Il 28 Marzo 2023 Ryuichi Sakamoto, musicista giapponese noto ai più per l’oscar vinto con Bernardo Bertolucci nel 1987, si è spento.
Un paio di mesi prima la stessa sorte è toccata a Yukihiro Takahashi, altro importantissimo musicista giapponese noto a molti per essere stato insieme a Sakamoto 2/3 della Yellow Magic Orchestra, seminale band di synth pop nipponico che coi videogiochi ha sempre avuto un qualche tipo di collegamento.
Nel 1978 il debutto self titled della band cominciava proprio con una serie di effetti sonori samplati direttamente da Space Invaders e Exidy Circus, prima di evolversi in un andirivieni di melodie sintetiche e ghirigori a bassa risoluzione; la YMO stessa durante il corso dei primi due album si fece manifesto suonante di una fascinazione per il futuro senza precedenti, senza alcun velo di malcelato disprezzo per il passato.
Tre figure, Takahashi, Sakamoto e Hosono, in grado di influenzare in maniera irrimediabile il mondo della musica pop e in grado di intrecciarsi a più riprese con il mondo dei videogiochi. Takahashi, ad esempio, durante il corso degli anni ottanta ha composto le colonne sonore di videogiochi come Super Locomotive, The Earth Fighter Rayieza, Ginga No Sannin o Mystic Ark tra citazioni ai lavori della YMO e brani originali.
Haruomi Hosono, tra le altre cose, è autore di un mattissimo disco di musica videoludica in senso stretto. Parliamo di riarrangiamenti di brani appartenenti a determinati videogiochi fatti con gli effetti sonori degli stessi, il tutto in collaborazione con Namco che in quegli anni riempiva le sale giochi con Xevious, Galaga, Pac–Man e così via.
E Ryuichi? Oggi ci prendiamo del tempo per capire cosa ha portato al mondo dei videogiochi e in che maniera; un po’ per una questione celebrativa, un po’ per invogliare i lettori più curiosi a scoprire la discografia di un musicista immensamente capace e talentuoso.
Sakamoto si dedicherà alla musica per videogiochi tra gli anni novanta e gli anni duemila, prima di ritirarsi in una specie di eremitaggio sonoro all’interno di dischi meravigliosi ma molto lontani dalle timbriche e dagli immaginari propri dei videogiochi (apparte un singolo raro caso che vedremo poi).
Di progresso
Il primo contatto ufficiale tra Ryuichi Sakamoto e il mondo dei videogiochi avviene alla fine degli anni ottanta quando nei credits di Tengai Makyou: Ziria compare il nome del compositore giapponese.
A differenza da quanto fatto negli anni prima dai suoi compari Hosono e Takahashi, il lavoro di Sakamoto si configura come meno legato alle limitazioni tecniche. Tengai Makyou: Ziria è infatti un JRPG per PC Engine, anzi, per PC Engine CD-ROM.
Nell’1989 avere il CD-ROM come supporto era tutto fuorché la normalità: all’epoca i videogiochi ancora giravano per la stragrande maggioranza su cartucce, cassette e floppy; poter avere quasi cento volte lo spazio d’archiviazione delle classiche periferiche di archiviazione significa potersi muovere all’interno di spazi digitali dove è possibile osare molto di più, almeno in termini di “pesantezza dei dati”
Per Red Company e Hudson avere il CD-ROM significava poter abbondare con musiche e doppiaggi: ecco quindi un gigantesco cast di narratori ed un peso massimo alla colonna sonora (la cosa si ripeterà anche nei successivi capitoli della saga, con il seguito diretto musica da Joe Hisaishi, noto ai più per essere il compositore delle colonne sonore dei film Ghibli).
Rispetto anche alle più rosee aspettative del NES la colonna sonora di Tengai Makyou si eleva in termini puramente timbrici. Il lavoro di Sakamoto dietro i sintetizzatori gli fa dipingere melodie dove eleganza ed esotismo si mescolano abilmente. Le scelte sonore possono sembrare classiche, complici anche i chiari intenti di sonorizzazione, ma all’epoca devono essre state in grado di stupire ben più di un giocatore.
D’altronde come potrebbe essere ciò diverso?
Ryuichi mastica benissimo la materia!
