Days of Doom | Recensione (PS5) | Un’apocalisse fin troppo ripetitiva

La fine del mondo, o meglio ciò che viene dopo, ha un fascino pressoché immortale: in un modo o nell’altro si cerca sempre di reinterpretarla, usandola come base per qualsiasi cosa ci possa venire in mente – dal videogioco al fumetto passando per film, serie TV e perché no, magari anche qualche sessione di gioco di ruolo. Days of Doom, come potrebbe suggerirvi il titolo, prende proprio questa strada e propone ai suoi futuri giocatori una classica ambientazione post-apocalittica con zombie e creature mutanti, nella quale si è chiamati a sopravvivere nell’ignoto con l’obiettivo di raggiungere la fantomatica Sanctuary – a quanto si dice, luogo di pace e speranza in un mondo dove non ce n’è più.

Le frecce all’arco del gioco sembrerebbero essere molte: otto classi di personaggi, decine di nemici umani e non, oltre cinquanta eventi casuali con ricompense tarate sulla base del rischio corso e più di settanta tra Rune e oggetti di uso rapido per, potenzialmente, ribaltare la situazione in nostro favore. Il tutto all’interno di una cornice GdR a turni con elementi roguelite affinché ogni Scorreria sia diversa dalla precedente; questo perché la morte e il fallimento sono all’ordine del giorno, perciò preparatevi.

Sulla carta, pur non essendo chissà quanto originale, si prospettava essere quantomeno un’esperienza interessante. All’atto pratico ho purtroppo riscontrato troppe battute d’arresto anche per un roguelite, con un tasso di ripetitività che non si accompagna bene alle risorse necessarie per migliorarsi un po’ di più a ogni tentativo.

Ne risulta un’esperienza che scade in fretta nella ripetitività, nonostante la mole di contenuti, dove non si ha alcun senso di gratificazione perché prima di raggiungere un qualunque risultato occorre fin troppo tempo trascorso tra una Scorreria fallimentare e l’altra; il suo essere a turni, in questo caso, è più un peso che un merito proprio in virtù della necessità di ripartire sempre da zero.

Vediamo più nel dettaglio in cosa consiste Days of Doom nella nostra recensione della versione PS5.

Il mondo è finito ma noi resistiamo

Zombi, creature mutanti, razziatori umani ma anche razziatori zombi. Days of Doom non risparmia nulla quando si tratta di ostacolare l’avanzata degli sparuti temerari che ancora conservano un briciolo di speranza e puntano a raggiungere Sanctuary. Il gioco si apre con un viaggio tutorial affinché si possa prendere la mano con le meccaniche di gioco (dopo il consueto filmato introduttivo, ovviamente), poi si passa all’avventura vera e propria che parte dal nostro campo base e arriva… fin dove la fortuna ci porta, direi. Ogni Scorreria è una partita a dadi con la morte e la mano buona non l’abbiamo certo noi.

Una volta nell’accampamento, c’è ben poco che possiamo fare al di là di iniziare una serie continua di viaggi: alloggi, officina e garage sono le tre strutture accessibili, mentre il mercante misterioso richiede di fare venti acquisti presso mercanti itineranti prima di accedervi, tuttavia ci servono risorse per fare pressoché qualsiasi cosa. Ci avviamo dunque alla bacheca avvisi, dove avventurieri generati casualmente potranno essere scelti per comporre la nostra squadra da tre. All’inizio ci sono disponibili Pistolero, Lottatore, Idromante e Sacerdotessa: le altre quattro classi hanno condizioni specifiche per essere sbloccate, per esempio raggiungere un determinato punto di storia, oppure salvare un tot numero di personaggi, o ancora distruggere un certo quantitativo di oggetti. Considerata la generazione casuale di ambienti ed eventi casuali, due di queste opzioni risultano lunghe, ma anche le restanti sono più complicate di quanto si creda. Insomma, all’inizio dovremo fare molto affidamento su classi base.

Com’è pacifico il nostro campo base, nemmeno viene voglia di partire.

