La guerra, la guerra non cambia mai, mentre Fallout sì, abbastanza volte da dargli il possibilità di spegnere la sua venticinquesima candelina il 10 ottobre 2022.
In questa data infatti, nel 1997, Interplay Productions lanciò negli Stati Uniti il risultato di tante fatiche con la precisa intenzione di rivoluzionare il panorama dei giochi di ruolo occidentali.
A distanza di oltre un ventennio, la risposta alle loro incertezze e il riflesso di quelle ambizioni è sotto gli occhi di tutti: Fallout 4 (2015) ha venduto oltre 13 milioni di copie a livello mondiale (stando agli ultimi dati aggiornati al 2020 dal sito Statista), la mascotte del franchise è assurta tra quelle di Bethesda tutta e il suo futuro non è mai stato più sicuro.
Se allora alla casa texana spetterebbe il compito di portare i fuochi d’artificio atomici per organizzare i festeggiamenti (a patto di ripescare gli all’epoca lavorò sul prodotto), gli appassionati possono crogiolarsi nel ricordo delle sue origini, del suo percorso travagliato e delle unicità che le hanno permesso di entrare nel cuore di molti.
Piuttosto che concentrarci sulle tappe che hanno segnato la nascita, la crescita e l’esplosione mediatica della serie con una lunga rassegna storica, vogliamo dare un breve contesto temporale e successivamente commemorare questo anniversario soffermandoci sulle trovate originali che hanno convinto molti esploratori a cercare il loro posto nella Zona contaminata.
Excursus e nascita di una distopia
Gli anni ’90 si stavano preparando a poco a poco a lasciare il posto al nuovo millennio e il terreno videoludico era tripartito tra le sale giochi, le console da casa e i personal computer. Se nel secondo caso i platform erano tra i videogiochi più popolari ed erano anche il fulcro delle sperimentazioni tridimensionali di quegli anni, a tenere alta la bandiera del PC Gaming c’erano grosso modo le avventure grafiche come quelle della LucasArts.
Di contro, dopo una lunga schiera di emuli di Dungeon & Dragons, i GDR occidentali stavano vivendo una fase di stagnazione, con il fantasy a dominare la scena lasciando poco spazio commerciale a tutto il resto. Uno scossone bello forte arrivò dalla voglia dello sviluppatore Tim Cain e del suo ristretto gruppo di collaboratori di realizzare qualcosa di diverso dal solito.
La distopia, l’idea di una società futura costruita a partire da fatti esistenti o esistiti e tendenti a una polarizzazione negativa, può svilupparsi attraverso rami distinti e Interplay Productions non era forse ancora consapevole del fatto che stesse per partorire la sua versione originale di ucronia.
L’obiettivo primario era piuttosto un altro: smuovere il sopito genere dei giochi di ruolo con un taglio netto del cordone ombelicale che fino ad allora lo legava al fantasy, complici quell’onnipresente D&D sopra citato e l’imprescindibile J. R. R. Tolkien. Come raccontano alcuni degli attori originari nei video celebrativi condivisi sul sito Bethesda, lo studio voleva distinguersi facendo qualcosa in cui potessero riconoscere i loro caratteri.
Ecco che i topoi della distopia, da una genesi successiva a un’apocalisse, alla spersonalizzazione dell’individuo a favore di un ingranaggio di un sistema asettico, passando per una datazione abbastanza lontana da scongiurare qualsiasi confronto e al contempo vicina per suscitare empatia, vengono integrate con caratteristiche fresche, dissacrante e un po’ nuove per l’epoca.
Parliamo dei toni cupi ad esempio, in qualche modo legati all’esperienza da grande fratello del 1984 di Orwell; quei toni vengono sostituiti da una natura sempre sopra le righe, capace di ribaltare situazioni, personaggi, eventi e non solo. Molto spesso gli sviluppatori hanno nascosto al di sotto degli eventi più drammatici il necessario per spiazzare il giocatore, prima di condurlo alla riflessione.
Se nella letteratura il genio di Aldous Huxley con Il mondo nuovo o di Isaac Asimov con i suoi romanzi esplodono in contesti così lontani da apparire quasi fantastici, per i videogiochi quello di Fallout è un mondo terreno, concreto, ancora palpabile ai nostri occhi oggi.
La storia si origina infatti dalla catastrofe di una guerra nucleare che nel 2077 ha devastato la Terra, mutando esseri viventi e vegetali, sterminandone in numero incalcolabile e lasciando le briciole umane intente a raccogliere i cocci, a cercare di ripartire dal profondo basso, da dei vault.
Le bombe atomiche non hanno scalfito la malvagità di certe persone, che pure nella miseria tentarono di trarre profitto, ora con dei rifugi più simili a esperimenti perpetrati nella Seconda guerra mondiale, ora tenendo in pugno coloro i quali cercavano solo di sopravvivere.
Torna in questo il pilastro distopico di una società malata a causa del morbo degli uomini più che dall’apocalisse stessa, una nella quale l’individuo è spogliato dalle sue unicità per essere ridotto a mera forza lavoro, indistinguibile dai suoi simili, poiché distinguersi significherebbe pretendere diritti. Inerenti a tale discorso sono allora le ormai iconiche divise da abitanti dei vault che li vestono come soldati ipnotizzati dalla prospettiva di una comunità unita.
La forza di Fallout sta nel prendere i punti cardini del genere che gli servono per costruire la sua idea di storia s.p.e.c.i.a.l.
