Ti hanno appena denunciato perché, mentre lavoravi all’interno di un Google Workspace, hai infranto il diritto d’autore con l’intelligenza artificiale generativa? Niente paura: Google pagherà la multa al posto tuo.
Qual è lo strumento che più di tutti sta facendo parlare di sé durante il corso degli ultimi mesi? Ci sono tantissime risposte ugualmente possibili ma secondo noi, e anche secondo gli algoritmi dei motori di ricerca, difficilmente c’è qualcosa di più chiacchierato, amato e odiato delle intelligenze artificiali generative.
Ora lasciamo da parte la diatriba sul termine intelligenza artificiale (perché è scorretto chiamarli in questa maniera visto che non sono intelligenti, hanno semplicemente a disposizioni valangate di dati e sanno come interpolarli per esaudire richieste) ed entriamo in quella successiva: è legittimo utilizzarle?
Ci sono molti punti di vista interessanti sulla questione: da chi le considera uno strumento perfettamente utilizzabile secondo il fair use americano a chi le vede (in maniera forse anche un po’ luddista) come l’inizio della fine per il mondo che conoscevamo. Noi vi consigliamo di dare un’occhiata alla proposta di EGAIR sulla loro regolamentazione, in modo da poter vivere un futuro in cui esse siano presenti senza che distruggano l’equilibrio del mondo.
Quello che però potrebbe effettivamente fare qualche danno, e che anche la dice lunga sul posizionamento delle grandi aziende su queste tecnologie, è come hanno reagito aziende come Microsoft, Apple o Google alle eventuali cause per violazioni di copyright (che tra tutti è il tema caldo per eccellenza).
Sapete come hanno reagito? In una maniera decisamente inaspettata.
Qual è il problema?
Di base Google ha detto di volersi impegnare e farsi carico di eventuali violazioni di copyright commesse attraverso l’intelligenza artificiale generativa. Questa tecnologia, negli ultimi mesi accusata a destra e manca da creativi di vario genere come il peggior esempio di sfruttamento delle proprietà intellettuali altrui, è a disposizione di diverse grandissime aziende nel mondo della tecnologia.
I nomi più noti tanto li conoscete anche voi che leggete: ChatGPT di OpenAI (Microsoft), DallE sempre di OpenAI, Midjourney della compagnia omonima, Copilot di Microsoft, Bard di Google, etc, etc. È diventato praticamente impossibile navigare in rete senza incontrare almeno uno di questi servizi in una delle sue mille iterazioni.
Con ChatGPT si sono scritti libri (gli stessi che infestano il marketplace di Amazon), con Midjourney si sono disegnati senza costo alcuni dei poster che abitano i nostri videogiochi preferiti e così via. Considerando il funzionamento delle intelligenze artificiali generative, che utilizzano enorme banche dati come basi su cui poi lavorare per accontentare le richieste indirizzate loro attraverso dei prompt, è facile incappare i cause legali per violazione dei copyright.
L’Unione Europea ha tentato di affrontare il problema attraverso il primo corpus di leggi ad hoc, l’AI Act, mentre il resto del mondo per il momento è un po’ più lasco sul tema (anche se l’FTC americana si è pronunciata rimarcando l’ovvio, ovvero che i dati utilizzati per gli algoritmi generativi devono essere raccolti nel rispetto della legge.
Attraverso questa legge l’EU costringe le società che sviluppano o distribuiscono servizi e strumenti per l’AI generativa a svelare in maniera pubblica se e quali proprietà intellettuali siano state utilizzate per far allenare gli algoritmi; le aziende in un certo senso stanno anche cominciando a muoversi applicando meccanismi correttivi. Un esempio è la possibilità per DALL-E di rifiutarsi di generare immagini se nel prompt si chiede la creazione di un’immagine nello stile di un’artista vivente.
Nel frattempo però che si fa? Le aziende possono fermarsi e non guadagnare soldi nel mentre che le leggi cercano di trovare una giusta compensazione per tutti? Chiaramente la risposta è no e anzi: alle aziende costa meno pagare le multe che fermare temporaneamente il progresso per la giustizia di tutti.
La mossa di Google (e Microsoft)
Tutto è cominciato con Microsoft che qualche mese fa ha dichiarato di volersi assumere l’eventuale responsabilità legale in caso di cause per violazioni del copyright intentate nei confronti di utenti che utilizzano CoPilot. In caso di richieste di risarcimento danni riconosciute come valida, Microsoft pagherà al posto dell’utente; la validità di queste richieste dipende chiaramente da come l’utente ha utilizzato l’intelligenza artificiale generativa; in caso di un utilizzo con volontaria violazione del copyright (ad esempio si è chiesto esplicitamente di generare un testo copiando un libro non di pubblico dominio) allora sarà sempre l’utilizzatore a pagare le conseguenze del suo gesto.
Bene: Google ha deciso di fare qualcosa di molto simile, proprio dopo che a Giugno si era resa protagonista di una class action per aver permesso senza autorizzazione un massiccio scraping di dati. In assenza di dolo il colosso di Mountain View si farà carico di pagare i risarcimenti al posto degli utenti; questo verrà fatto sia in caso di violazioni a monte che in caso di violazioni a valle; le prime sono in relazione a come è stato allenato il software mentre le secondo all’uso che viene fatto dei contenuti generati dall’intelligenza artificiale.
Google non offre questo genere di policy per l’utilizzo di tutti i suoi strumenti di intelligenza artificiale generatica, bensì lo fa principalmente per Vertex AI e Duet AI, entrambi software legati a Google Workspace.
Bard, l’intelligenza artificiale generativa simile a ChatGPT o a Bing Chat, al momento non sembra essere coperto da questo genere di policy.