Il publisher italiano fondato da Rami Galante è solo la punta dell’iceberg in un’annata terribile per lavoratori del settore gaming.
Non c’è pace per i dipendenti del settore gaming. Si licenzia a destra e a manca, tra developer e publisher, senza più distinzione. Sembra quasi una gara a chi licenzia più gente, e le motivazioni sono sempre le stesse: riorganizzazioni interne, reindirizzamento degli obiettivi strategici, dismissione di attività superflue o non più produttive. Per farla breve, col picco di pubblico che l’industria del gaming ha ottenuto in corso di lockdown, le aziende si sono espanse e hanno assunto a dismisura, oltre ogni ragionevolezza, illudendosi che tali picchi di aumenti di domanda e conseguenti ricavi sarebbe durata a oltranza. Ovviamente così non è stato: con l’allentarsi delle restrizioni la gente è tornata alla routine lavorativa e il mercato dei videogiochi, seppur ancora assolutamente florido, ha evidenziato una contrazione della crescita che ha portato improvvisamente molti bilanci aziendali a traballare.
Da lì è stata una continua girandola di tavole rotonde, business meeting e riunioni con gli invertitori inviperiti per le curve discendenti e di colore rosso, che improvvisamente fatto rinsavire i consigli di amministrazione delle società su una strategia espansiva quantomai spericolata. E via con i messaggi di scuse, le e-mail interne e le docce fredde che hanno investito centinaia e centinaia di lavoratori in tutto il mondo, colpiti da un girono all’altro da lettere di licenziamento. Embracer Group è stato uno dei casi più clamorosi, sebbene sia forse anche uno dei maggiormente scusabili dato che l’accordo di finanziamento con un importante investitore è saltato a meno di 24 ore dal suo annuncio ufficiale (ho parlato diffusamente del caso Embracer in tanti approfondimenti, se vi interessa la questione potete iniziare da questo approfondimento).
Dopo i casi analoghi di Epic, Google, Microsoft, Amazon e molti altri, ora è la volta di una compagnia italiana: il publisher Digital Bros., che ha annunciato una manovra lacrime e sangue a spese dei propri dipendenti.
Fratelli spiantati?
Digital Bros. è una delle maggior realtà italiane dell’industria dei videogiochi. Nata nel lontano 1989 dall’iniziativa imprenditoriale die fratelli Abramo e Raffaele Galante, fu conosciuta per tuti gli anni Novanta con il nome Halifax, prima di assumere la denominazione attuale. oggigiorno costituisce una grande holding videoludica, proprietaria del publisher 505 Games che ha uffici in vari paesi europei, nonché di diversi studi di sviluppo tra cui i team italiani Kunos Simulazioni (noti per Assetto Corsa), gli inglesi DR Studios (Terraria) e Avatgarden (ex Ovosonico, il team di The Last Day of June) gli australiani Infinity Plus Two (Puzzle Quest 3), per citarne solo alcuni. Dal 2000 è quotata in Borsa italiana all’indice Euronext STAR Milan.
Oltre alle attività strettamente connesse a sviluppo e pubblicazione, Digital Bros. cura la catena logistica di distribuzione retail e ha anche fondato una scuola professionale per istruire i giovani ai vari ruoli dello sviluppo videoludico, la Digital Bros. Academy, con sede a Milano (ma offre anche alcuni corsi totalmente online), che tiene corsi in Game Design, Game Programming, Concept Art e 3D Game Art. Insomma si tratta di una realtà di lungo corso, fortemente radicata nel panorama del industria europea e con molta esperienza alle spalle. Eppure ciò non le ha impedito di incappare negli errori delle altre holding videoludiche, il che la obbliga ora a ricorrere agli stessi ripari, ovvero l’adozione di misure draconiane: Digital Bros. ha infatti annunciato che opererà tagli di personale pari al 30% del totale della sua forza lavoro!
Licenziamento di massa
Digital Bros. ha emesso un comunicato stampa ufficiale per spiegare la situazione. In esso ha tenuto a puntualizzare che il taglio del 30% dei dipendenti della compagnia non intaccherà i risultati finanziari dell’anno fiscale 2024. Se ci saranno, gli effetti di queste misure si vedranno insomma su medio-lungo periodo, ma in ogni caso queste sono questioni che interessano più gli investitori. A rimetterci per il momento sono solamente i dipendenti, di cui peraltro non sappiamo il numero preciso. Il comunicato tenta di giustificare le misure adottate con la solita congiuntura di mercato sfavorevole. Si legge infatti:
Il mercato dei videogiochi si evoluto dopo la pandemia verso una direzione che l’ha reso più selettivo in merito ai nuovi giochi prodotti, con i consumatori che hanno preferito rivolgersi sempre più verso IP già affermate, con le quali hanno scelto di intrattenersi per periodi di tempo più prolungati. La strategia di Digital Bros. è stata quella di adattarsi a questo scenario competitivo in continua evoluzione, e si focalizzerà sulla produzione di sequel e nuove versioni di titoli che hanno ottenuto riscontro positivo sul mercato, appartenenti a marchi riconosciuti, riducendo il numero di grosse produzioni basate su nuove IP.
(…) Digital Bros. ha ridimensionato il numero complessivo di progetti in sviluppo e di conseguenza rivedrà la propria organizzazione aziendale, per allinearsi allo scenario competitivo del mercato attuale in modo da assicurare la massima operatività nel medio-lungo periodo. Il programma di ristrutturazione è previsto che vada a colpire circa il 30% della nostra forza lavoro globale, di cui la massima parte concentrata all’interno degli studi di sviluppo. – Digital Bros Group announces an organizational review, with an expected workforce reduction of approximately 30%. No significant impact on the expected results for FY2024 – comunicato stampa del 14 novembre 2023
Insomma meno titoli originali, più riedizioni e sequel di franchise già affermati, e in generale meno produzioni: questa la cura dimagrante che Digital Bros. si impone, preservandoli suo segmento publishing in sfavore dei team di sviluppo interni, che verranno fortemente ridimensionati. Al di là delle motivazioni, che saranno anche legittime dal punto di vista finanziario (un’azienda in bancarotta non serve a nessuno) ciò che infastidisce di questi comunicati e che manca sempre un’ammissione di colpa e/o un’assunzione di responsabilità da parte delle dirigenze aziendali, che in questo caso scaricano la responsabilità dei licenziamenti sui gusti dei videogiocatori, una scusa francamente ridicola.
Forse scelte di investimento più oculate in prima battuta avrebbero contribuito ad evitare di lasciare migliaia di persone a casa nel giro di un anno. Questi numeri non sono esagerati: stime al ribasso parlano di oltre 7.000 lavoratori dell’industria dei videogiochi lasciati a casa dall’inizio del 2023. Tutto fuorché una situazione normale, specie considerando che stiamo parlando della più grande industria mondiale dell’intrattenimento!