I videogiochi fanno male? Lo sentiamo dire continuamente, ma un recente studio potrebbe dimostrare l’esatto contrario
La guerra al mondo dei videogiochi è sempre un argomento che salta all’occhio. Ogni settimana qualche associazione di genitori indignati o di presunti esperti muove accuse contro il medium videoludico accusandolo di corrompere le menti dei più giovani, distruggere i loro cervelli e creare una generazione di zombie senza cervello.
Proprio qualche mese fa i videogiochi erano stati paragonati alla cocaina in una class-action portata avanti da alcune famiglie canadesi preoccupate delle troppe ore trascorse dai loro piccoli in sessioni da gaming.
Secondo l’accusa gli effetti di poche ore di gioco sarebbero paragonabili ai sintomi di una dipendenza da sostanze stupefacenti, così come gli effetti nocivi sul cervello.
Inutile specificare che non ci sono basi scientifiche e mediche per queste valutazioni. Eppure si tratta di un pensiero comune più volte ribadito dai media, soprattutto nel nostro Paese, o, addirittura, da politici in cerca di consensi.
La realtà, ovviamente, è ben diversa.
Uno studio stravolge i pregiudizi
Un recente studio condotto su oltre 2.200 bambini potrebbe ribaltare i preconcetti sui videogiochi. Mentre studi precedenti hanno trovato associazioni negative con il gioco, l’ultima ricerca mostra che i videogiochi possono fare del bene.
Secondo una ricerca dell’Università del Vermont, finanziata dal National Institutes of Health e dal National Institute on Drug Abuse, i bambini che giocavano ai videogiochi per almeno 21 ore alla settimana hanno mostrato “prestazioni cognitive migliori” rispetto a quelli che non lo facevano. Lo studio, “Association of Video Gaming With Cognitive Performance Among Children”, è stato pubblicato in ottobre sulla rivista JAMA Network Open.
Risultati sorprendenti
Conducendo quello che ritengono essere “il più grande studio per valutare l’associazione tra videogiochi, cognizione e funzione cerebrale”, i ricercatori dell’Università del Vermont hanno confermato che i partecipanti allo studio, di 9 e 10 anni, hanno ottenuto risultati migliori rispetto alle loro controparti non giocanti “nei test cognitivi che coinvolgono l’inibizione della risposta e la memoria di lavoro e hanno alterato il segnale BOLD (livello di ossigeno nel sangue) su questi compiti”.
Con questi risultati, i ricercatori ipotizzano:
“I videogiochi possano fornire un’esperienza di allenamento cognitivo con effetti neurocognitivi misurabili”.
Il segreto è nell’immersione
I ricercatori non hanno esaminato i tipi o i generi di videogiochi, né hanno valutato l’impatto sulla salute mentale. Tuttavia, hanno riferito che gli impatti cognitivi positivi sono rimasti “significativi” per i giocatori.
I ricercatori osservano:
“i bambini devono impegnarsi attivamente con il contenuto del video, invece di guardarlo passivamente, per mostrare un’attivazione cerebrale cognitiva alterata in aree chiave del cervello coinvolte nella cognizione”.
Insomma, un’ora di videogiochi può arricchire le prestazioni cognitive di un bambino o di un ragazzino decisamente più dello stesso tempo trascorso a seguire video sui social o guardando passivamente dei cartoni animati.