Già in B-2 Unit, il suo primo album solista vero e proprio, aveva dimostrato di padroneggiare il gusto per la melodia etnica, del giappone tradizionale in cui era cresciuto e di saperlo fondere con altro: in quel disco era l’afrofuturismo con le sue ritmiche più sostenute, in questa colonna sonora è con la necessità di dover lavorare per un videogioco in cui i suoni ancora non possono essere quelli degli strumenti reali. In Ziria il musicista nipponico riesce in una difficile opera di condensazione, scrivendo motivetti che nel giro di un minuto o poco più accompagnano il giocatore nel suo percorso all’interno del racconto di Jiraiya.
Il primo capitolo di Tengai Makyou riesce a essere un successo in patria, dando vita a una saga molto apprezzata, per quanto non sia mai riuscita nello scavalcare l’oceano pacifico. Questo, in ogni caso, non è altro che un tassello nel percorso musicale di Ryuichi, già allora estremamente interessato a essere un esploratore musicista più che un musicista di esplorazioni.
E d’amore
Il nome Love-De-Lic è un riferimento a Technodelic, il quinto album della Yellow Magic Orchestra. No, non è una merendina, né un’altro gruppo musicale bensì una software house giapponese che nel giro di un lustro ha tirato fuori tre videogiochi non particolarmente di successo che però hanno lasciato un solco interessante nel cuore di tantissimi videogiocatori e creativi.
Love-de-Lic era innanzitutto una software house atipica per l’epoca: secondo il ricordo di Kenichi Nishi e Yoshiro Kimura, quest’ultimo tanto intervistato da Vice nel 2020 quanto intervistato per il libro The Untold History of Japanese Game Developer Book poco prima) essa era una grande famiglia.
Parliamo di un ambiente libertino dove le abilità e le tematiche care ai creativisi è fin da subito riflesso nei progetti dell’azienda: Moon Remix RPG Adventure prendeva in giro, in maniera amorevole e bizzarra, le idee ed i punti di riferimento che venivano portati avanti da aziende come Squaresoft o Enix durante il corso degli anni novanta.
Questo veniva fatto destrutturando gli stessi canoni impiegati dai membri di Love-De-Lic nelle loro precedenti scorribande nel mondo dei videogiochi, alle volte in Squaresoft (Nishi era nei credits di Chrono Trigger, ad esempio), altre volte in aziende di minore rilevanza.
Mentre metà di Love-De-Lic era al lavoro sul suo unico titolo per Playstation, UFO: A Day In The Life (definito da questo splendido documentario di Gekigemu come Pokémon Snap che incontra Majora’s Mask), l’altra metà, complice un incontro fortuito di Kenichi Nishi, era impegnata a lavorare su L.O.L: Lack Of Love.
L’incontro fortuito, chiaramente, è quello tra Nishi e il musicistanipponico; questo è avvenuto grazie ad un amico in comune che contattò il game designer a tarda notte durante chissà quale mese del 1998 con una frase che suonava tipo:
“Sakamoto è al Club Eden, ti va di venire?”
Ipotesi di gaia videoludica
Cosa di preciso si siano detti i due quella sera non lo sappiamo con precisione; secondo il racconto di Nishi sappiamo che hanno parlato per tre ore filate di film, romanzi, tecnologia musica e videogiochi, giusto per poi scambiarsi gli indirizzi email a fine conversazione (nonostante Nishi stesso avesse preferito l’indirizzo fisico, così da potergli spedire una copia di moon).
L.O.L: Lack Of Love nasce lì, in uno scambio digital-epistolare tra i due in chissà quale notte e circostanza. A far scaturire il la è stato uno scambio di messaggi e opinioni riguardanti la Gaia Hypothesis di James Lovelock, la stessa che nel frattempo aveva rubato il cuore a Hironobu Sakaguchi al lavoro con Final Fantasy: The Spirits Within.
Parliamo di un ipotesi formulata nel 1979 secondo cui gli organismi viventi sulla terra sono parte di un più complesso sistema autoregolante che aiuta a mantenere le condizioni per la vita sulla terra; di fatto teorizza l’esistenza di un sistema vivente chiamato Gaia che comprende una versione ampliata della biosfera.
A posteriori, immaginando poi tutto l’impegno profuso da Sakamoto nella causa ambientalista e anche le fascinazioni dello stesso Nishi per l’argomento, è facile capire il perché dell’accorata conversazione dei due sull’argomento.
La teoria di gaia suggerisce questo lavoro continuo della terra e delle specie non umane che la abitano per rispondere alle modifiche antropiche, al fine di poter mantenere la vita.