Una volta formata la nostra squadra, si parte e si cerca di arrivare fino alla fine in un unico viaggio attraverso sei diverse mappe e una serie di piccole tappe differenziate tra combattimenti ed eventi. Il numero e la tipologia di nemici è sempre casuale, potrebbe andarci molto bene come molto male fin dalle prime battute, oppure assestarsi su una giusta via di mezzo. Poiché siamo in una situazione di estrema emergenza, non possiamo proprio viaggiare quanto e dove vogliamo: il carburante è essenziale per continuare a muoversi e la sua mancanza si traduce in un automatico game over. Non l’ho trovata una soluzione ottimale per via dello sbilanciato rapporto tra rischio e ricompensa, anzi gli ho preferito la soluzione adottata da The Last Stand: Aftermath che, a carburante esaurito, fa fermare il giocatore in mezzo al nulla con l’obiettivo di recuperare delle taniche di benzina resistendo a pericoli di varia natura e senza possibilità di trovare altre risorse nel mentre. Insomma dà una chance concreta al prezzo di risorse preziose come durabilità delle armi, munizioni, cure, eccetera eccetera.

Days of Doom, in tal senso, è più categorico.
No carburante no party, motivo per cui bisogna sempre calcolare con attenzione cosa fare e quali eventuali deviazioni prendere. Puntando il cursore su una destinazione è possibile vedere le altre a cui si collega e questo permette una pianificazione a priori del viaggio – che potrebbe comunque subire variazioni in base a cosa succede in queste singole tappe. In ogni mappa è presente un accampamento dove poter ripristinare il 30% della salute dei personaggi a titolo gratuito, il 50% consumando del cibo, oppure ignorare e sfruttarlo in un secondo momento, al solito tenendo a mente che tornarvi significa consumare carburante. Il boss è comodamente indicato da un’icona rossa con tanto di teschio, giusto per farci capire che le cose potrebbero andare molto peggio.

Un Pistolero, un’Idromante e un Lottatore entrano in un bar…

Magari, mi verrebbe da dire. In realtà i nostri improbabili eroi si stipano dentro un camper e pregano che le rispettive abilità siano abbastanza per farli sopravvivere. Lo speravano tutti, poi chissà come mai sono ritrovata a dover selezionare altri avventurieri cui far provare le gioie della scoperta. Comunque.

Ciascuna classe ha un attacco base e un’abilità specifica, nonché una capacità di spostamento diversa; a non cambiare mai è il comando di guardia, comune a tutti i personaggi e che dimezza i danni ricevuti. Le quattro rimanenti da sbloccare non sono che un’evoluzione di quelle base, che dunque mantengono lo stesso attacco base andando invece a modificare l’abilità. Abbiamo due classi a medio-lungo raggio, una a corto raggio e orientata al supporto mentre l’ultima è puramente corpo a corpo; come specificato, lo stesso vale per quelle avanzate, che non a caso nel menu di selezione si trovano esattamente sotto la classe di cui sarebbero il potenziamento. Alcune di queste hanno anche proprietà elementali, come il Pistolero o l’Idromante: la gestione degli elementi, tuttavia, mi ha sollevato non poche perplessità come vedremo a breve. Classi più fisiche come Lottatore e Colosso prediligono attacchi ad area e in grado di stordire almeno un nemico, mentre la Sacerdotessa andrebbe oculatamente sfruttata per evitare i danni.

Sembrano cinque ma i nemici grossi, una volta uccisi, esplodono e generano due zombi base: fatevi i vostri conti.

Per quanto peculiari, le abilità dei personaggi mostrano i loro limiti e sono poche quelle davvero utili soprattutto all’inizio, quando possiamo usare solo le classi base. Le uniche su cui si può contare di più sono l’Idromante, grazie a un attacco ad area in grado di attirare i nemici verso l’epicentro e creare delle pozze d’acqua che causano loro la condizione “bagnato”, e la Sacerdotessa grazie a uno scudo che per turni/colpi nullifica i danni ricevuti. L’abilità del Pistolero è davvero utile solo se i nemici decidono di incolonnarsi per bene, poiché ne può colpire molteplici su una linea entro un raggio di cinque caselle e infliggere danni di fuoco, mentre il Lottatore può assestare una spallata che stordisce sbalza indietro il nemico, stordendolo. I loro utilizzi, complici anche i tre turni di ricarica, sono abbastanza limitati e si basano soprattutto sui nemici che ci capitano davanti. Già con le classi avanzate la musica cambia, tuttavia la lentezza nell’ottenerle fa sì che il gioco possa venire a noia ben prima di averle sbloccate.

