvezzi agli fps frenetici ) ore di gioco.
E, nota a margine, per la prima volta ho sentito un grado di sfida elevato per una meccanica che non è sempre scontata: la gestione delle munizioni e dei punti vitali.
Nel gioco dovremo stare attenti ad ogni singolo HP e a ogni munizione; mirare bene alla testa, sfruttare i punti deboli e non trollare in giro è imperativo.
Ogni colpo conta.
Vi posso garantire che siamo di fronte a un possibile capolavoro, per ora è tutto dal vostro Slayer of arrosticini.
E ricordatevi, RIP & TEAR.
This post was published on 21 Gennaio 2020 16:00
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