Può un’intero pianeta vivere di vita propria? Possono le lotte della terra contro l’uomo e la sua volontà di dominare gli elementi essere rappresentate da maremoti, terremoti e disastri naturali?
Secondo la testimonianza di Nishi raccolta in un behind the scenes quasi irrecuperabile di GamesTM (ad oggi Gamesradar, avete bisogno di questo link e della Wayback machine per leggerlo al giorno d’oggi) è stato proprio Sakamoto ad uscirsene con
“possiamo fare un videogioco sull’ipotesi di Gaia? La musica la scrivo io!”
Sakamoto, a detta stessa di Nishi, non si è dedicato soltanto alla musica bensì a dare tutta una serie di input alla produzione; Mobygames stessa lo cita come scenario writer ed è facile capire perché, nonostante una trama non esattamente comprensibile.
Questo perché nelle intenzioni del game designer c’era quella di comunicare le tematiche del gioco senza utilizzare i testi, lasciando il comparto narrativo al filmato introduttivo poco sopra questo paragrafo. Un’astronave marcata LOL, forse una qualche megacorporazione di un futuro sempre meno lontano, atterra su un pianeta pieno di vita e natura per sfruttarlo? Conquistarlo? Distruggerlo?
Noi sappiamo, per certo, che a cambiare sarà lo status quo delle cose; il gioco ce lo rimarca dal primo vagito del nostro personaggio, una specie di inquietante girino polidattilo che si approccia alla vita in un mondo che sta cambiando per non renderlo più ospitale, un po’ come accade già a chi nasce nel 2023 in un pianeta terra piagato dal cambiamento climatico che sembra inarrestabile.
Quello che succede da lì in poi è videogioco, in tutta la sua magia e bontà. L.O.L Lack Of Love è un titolo atemporale e privo di direzioni, in cui la golden path definita dal suo designer è sfumata e vede i suoi contorni svanire in mezzo a un art direction bizzarra e ad un sound design delizioso.
Il lavoro di Sakamoto, però, è qualcosa su cui vale la pena soffermarsi. Nella sua ora di lunghezza il compositore nipponico si lascia andare alla tessitura di spazi senza punti di riferimento, con un utilizzo molto minimale del comparto ritmico. Brani come l’Opening Theme o Artificial Paradise possono far intuire il tipo di gioco anche a chi, per sua sfortuna, non ha mai potuto mettere mano né sul Dreamcast né su una copia del gioco.
Attraverso un’attenta scelta timbrica Sakamoto è riuscito a rendere l’alieno e lo sconosciuto come avvolgente, quasi caloroso. La seconda metà di Artificial Paradise, a tal proposito, è abbastanza emblematica: su di un beat techno a volume basso si depositano dei sintetizzatori velati di timbro quasi new age, mentre la melodie si attorciglia su sé stessa per lasciare nuovo spazio a fraseggi dal sapore anni duemila, cromati quasi come i colori della tecnologia nel filmato introduttivo.
Il resto del disco è più legato a musiche di servizio per così dire ma che mantengono intatto lo spirito pioneristico di Sakamoto. Storm, ad esempio, sembra quasi contenere alcune delle idee sonore che vedremo poi meglio esplorate dall’alleanza con Alva Noto giusto un paio d’anni dopo, tra barlumi di suoni e battiti ancestrali che provengono dal fondo della terra. Brani come Decision sembrano prendono certo trip hop e lo rendono più obliquo, complice anche il soundfont tipico del Dreamcast che da alle musiche un aspetto fuori dal tempo.
È difficile trovare una collocazione qualitativa della colonna sonora di L.O.L all’interno di quell’universo cangiante che è la discografia di Sakamoto. Difficile perché gli alti sono davvero alti ed i bassi si confondono tutti in una specie di altipiano fatto di bellezza, dove anche il peggior disco di Ryuichi è comunque un buon luogo dove sostare con la mente e con il cuore.
Ultime comparsate
Le collaborazioni in ambito videoludico dopo L.O.L: Lack Of Love sono state sparute a dir poco. Nel suo processo di esplorazione musicale l’artista giapponese si è staccato ancor di più dai barocchismi degli anni novanta, in favore di un’esplorazione ancora più e agli antipodi di una musicalità legata al videogioco come prodotto.
Probabilmente per ricambiare qualche favore ha scritto il Main Theme di Dawn Of Mana / Seiken Densetsu 4, un po’ le gymnopedie di Satie un po’ la timbrica pianistica di Merry Christmas Mr. Lawrence. Un brano che scorre via come acqua fresca ma che poco aggiunge alla complessità del Sakamotoverse.