Al salire di livello, i personaggi aumentano i danni inflitti, mentre per statistiche quali % di critico o danni subiti ci si deve affidare alle rune ottenute casualmente da uno scontro o un evento random. Non recuperano la salute persa, che come detto può essere ripristinata nell’accampamento oppure viene in parte restituita dopo aver superato una boss fight. Per quanto il gioco voglia differenziarsi, l’eccessivo sbarramento posto all’inizio fa sì che si cerchi di arrivare in qualche modo al primo boss (terza mappa) solo per vedere le proprie possibilità di successo decrescere a causa dell’eccessiva forza concessagli. Solo il primo, che come sempre vanta uno o più sgherri, ha un attacco che copre in lunghezza l’intera area di combattimento, quindi delle due azioni disponibili per turno potrebbe bastargliene una sola per arrivare a tiro di uno o più personaggi e infliggere danni devastanti, nonché di trascinare gli sfortunati verso di sé limitando ancora di più le possibilità di sfuggirgli. Poco importa che, nella sua furia, danneggi anche gli alleati perché la salute tolta è parecchia e se non si dispongono di cure, trovate casualmente in giro, può capitare di vedersi la squadra decimata nel giro di uno o due turni. Lo squilibrio è fin troppo eccessivo, senza considerare che potremmo arrivare lì già sfiancati da altre battaglie. Il fatto che abbia un numero di punti vita due o tre volte superiori a quello di un nostro personaggio certo non aiuta.

La Sacerdotessa dovrebbe fare da supporto ma le rune trovate potevo assegnarle solo a lei ed ecco il risultato.

C’è poi il fattore danni elementali da tenere in considerazione, utile se si vogliono creare combo per infliggere più danni rispetto al normale. Il problema è che l’applicazione di una condizione tale per cui i nemici possano risultare deboli a un elemento è quantomeno bizzarra: per esempio abbiamo il petrolio che è perfetto per un bel flambé, o l’acqua che conduce l’elettricità in modo impeccabile. Stride il fatto che queste condizioni sono applicabili soltanto se i nemici si trovano sulle caselle in cui è stato sparso del petrolio o dell’acqua, soprattutto perché abbiamo la classe Idromante che, in teoria, portando a segno attacchi magici d’acqua dovrebbe mantenere i nemici in perenne condizione “bagnata”.

Invece non funziona così e ci ritroviamo a dover sottostare a una scelta difficile da comprendere, mentre ci si parano davanti condizioni atmosferiche avverse come la pioggia che però non ha alcun effetto su noi o i nemici. Si è condizionati soltanto se si sosta sulle caselle che sono state coinvolte nello spargimento di una o l’altra cosa. Questo limita le potenzialità dei personaggi, poiché anche se volessimo sfruttare i barili pieni d’acqua, petrolio (o gas velenoso) dobbiamo sprecare un attacco e sperare che i nemici vi sostino, cosa che difficilmente fanno; in genere capita quando i nostri sono troppo distanti per portare a segno un attacco oppure si trovano a loro volta condizionati, costringendoci a non optare per soluzioni che altrimenti sarebbero autodistruttive. Il potenziale poteva esserci ma l’ho trovato molto sprecato.

Roguelite e farming: pessima accoppiata

Non fraintendetemi. I roguelite/like vanno di pari passo con il farming e/o il grinding ma c’è una logica nel continuo vivi, muori ripeti cui siamo chiamati a sottostare. Una forma di gratificazione, se vogliamo, dovuta al raggiungimento di un obiettivo, fosse anche solo un potenziamento. Il già citato The Last Stand: Aftermath fa così, privando il giocatore di ogni risorsa alla morte (o conservando una parte in determinate circostante) ma lasciandogli i punti abilità con cui, di fatto, rafforzarsi e procedere sempre più a fondo e velocemente nelle sue spedizioni. Days of Doom, invece, ci priva di tutto tranne della fama utile per ampliare le strutture del campo base, che tuttavia risultano fin troppo esose: in un viaggio che, poniamo, viene interrotto al boss della terza mappa potremmo aver accumulato tre le duecento e trecento punti fama. Dopo il primo potenziamento, e nemmeno di ogni edificio, i punti che ci verranno richiesti oscilleranno tra i seicento e i mille, il che si traduce in almeno tre spedizioni, se tutto va bene, e solo se quel potenziamento è di nostro gradimento. Altrimenti ci tocca faticare di più.

Cinque punti fama. Un po’ di depressione sale.