Il potere di una scelta
A dire il vero, quando il capostipite era ancora noto con il nome in codice Vault 13, la prima idea partorita dal team fu lo S.P.E.C.I.A.L., ovvero il sistema di progressione dell’alter ego che avvicina e insieme distingue Fallout da altri esponenti dei GDR. Strength, Perception, Endurance, Charisma, Intelligence, Agility e Luck (in italiano: Forza, Percezione, Stamina, Carisma, Intelligenza, Agilità e Fortuna) sono i sette parametri che forgiano l’avatar del giocatore attraverso una serie di sfide verbali e fisiche lungo la Zona contaminata.
Mettendo da parte i manuali di D&D appresi in gioventù, Tim Cain e soci hanno asciugato lo schema di statistiche dei giochi di ruolo classici, abbreviandolo in una comoda, distintiva sigla vincente. La nascita del sistema S.P.E.C.I.A.L si deve anche all’abbandono, durante le primissime fasi del progetto Fallout, dell’engine GURPS; questo perché il creatore di quest’ultimo si lamentò pubblicamente della violenza del progetto di Interplay, portando l’azienda ad abbandonare il mantenimento della licenza.
Oltre a riassumere la forza e l’agilità (oltre a un pizzico di fortuna) utili nel contesto post apocalittico (come in quello fantasy di un cavaliere lasciato in disparte), la trovata di Interplay nasconde un approccio diverso e personale a un sistema rodato da vari capitoli di Ultima di Origin System e altri: gli utenti più timorosi potranno infatti affidarsi alla propria parlantina e alle proprie doti di materia grigia per avere cara la pelle, sfoggiando in prima persona un taglio umoristico su qualsiasi argomento, da vero abitante della Zona Contaminata.
Lasciando piena libertà di dare una morale alla nostra storia nella zona contaminata, la serie permette di vestire i panni di un eroe senza macchia e senza paura con un fucile energetico o di un hacker capace di risolvere ogni possibile disastro con l’aiuto delle sue parole. Una variazione parziale rispetto alla tradizione dei GDR, certo, ma abbastanza marcata da sancire un cambio di rotta importante per il futuro.
Un mondo vivo
Mentre al giocatore è concessa la capacità di plasmare la sua esperienza, il mondo di gioco e il world building meritavano una solidità granitica tale da permettere un’espansione della serie sul lunghissimo termine. Oltre ai contorni narrativi menzionati, parliamo di un’attenzione ai dettagli e in particolare alla coerenza degli ambienti encomiabile. A Fallout (1997) va il merito di avere gettato i primi forti semi di un albero (atomico ovviamente) le cui radici si sarebbero allungate a dismisura, coprendo avventure dal sapore diverso come Fallout Tactics (2001) e Fallout Brotherhood of Steel (2004) fino al passaggio alle tre dimensioni con una conseguente esplosione del concetto di mondo contaminato.
Se nel suo essere sperimentale il capostipite concede la libertà di muoversi a proprio piacimento su uno schema isometrico, con il passaggio di consegne da Interplay a Bethesda avviene un cambiamento radicale, quello in favore della tridimensionalità. Fallout 3 del 2008 segna un importante mutamento per la serie sia in termini di gameplay, con i combattimenti in tempo reale a scalzare quelli strategici, sia di filosofia sottesa all’opera tutta.
Al sentore scanzonato e ribelle di Interplay va a sostituirsi quello comune a un’altra IP targata Bethesda, The Elder Scrolls: il giocatore vive la sua storia e in parallelo la Zona Contaminata segue la propria, favorita da tante chicche e piccoli dettagli emergenti. Basta visitare un accampamento, o un vault abbandonato da tempo per accorgersene: vassoi freddi in un angolo a segnalare la presenza ora lontana di vita, un frigorifero semi distrutto, stoviglie a simboleggiare un passato che si fa trama.
Post apocalisse con stile
Inutile negarlo: l’occhio vuole la sua parte e, in ambito artistico e d’intrattenimento, distinguersi con uno piglio originale permette di avere un biglietto favorevole alle attenzioni del pubblico. Mentre allora le opere ricadenti nel cyberpunk devono sottostare a precisi canoni estetici, bisogna ammettere che Fallout abbia fatto un altro passo, creando ex novo la sua impronta stilistica della bellezza distopica grazie alla fusione dell’apocalisse con i sentimenit artistici tipici degli anni cinquanta.
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Come se la società fosse stata ibernata nel 1950 mentre il tempo avesse continuato a scorrere fino e oltre il XXII secolo, la serie mette in scena una cornucopia di oggetti di uso quotidiano e non che fondono il periodo della guerra fredda a un’idea estetica di futuro datata e quasi goffa in modi particolari.
Dagli oggetti di casa alle armi, passando per le uniformi da abitanti dei vault all’iconica Power Armor, Interplay prima e Bethesda poi sono riuscite a concretizzare la loro versione di decadentismo contemporaneo e distopia in uno stile originale. Per non parlare del Vault Boy, perfetta concretizzazione della necessità di una mascotte a supporto della produzione e del fattore stilistico, oltre a incarnazione potente di un gusto per l’ironia graffiante e dark humour.
Da quel lontano 1997, molti sopravvissuti al fungo atomico hanno abbandonato la Zona Contaminata per ragioni diverse, non ultima il passaggio della serie nelle mani di Bethesda. Molti altri la stanno vivendo attraverso l’infrastruttura online di Fallout 76, mentre altri aspettano cosa riserveranno gli anni a venire, quello stesso futuro così certo da un lato e insieme incerto dall’altro.
Eppure la Zona contaminata sarà sempre pronta ad accogliere nuovi esploratori, perché la guerra, quella non cambierà mai.