Google è molto probabilmente il più importante colosso del mondo di internet. Grazie ai suoi servizi, la compagnia americana è stata in grado di espandersi sempre di più aumentando sensibilmente il proprio fatturato. Allo stesso tempo è stata anche in grado di ampliare i settori in cui è attiva: l’esempio più lampante riguarda la produzione dei Chromebook (PC aventi il sistema ChromeOS al suo interno) e della serie di cellulari chiamata Google Pixel. Comunque sia, Google è adesso nei guai e deve sborsare ben 1 milione di dollari di multa.
Google e le multe, una costante degli ultimi anni
Negli ultimi anni Google ha ricevuto svariate multe, da parte di molte istituzioni del mondo. Generalmente le motivazioni che hanno portato alla loro emissione sono le più disparate, ma in buona parte dei casi hanno riguardato inadempienze economiche oppure problematiche riguardanti il mantenimento della privacy (per rimanere generici, anche se le motivazioni sono molto più complesse). Fatto sta che il colosso americano non è stato l’unico a essere preso pesantemente di mira.
Infatti tante altre compagnie del settore hanno ricevuto multe. Una di quelle che è stata maggiormente al centro di una serie di controversie è Meta, la quale ha ricevuto diverse sanzioni da parte soprattutto dell’UE. Ma come mai? Le motivazioni che hanno portato l’Unione a imporre multe e sanzioni all’azienda di Zuckenberg riguardano l’inadempienza di Meta nel contrastare la diffusione delle notizie false all’interno di Facebook e anche per non aver impedito la continua crescita di discorsi d’odio. Adesso, però, a essere finita al centro delle polemiche è stata nuovamente la stessa Google, la quale ha dovuto sborsare 1 milione di dollari a seguito di una causa intentata nei suoi confronti.
Google accusata di discriminazione di genere
Una grave problematica degli ultimi anni, ma più in generale degli anni Duemila, è la repentina crescita di discriminazioni sulla base della propria sessualità e genere sessuale. Ciò comporta solitamente diversi effetti negativi, sia a livello personale, sia a livello sociale in molti ambiti, primo su tutti quello lavorativo: non è un caso che a soffrire di questa condizione siano soprattutto le donne, le quali devono fare i conti con realtà lavorative misogine e che favoriscono l’ascesa lavorativa degli uomini.
È questo il caso di Ulku Rowe – esecutivo di Google Cloud – che ha fatto causa al colosso statunitense per 1,1 milioni di dollari. Costei ha citato in giudizio l’azienda perché ha favorito l’ascesa degli uomini, dando loro maggiori stipendi e garantendo loro promozioni nonostante non fossero portati per i ruoli garantiti. La giuria che ha presieduto al processo ha dato ragione alla donna e per questo Google deve a lei sia i danni materiali, sia quelli emotivi. A peggiorare la situazione ci ha anche pensato la compagnia, che prima del processo pare l’abbia pure trattata male.
Sull’argomento si è espresso l’avvocato della vittima chiamato Cara Green che ha detto “Il verdetto unanime della giuria non solo convalida le accuse di maltrattamenti da parte di Google nei confronti della signora Rowe, ma allo stesso tempo permette di inviare un importante messaggio: discriminazioni e ritorsioni non saranno tollerate all’interno dei luoghi di lavoro”. Si tratta senza ombra di dubbio di un’ottima notizia, che permette di trasmette un importante messaggio a tutte le compagnie che adottano atteggiamenti sessisti e poco ortodossi. Inoltre questo caso permette anche di capire come nel corso degli anni tante grandi aziende si siano create un’aurea di inclusione solo di facciata, che nel concreto si è rivelata completamente falsa.