Ancora più bizzarra è la sua partecipazione a Seven Samurai 20XX, un hack and slash in terza persona che ripropone in versione futuristica i 7 samurai di Kurosawa. Di questo titolo sviluppato da Dimps (la stessa dei primi Dragon Ball Budokai) Sakamoto ha curato l’opening e l’ending theme.
Se la colonna sonora del gioco rientra perfettamente all’interno degli stilemi di certa elettronica big beat fine anni novanta, i brani di Sakamoto invece presentano un clash sintetizzato del quasi industrial di Sweet Revenge e Smoochy con melodie dal gusto orientale, con quelle scale e quelle progressioni di accordi che ti fanno pensare ai ciliegi in fiore su una qualche megalopoli da milioni di abitanti.
L’ultima prova videoludica documentata del musicista nipponico è legata a Hokonum, un videogioco per PS3/PS4/PS Vita uscito nel 2014.
Descrivere Hokonum non è facilissimo: parliamo di una specie di videogioco esplorativo con visuale orizzontale in cui muoveremo a schermo un ago con un filo incastrato nella cruna per 17 coloratissimi labirinti, risolvendo enigmi ambientali e superando ostacoli di vario genere; non c’è game over, non c’è obbiettivo ben preciso e non c’è nemmeno uno scopo in senso lato: il gioco è una specie di performance artistica interattiva legata al mondo degli aquiloni e ai colori delle culture indigene inglesi.
Il titolo, nato come collaborazione tra Ricky Hagget (ex Eidos), l’artista Richard Hogg e Sony Santa Monica (si, quelli di God Of War Ragnarok) poteva vantare una colonna sonora in bilico tra la musica chill out e l’elettronica più leggera, complice il supporto dell’etichetta Ghostly International con cui Sakamoto aveva collaborato insieme all’artista multimedia Christopher Willits.
Un brano tra molti, quindi, ma che rispecchia perfettamente la dimensione contemplativa in cui l’artista nipponico, durante il corso degli ultimi anni, si sentiva particolarmente a suo agio. Brani dilatati, con melodie espanse che incontrano riflessi alieni di suoni e colori sfumati: difficile chiedere di meglio per un videogioco meditativo.
E la musica?
Se volete anche i consigli per gli ascolti non preoccupatevi: il caporedattore che sta scrivendo questo testo ha preparato una selezione di brani tutte per voi.
Una delle migliori melodie della storia, molto nota in Italia poiché utilizzata come sigla per Bis, un quiz con Mike Bongiorno presentatore. Takahashi ne userà la melodia per l’arcade di Super Locomotive di SEGA:
Brano perfettamente in grado di mostrare l’immaginario futuristico che gli YMO tentavano di riportare in musica tra sintetizzatori, batterie elettroniche e scelte sonore. Melodie indimenticabili, giro di basso killer e voce sintetizzata fuori dal mondo. Nota in Italia anche per essere stata la canzone che MTV utilizzava per dare inizio all’Anime Night.
La YMO faceva anche pop di incredibile qualità e Perspective, con i suoi giri armonici ne è la perfetta dimostrazione. Una melodia cristallina si evolve e riavvolge, per lasciare a delle parti cantate da fischiettare nei giorni successivi.
Impossibile parlare di Sakamoto senza citare quello che è forse il suo brano più famoso. Per l’occasione attore (insieme a David Bowie) nel film Furyo di Nagisa Oshima, Merry Christmas, Mr Lawrence può vantare un’altra delle melodie più belle della storia. Da ascoltare assolutamente anche la versione con David Sylvain alla voce sotto il nome di Forbidden Colours.
Sakamoto ci ha vinto un’oscar con questa colonna sonora.
Non l’ha di certo vinto per sbaglio.
Un Sakamoto più urbano e meno fantastico per un brano che ha il sapore della strada bagnata, di luci al neon accese da poco e di cielo rosso bluastro all’imbrunire.
Sakamoto mette il suo pianoforte a disposizione degli strumenti distruttivi di Alva Noto in un gioco di destrutturazioni e ricostruzioni continue, con battiti che provengono dal fondo dell’anima e melodie di 3 note limpide come il cielo estivo. Da ascoltare in cuffia.
Un requiem al tempo del digitale tra pianoforte, organo sintetizzato e rumore bianco. Non è un brano adatto a chi si sente triste ma è un brano adatto a chi vuole esplorare la propria tristezza.