Sono serviti quindici anni perché la serie Mana, nata come spin-off di Final Fantasy e poi diventata prodotto a sé (non dissimile da Persona, costola di Shin Megami Tensei), trovasse un suo legittimo nuovo capitolo – a seguito di un rilancio non troppo fortunato con il remake di Secrets of Mana, ma risollevatosi un po’ con il successivo lancio di Trials of Mana, rifacimento del terzo capitolo.
Questa volta, Square pare aver confezionato un prodotto ricco di potenziale, possibile rilancio di una serie rimasta nell’ombra per tanti anni in attesa della propria rinascita.
Ho provato Visions of Mana per un tempo relativamente breve, certo non sufficiente a capire quale direzione possa prendere il gioco completo, ma in grado di farsi ricordare per degli aspetti peculiari che non vedo l’ora di approfondire. Annunciato la prima volta nel 2021 e apparso con un trailer vero e proprio solo due anni più tardi, nel dicembre 2023, Visions of Mana vede tornare alle redini il creatore della serie, Koichi Ishii, mente arcinota per essere tra gli inventori di simboli videoludici moderni come Chocobo e Moguri.
Prepariamoci dunque al viaggio di Val e della sua amica d’infanzia Hinna, nominata Alm del Fuoco con l’obiettivo di raggiungere il Tree of Mana per rinvigorirne, appunto, il flusso di mana.
Il pellegrinaggio della speranza
Al di là di quanto poco vi ho detto sulla trama, non so molto altro in merito. Ho iniziato la mia prova in quella che sicuramente è un’area iniziale ma senza un contesto per capire meglio dove stessi cacciandomi. Chiaramente lo scopo era non solo di far provare per la prima volta il gioco ma anche di mettere in evidenza i suoi tratti più peculiari, nonché farmi fare la conoscenza dei teneri Piku, le cavalcature tipiche di Visions in Mana: un buffo incrocio tra un lupacchiotto/volpe con dei canini che mi hanno ricordato quelli dei pipistrelli, risponderanno prontamente alla nostra chiamata per farci arrivare negli angoli più remoti del mondo in tutta comodità e velocità.
Sappiamo dunque che abbiamo un pellegrinaggio da compiere e che siamo stati incaricati di essere la guardia di Hinna nel suo viaggio verso il Tree of Mana: per il momento ce lo facciamo bastare. La prima cosa che mi è balzata all’occhio, una volta avviata la demo, sono stati i colori: Visions of Mana è un gioco che sprizza intensità da tutti i pixel, con palette accese a evidenziare i suoi toni fiabeschi (quasi a richiamarne le origini) e uno stile artistico piuttosto influenzato dal già citato Trials of Mana.
Scrivendo adesso questo articolo mi è venuto in mente Tales of Arise, sebbene Visions of Mana sia più morbido nelle linee, ma devo ammettere che giocando l’unico pensiero a venirmi in mente di continuo è stato quanto mi ricordasse Rogue Galaxy, con il quale ha decisamente poco a che spartire, fosse anche solo per l’ambientazione, eppure non riuscivo a togliermi dalla testa questa sensazione – per me del tutto positiva, essendo Rogue Galaxy uno dei miei GdR tutt’ora preferiti e che ricordo con grande affetto.
Fatto sta che c’è stato un senso di strana familiarità che mi ha immerso nella demo, tanto da non aver più cognizione del tempo e averlo passato a esplorare, combattere, aprire forzieri… Insomma, come sempre, qualsiasi cosa tranne l’obiettivo principale perché signora mia, questi segreti non si scoprono certo da sé.
Non reinventa la ruota ma la vivacizza
Visions of Mana è un action GdR semi open-world e come tale presenta tutti gli aspetti chiave del genere: combattimenti in tempo reale con i mostri visibili sulla mappa, indicati solo da uno “Start Battle” nel momento in cui entriamo in azione, ampie mappe da esplorare in lungo e in largo, missioni sparse qua e là, chicche più o meno nascoste e una pratica cavalcatura con cui attraversare velocemente le varie aree.
A carattere generale, dunque, Visions of Mana opta per un approccio classico, che non reinventa la ruota, ma che la arricchisce con un peculiare sistema di reliquie elementali attorno al quale si strutturano tanto l’esplorazione quanto il combattimento.
