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“Il calabrone per la fisica non può volare solo che lui non lo sa e continua a farlo”. Quante volte avete sentito questa frase? Tantissime, ne sono sicuro. Nel corso del tempo è stata attribuita a diverse personalità, Einstein compreso. La verità però è che nasce dall’errore di un entomologo che non ha fatto in tempo a correggersi lasciando questa affermazione alla storia. E menomale! Perché come scoprirete in questa recensione, non c’è niente di meglio di questa frase per descrivere Flint: Treasure of Oblivion.
L’orsogufo nella stanza
Togliamoci subito il dente: Flint: Treasure of Oblivion non è Baldur’s Gate 3 e, nonostante sia chiaro sin dalle prime ore che l’ispirazione principale sia proprio quella, non ci si avvicina nemmeno lontanamente. Qualsiasi confronto – necessario, lo sappiamo noi recensori, lo sapevano gli sviluppatori e lo sanno i giocatori – è impietoso per il povero Flint. Solo che lui tutto questo non lo sa e da bravo pirata/calabrone va avanti lo stesso puntando dritto al tesoro. Quindi, ora che ci siamo tolti il girino illithid dall’occhio, possiamo parlare di quello che Flint: Treasure of Oblivion è.
Sviluppato da un team indipendente, Savage Level, con una chiara passione per i giochi di ruolo, e pubblicato da Microids, il gioco è capace di coniugare una narrazione avvincente, ispirata all’epica piratesca, a un gameplay strategico classico. La sua estetica da fumetto, uno dei suoi punti di forza e che ricorda la bellissima graphic novel di Long John Silver (che come Flint è un altro pirata uscito da quella meraviglia di romanzo che è ancora oggi l’Isola del Tesoro) riesce appieno nel dipingere una vibrante età d’oro della pirateria, dove maledizioni, tradimenti e tesori perduti sono all’ordine del giorno. Con questo interessante mix di elementi, Flint riesce effettivamente a distinguersi in un mercato sempre più competitivo come quello dei giochi di ruolo.
Il giocatore veste i panni del Capitano Flint, appunto, un carismatico pirata dal passato oscuro, accompagnato dal suo fidato braccio destro Billy Bones. La missione principale è tanto semplice quanto interessante: trovare il leggendario Tesoro dell’Oblio, si proprio quello del titolo, un artefatto che si dice abbia il potere di cambiare il destino di chi lo possieda. La ricerca del tesoro però non è priva di ostacoli: bande rivali, complotti segreti e dilemmi morali costellano il cammino del protagonista, creando una trama che va ben oltre il semplice cliché della caccia al tesoro. C’è sempre una nota di nostalgia in Flint, sembra quasi che il Capitano stia scappando da qualcosa che non conosce nemmeno lui. In fondo le avventure sono tali finché vengono vissute, dopo sono solo storie da locanda, ecco il personaggio di Flint sembra incarnare perfettamente questo concetto e gli sviluppatori sono stati bravi a farlo trasparire sin dai primi momenti di gioco.
A rendere la storia ancora più ispirata è poi la scelta di affidare la narrazione a delle tavole a fumetti: i classici filmati sono sostituiti da vignette statiche, con disegni sempre diversi e mai riciclati, che contribuiscono a creare un’esperienza narrativa unica, ad approfondire i dettagli dei personaggi (anche secondari) e a distinguere il gioco da titoli del genere. Peccato che queste tavole a fumetti non siano state scelte anche per le animazioni durante i combattimenti, che sono semplici e ridotte all’osso, ma efficaci.
Infine, tra i pregi dell’avventura, ci sono le ambientazioni: isole tropicali, città portuali, acque colme di navi pirata e non, sono realizzate con una cura maniacale per i dettagli, che riesce a immergere il giocatore in un mondo vivo e pulsante. Ogni luogo, infatti, racconta una storia, con elementi visivi e sonori che trasmettono l’atmosfera caotica e affascinante della vita da pirata. Inoltre, ogni ambientazione ha una lore ben strutturata, che si svela gradualmente attraverso dialoghi, documenti trovati e interazioni con i personaggi secondari.
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica, un pirata lo sa bene, e ci sono parecchie cose che purtroppo non funzionano appieno. Elementi grezzi, appena abbozzati, anche tra quelli citati fino a questo punto e purtroppo sono tutti elementi di estrema importanza per un gioco di ruolo.
