Un recente studio ha permesso di capire come il cervello umano sia diventato così sofisticato e complesso nel corso dell’evoluzione. La chiave di questa trasformazione risiede nell’espressione genica dei neuroni, ovvero nel modo in cui i geni agiscono all’interno delle cellule cerebrali.
Detta così sembra molto complicato, ma la ricerca è più chiara di quanto sembri.
Partiamo dall’inizio: il perché della ricerca
Per decenni, la comunità scientifica ha cercato di trovare un punto fermo sulla comprensione del cervello umano, soprattutto la ricerca verteva sulle differenze del nostro cervello da quello degli altri primati.
Malgrado le somiglianze nella struttura dei tessuti molli, conformazione e funzionamento, il cervello umano ha dimostrato molte più capacità di apprendimento, cognitive, ragionamento, comunicazione e astrazione.
In sostanza, questo studio ha cercato di identificare le basi genetiche di queste differenze.
Il metodo utilizzato e le principali scoperte
All’inizio gli scienziati hanno esaminato i geni attivi nei neuroni di diverse specie, tra cui esseri umani, macachi e scimpanzé. Si sono utilizzate tecniche avanzatissime di sequenziamento del DNA e dell’RNA per confrontare i profili tra le diverse specie e soprattutto analizzare l’espressione genica, un lavoro davvero complesso.
Hanno scoperto che l’attività genica nei neuroni umani è notevolmente diversa rispetto a quella presente negli altri animali. In particolare, i geni nei neuroni umani sono espressi in modo più specifico e differenziato.
Questa diversità nell’espressione genica ha permesso ai neuroni umani di acquisire funzioni più avanzate e specializzate, contribuendo così all’evoluzione del nostro cervello; così facendo nello split evolutivo la nostra specie si è evoluta compiendo gesti sempre più complessi, portando con sè un bagaglio di conoscenze che è andato a tramandarsi di generazione in generazione.
Questo processo è stato reso possibile da una serie di mutazioni genetiche che hanno permesso ai neuroni umani di sviluppare maggiore consapevolezza del loro funzionamento.
Tecnicamente l’espressione genica nei neuroni umani è stata influenzata dall’interazione tra geni e fattori ambientali, possiamo notare infatti come i cambiamenti nell’ambiente in cui vivevano i nostri antenati hanno mutato enormemente la nostra evoluzione.
Questo è solo l’inizio però, prima di parlarvi di rettili e anfibi e su come abbiamo capito qualcosa in più sul nostro cervello dobbiamo portarvi prima nello strano mondo dell’RNA e delle ricerche passate.
L’RNA è stata la chiave
Uno dei risultati più interessanti degli studi precedenti riguardava l’importanza dell’RNA nei neuroni.
Durante gli anni passati abbiamo scoperto a nostro malincuore questa molecola, ma per rinfrescarci la memoria: l’RNA è molto simile al DNA e aiuta a tradurre le istruzioni genetiche in proteine (palestrati non fate battute!).
I vari team in precedenza avevano scoperto un bel po’ di cose interessanti; i neuroni umani producono RNA in modo diverso rispetto agli altri primati, il che potrebbe essere una delle ragioni per cui il nostro cervello è così unico, oppure il ruolo dell’eterocromatina, una forma compatta di DNA presente nei neuroni. L’eterocromatina ha la funzione di regolare l’attività dei geni e di proteggere il DNA da danni.
Si era scoperto che l’eterocromatina nei neuroni umani è diversa da quella degli altri primati, suggerendo che questa struttura del DNA ha avuto un ruolo importante nell’evoluzione, inoltre si era scoperta l’esistenza degli “enhancer“, sequenze di DNA che aiutano a regolare l’attività dei geni nelle cellule; essi agiscono come interruttori che controllano l’espressione genica e sono stati trovati in maggior numero nei nostri neuroni piuttosto che nei macachi o negli scimpanzé. Sembra infatti essere una prova che il maggior numero di queste sequenze abbiano giocato un ruolo chiave nella nostra evoluzione.
Una cosa che era nota è l’espressione genica nei neuroni umani è influenzata dalla presenza di diverse varianti di RNA, molecole che trasportano le informazioni genetiche dal DNA alle proteine. Queste varianti di RNA sono chiamate isoforme e possono svolgere funzioni diverse a seconda delle loro sequenze. Abbiamo di gran lunga un numero maggiore rispetto agli altri primati di queste molecole. Questo fattore al contrario degli altri ha giocato un ruolo chiave nello stabilire la complessità del costrutto cerebrale.
Per finire questa rinfrescata dobbiamo citare l’epigenetica, ovvero le modificazioni chimiche del DNA e delle proteine associate, che influenzano l’espressione genica senza cambiarne la sequenza. Questo fattore è stato determinante per garantire l’adattamento del nostro cervello in diversi contesti ambientali.
La nuova ricerca, cosa si è scoperto di rivoluzionario
La dottoressa Maria Antonietta Tosches con la sua equipe è andata oltre le scoperte precedenti, iniziando a studiare il Neocortex, adesso scenderemo un po’ nel tecnico, preparatevi, è un bel viaggio!
Il neocortex si distingue come una straordinaria evoluzione biologica. Noi mammiferi possediamo questo strato di tessuto che ricopre il cervello, al suo interno, i sei strati di neuroni densamente compatti gestiscono i calcoli sofisticati e le associazioni che producono la nostra prodezza cognitiva. Dobbiamo sapere che nessun animale diverso da noi mammiferi ha un neocortex, gli scienziati si sono quindi chiesti come una regione così complessa del cervello sia evoluta.