Poiché i personaggi non hanno abilità modificabili o qualsiasi altro elemento che possa farli partire un po’ più in vantaggio, morire significa davvero ricominciare da zero come se nulla fosse cambiato. Le strutture stesse non aiutano granché in tal senso: gli alloggi aumentano il numero di personaggi iniziali tra cui scegliere fino a un massimo di sei, oppure la percentuale di cibo ottenuto in eventi o combattimenti; questi può essere scambiato durante altri eventi random oppure col mercante itinerante per acquisti di vario genere. Similmente, l’officina aumenta la percentuale di rottami ottenuta e il cui scopo è identico al cibo, mentre alla modica cifra di mille punti fama ciascuno consente di iniziare l’avventura con tre o cinque gadget consumabili. Il garage è potenzialmente quello più utile, perché ci consente di ampliare la squadra a cinque e poi sei avventurieri (il viaggio lo inizierete comunque con tre a prescindere da questa cosa), tuttavia il suo costo elevato fa in coppia con l’ampliare gli alloggi, che richiedono minimo altri mille di fama e, dunque, altro tedioso farming.

Per darvi un’idea di massima, le battaglie normali danno tra i cinque e i dieci punti fama o poco più, il numero è determinato dalla quantità di nemici, le boss fight dai cinquanta in su. Il resto bisogna essere fortunati e trovarlo con l’esplorazione ma non tutti gli eventi portano punti fama, anzi. Facendo i debiti conti è chiaro come il farming raggiunga livelli eccessivi e il tedio subentri entro breve, perché pur con la dichiarata varietà si finisce a fare sempre le stesse cose per diverso tempo. Non parlo di grinding, infine, perché molto semplicemente non c’è: l’aspetto GdR di Days of Doom è molto ridotto all’osso e si lega a quella mancata gratificazione di cui sopra. I personaggi hanno abilità e armi fisse, non c’è alcun sistema di progressione sotto forma di perk o altro: si basa tutto su ciò che recuperiamo durante il viaggio, che poi muore assieme a noi, e sui punti fama che però non portano con loro benefici in termini di combattimento. Come già spiegato, poi, serve davvero troppo farming per avere un party da almeno cinque personaggi, con il risultato di minare fortemente l’irripetibilità delle Scorrerie (alla non troppo lunga ne troverete spesso di identiche) nonché allungare i tempi in modo eccessivo e artificioso.

Ogni evento può avere una conclusione diversa di volta in volta.

Spiace constatare una barriera che fa sembrare Days of Doom un rip-off dell’omonimo videogioco free-to-play per dispositivi mobili, perché già quando si inizia ad avere una squadra da quattro con le classi avanzate la situazione migliora; leggermente, perché la ripetitività fa comunque da padrona in un contesto dove diventa presto chiaro che scandagliare ogni angolo della mappa, pregando in un po’ di fortuna con il carburante, è la soluzione migliore per arrivare preparati ai boss più difficili. Così com’è ora, potrebbe forse catturare l’interesse degli appassionati di esperienze simil Disgaea, dato un concept abbastanza affine, mentre tutti gli altri rischiano di avere una battuta d’arresto dopo le primissime ore.

Conclusione

Days of Doom raggiunge con molta fatica la sufficienza, perché il cuore dell’esperienza è fin troppo nascosto oltre la scorza di un farming aggravato da un approccio roguelite assoluto. Nonostante la sua ripetitività di fondo e le lungaggini di un non-GdR tattico in cui esplorare ogni angolo di mappa è la regola d’oro per sopravvivere, il gioco avrebbe potuto essere accattivante a modo suo, forte dell’estetica fumetto che non passa mai di moda e della possibilità di concatenare combo interessanti, non appena si sbloccano i personaggi migliori: un processo tuttavia troppo lungo e macchinoso perché possa davvero fare presa, lasciando precipitare Days of Doom in un loop dal titolo quasi profetico. Forse non saranno giorni ma ore e ore a espiare la condanna di un sistema inutilmente farraginoso rischiate di passarle.

PRO

  • L'estetica fumetto non passa mai di moda
  • Con i giusti personaggi si creano strategie interessanti

CONTRO

  • Pessima combinazione di farming e roguelite
  • Alcune meccaniche non sono ben implementate
  • Uno scoglio iniziale davvero troppo ripido

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6

Storia - // / 10

Grafica - 7 / 10

Longevità - 7.5 / 10

Gameplay - 6 / 10

Sonoro - 6 / 10