Come suggerisce il nome, si tratta di manufatti in grado di conferire i poteri di riferimento: nelle fasi esplorative servono per accedere ad aree altrimenti precluse, proseguire con la trama e più in generale interagire con il mondo di gioco, promettendo senza dubbio un backtracking durante l’avventura per sbloccarsi percorsi precedentemente bloccati.
Dove la meccanica delle reliquie elementali brilla ancora di più è nel combattimento. Questi oggetti, infatti, rappresentano anche la classe dei nostri personaggi e, conseguentemente, permettono a quest’ultimo di avere diversi stili di lotta, di quipaggiare oggetti diversi e di utilizzare o apprendere abilità differenti.
Ho provato un piacere particolare nel perdermi nel menu dei personaggi, così da equipaggiare tutte le reliquie in quel momento a mia disposizione per vedere in che modo cambiasse il loro aspetto (e, spoiler, ci sono evidenti differenze tra una reliquia e quella dopo), a quale set avessero accesso e, dunque, come combinarli tra loro per una maggior efficacia anche tenendo conto delle mie preferenze in termini di classi. Da sottolineare, dettaglio che ho apprezzato tantissimo, come una reliquia non dia lo stesso risultato se equipaggiata ai diversi personaggi: quella che per Val potrebbe essere una classe difensiva con scudo a torre e lancia, per Careena può rivelarsi tutt’altro. È come se fosse una rappresentazione di cosa ciascun elemento rappresenti per i singoli personaggi.
Una scelta che porta non solo imprevedibilità ma anche molta varietà nella gestione della squadra e nella mescolanza delle classi, sapendo la diversità di risultati ai quali una stessa reliquia porta.
I combattimenti di per loro richiedono una certa pianificazione delle mosse, in virtù del consumo di mana richiesto da eventuali abilità o magie e dai tempi di lancio di queste ultime, che richiedono una seppur non ingente attesa prima di essere scagliate. C’è molta libertà di movimento e verticalità, pur con dei limiti entro cui restare per far continuare lo scontro, con azioni che possono essere eseguite a mezz’aria e concatenate tre loro per prolungare il più possibile eventuali vantaggi. In qualunque momento è possibile prendere il controllo di un altro membro della squadra diverso da Val, nel caso si vogliano provare i vari personaggi e gli stili associati, oppure, semplicemente, raddrizzare gli equilibri in caso qualche battaglia non andasse come previsto. Questo perché, se i nemici semplici rappresentano una sfida nella media per chiunque abbia giocato anche solo una manciata di action GdR, eventuali miniboss o boss veri e propri possono dare inaspettato filo da torcere.
Per completare una missione secondaria mi sarei dovuta sbarazzare di alcune Molebear che avevano invaso l’area circostante all’abitazione del committente. Mi sono trovata davanti, oltre a loro, una versione identica ma potenziata dello stesso nemico che sorprendentemente mi ha messo k.o. almeno un paio di personaggi prima che riprendessi le redini della situazione. Colpa mia per averlo sottovalutato, complice anche l’essere immersa in un mondo nuovo e senza aver cominciato il gioco dall’inizio per avere familiarità, ma mi è stato di lezione per non lasciarmi ingannare dai livelli (ero persino più alta io) né dall’aspetto.
Una piacevole sorpresa
Nel complesso, e soprattutto nei limiti di quanto giocato, Visions of Mana si è rivelato essere una piacevole sorpresa. È troppo presto per trarre qualsiasi tipo di conclusione ma il colpo d’occhio anzitutto è stato positivo, grazie a colori vibranti e uno stile artistico che si adatta perfettamente alla serie, ponendo le distanze tra sé e i Final Fantasy di cui la serie è stata brevemente spin-off prima di percorrere la sua strada.
Laddove la serie di punta Square ha imboccato la strada del realismo, Visions of Mana porta avanti una visione più fiabesca del viaggio all’avventura.
Uno stile di cui non ci si stanca mai e ben si sposa anche con l’estro delle reliquie elementali e delle classi a esse associate. Sono curiosa di scoprire come proseguire il viaggio di Val e Hinna.