Se prendiamo i rettili possiamo trovare qualche indizio interessante. I rettili non solo sono i nostri parenti più vicini ma il loro cervello ha una struttura a tre strati chiamata “cresta ventricolare dorsale” con somiglianze funzionali molto simili al nostro neocortex. Per oltre 50 anni, alcuni neuroscienziati evolutivi hanno sostenuto che il neocortex e la crosta ventricolare fossero entrambi derivati da un antenato primitivo comune.
Analizzando i dettagli molecolari invisibili all’occhio umano, gli scienziati hanno finalmente capito che non era così.
Esaminando i modelli di espressione genica nelle singole cellule cerebrali, i ricercatori della Columbia University hanno dimostrato che, nonostante le somiglianze anatomiche, il neocortex nei mammiferi e la cresta ventricolare nei rettili non sono imparentati.
I mammiferi sembrano aver fatto evolvere il neocortex come una regione cerebrale completamente nuova, costruita senza traccia di ciò che la precedeva. Si è arrivato a capire quindi che Il neocortex è composto da nuovi tipi di neuroni che sembrano non avere precedenti negli animali ancestrali.
Il testo di ricerca pubblicato su Science, andiamo più a fondo
Questo processo di innovazione evolutiva nel cervello non si limita alla creazione di nuove parti. Altri lavori di Tosches e dei suoi colleghi sullo stesso numero di Science hanno mostrato che le regioni cerebrali apparentemente antiche continuano a evolversi attraverso il ri-cablaggio, mediante nuovi tipi di cellule ancora sconosciuti.
La scoperta che l’espressione genica può rivelare questi tipi di importanti distinzioni tra i neuroni sta anche spingendo i ricercatori a ripensare come definiscono alcune regioni cerebrali e a rivalutare se alcuni animali potrebbero avere cervelli più complessi di quanto si pensasse. Pensate anche solamente ai nostri amici delfini!
Leggendo le dichiarazioni leggiamo riguardo l’RNA e sulla neuroscienza evolutiva e di quanto sia difficile studiare qualcosa di cui non si conosce l’esistenza:
“Ha mostrato nuove popolazioni di cellule che non sapevamo esistessero”, Courtney Babbitt – Università del Massachusetts
Il cervello dei rettili e dei mammiferi, la ricerca diventa sempre più grande
Nel laboratorio della ricercatrice Maria Tosches è stato eseguito il sequenziamento dell’RNA a singola cellula su migliaia di cellule cerebrali della salamandra e si sono confrontati i risultati con i dati raccolti in precedenza da rettili e mammiferi.
I cervelli delle salamandre, ciascuno con un volume pari a circa un cinquantesimo di quello di un cervello di topo (sì, sono piccolissimi), sono stati accuratamente preparati ed etichettati dai ricercatori. Successivamente, i cervelli sono stati inseriti in una macchina delle dimensioni di una scatola della PlayStation 5, in 20 minuti c’è stato il sequenziamento, specificando che – senza i nuovi computer ci sarebbero voluti mesi, forse un anno intero –
Finito il sequenziamento la risposta è stata chiara, come una notte limpida estiva: alcuni neuroni nella salamandra corrispondevano ai neuroni nella cresta ventricolare dorsale dei rettili, ma altri no. Ciò suggerisce che almeno alcune parti della corteccia si siano evolute da un antenato condiviso con gli anfibi. Le cellule non corrispondenti sembravano essere degli ibridi dalla divergenza tra anfibi e rettili. In sostanza: la corteccia frontale dei rettili era una combinazione di diversi tipi di neuroni ereditati e nuovi.
Noi mammiferi invece abbiamo subito una storia diversa. I neuroni delle salamandre non corrispondevano a nulla del nostro neocortex, sebbene somigliassero a cellule in altre parti del nostro cervello. Non solo degli anfibi, ma neanche dei rettili.
L’equipe di ricerca propongono che tutto il neocortex dei mammiferi sia un’innovazione evolutiva.
Avviandoci alla conclusione della ricerca, la corteccia frontale dei rettili si è adattata dalla regione cerebrale di una creatura ancestrale, il neocortex di noi mammiferi si è evoluto come una nuova regione cerebrale in piena espansione con nuovi tipi di cellule. Quindi no, non c’è un antenato comune.
Quali sono le implicazioni e le sfide future
All’atto pratico l’insieme di scoperte ha importanti implicazioni per la comprensione delle basi genetiche delle malattie neurologiche e per lo sviluppo di nuove terapie. Potrebbe anche aiutare a spiegare alcune delle differenze tra il cervello umano e quello degli altri primati, assottigliando sempre più la distanza tra la conoscenza della nostra specie e quella del mondo animale.
Ad esempio, una maggiore comprensione della struttura e del funzionamento del neocortex potrebbe aprire la porta a nuovi trattamenti per disturbi neurologici e psichiatrici, migliorando la qualità della vita per milioni di persone in tutto il mondo.
E se vi dicessimo che potrebbe ampliare la scoperta di nuove vie per l’intelligenza artificiale e della robotica?
I ricercatori Ispirandosi alle complesse strutture e funzioni del neocortex potrebbero essere in grado di sviluppare algoritmi e sistemi artificiali più avanzati e adattabili, che potrebbero a loro volta rivoluzionare settori come l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la produzione e l’energia. In fondo, le reti neurali sono anche una copia della nostra conoscenza delle strutture cerebrali.
Auguriamo il meglio a questo team e non vediamo l’ora di integrare con un nuovo articolo le future scoperte.
Abbiamo semplificato molto la ricerca, per maggiori approfondimenti vi lasciamo alla fonte che, anche se complessa, è molto interessante e dettagliata.