Un tesoro che non luccica
Tutto quello che abbiamo visto sino ad ora è oro puro, il problema è che nessuno lo ha lucidato. Moltissimi elementi sono stati appena rifiniti, come i menu incredibilmente pieni di sezioni e sottosezioni inserite più per fare numero che per una vera utilità. Sembra come se il tutto, dall’inventario sino alla personalizzazione (misera ma presente) dovesse essere molto più profondo di come è. Giocando non avrete mai interesse nel cambiare una spada, né di cambiare abilità principale di ogni personaggio. Ed è un vero peccato perché nel menu ce ne sono tante corredate da splendide illustrazioni.
Il tutorial è grezzo e sbrigativo e lascia il giocatore di fronte ad un sistema non (ri)finito che dice pochissimo su di esso. Parliamo di un sistema che lascia intravedere il suo potenziale ma non lo mette in pratica relegando il cuore di Flint: Treasure of Oblivion, il suo sistema di combattimento tattico a turni, a scontri che difficilmente possono essere superati se non scoprendo la strategia preimpostata. In queste battaglie i personaggi sfruttano i loro punti azione (2 all’inizio) per muoversi, attaccare o usare le abilità. Il resto è affidato ai dadi, alla più totale casualità. Dadi che non vengono nemmeno tirati dal giocatore e in un RPG classico, da appassionato, io ho bisogno di tirare i dadi. Ho bisogno di essere messo di fronte al fato e di capire come sconfiggerlo, se è possibile.
Lato gameplay quindi non c’è nessun guizzo, se non quello dell‘interazione ambientale con barili esplosivi, trappole nascoste e ostacoli naturali che possono essere utilizzati a proprio vantaggio, aggiungendo un ulteriore livello di strategia. La difficoltà del gioco però non è sempre bilanciata e alcuni scontri, risultano estremamente impegnativi, richiedendo un uso ottimale delle risorse (come pozioni di upgrade ad inizio scontro) e una conoscenza approfondita di ogni meccanica (non fornita dal gioco) che scoraggia un appassionato figurarsi un neofita.
Al di fuori dei combattimenti, il gioco offre sezioni di esplorazione che, sebbene affascinanti, sono piuttosto limitate. L’esplorazione è guidata, su binario. Ci sono percorsi prestabiliti che lasciano poco spazio all’esplorazione libera. Questo è l’elemento negativo che più di tutti grava su Flint. Nonostante la narrativa a binario permetta di mantenere il focus sulla storia, c’erano tutti gli elementi per creare qualcosa di profondo e complesso. Qualcosa di affascinante da esplorare e da giocare e invece c’è una telecamera fissa durante queste sezioni “aperte” che già preclude all’occhio ogni scelta, come alcuni dialoghi a risposta multipla che non hanno però alcuni impatto e danno solo l’illusione di poter decidere.
Le missioni secondarie esistono ma non sono segnalate. Può capitare infatti di trovare un collezionabile che cita di un incontro segreto in un certo luogo, poi però sta al giocatore trovare quel luogo e fare tutti i collegamenti necessari per capire come procedere, non c’è infatti niente che lo aiuta in tal senso. E spesso non c’è nemmeno una ricompensa per queste missioni se non il collezionabile raccolto all’inizio. Un sistema hardcore, che farà molto piacere ai giocatori che non vogliono essere guidati (e io sono uno di quelli) ma così è troppo! In alcuni casi si rasenta l’easter egg.
Infine, oltre al protagonista e ai comprimari, gli altri personaggi, che possono essere reclutati nel corso dell’avventura, pur avendo tavole dedicate, sono abbastanza piatti e secondari. Inoltre il gioco è abbastanza punitivo. Se muore la spadaccina ad esempio è morta. Fine. Non avrete un’altra spadaccina, avete solo lei, quindi occhio, specie negli scontri più impegnativi e grandi. C’è da dire infatti che alcuni scontri sono parecchio imponenti e vi mettono al controllo di un numero di personaggi non indifferente.
Flint: Treasure of Oblivion è un titolo che riesce a catturare l’essenza dell’avventura piratesca, offrendo un’esperienza coinvolgente e visivamente accattivante. Nonostante diverse limitazioni, come l’esplorazione guidata, una telecamera poco flessibile, un sistema di combattimento non rifinito e spesso affidato al caso e un mondo chiuso è un titolo consigliato a chi cerca un gioco di ruolo tattico con una forte componente narrativa e un’ambientazione originale. Il giocatore che sognava un vasto mondo di pirati liberamente esplorabile e ricco di cose da fare rimarrà deluso e dovrà aspettare che questo calabrone impari a volare più in alto.
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PRO
- Storia raccontata tramite tavole a fumetti
- Narrazione accattivante
- Pirati ovunque!
CONTRO
- Gameplay RPG povero
- Menu inutilmente complessi
- Nessuna libertà d'esplorazione e un unico binario da seguire
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