Ogni periodo storico porta con sé anche un genere videoludico che sovrasta tutti gli altri: se gli anni ’80 sono stati dominati dai cabinati arcade, la decade successiva ha visto sicuramente la consacrazione del platform che si è espresso in numerose declinazione alla fine del secolo.
Dopo la loro crescita esponenziale in Giappone, i videogiochi a piattaforme hanno iniziato a spopolare anche in Europa già agli inizi degli anni ’90 per poi svilupparsi definitivamente negli anni a venire anche grazie all’uscita sul mercato della Sony PlayStation che ha ospitato una marea di videogiochi di questo genere e che per molti è considerata la console dei platform.
In questo appuntamento con lo speciale #Gameplay andremo a ripercorrere la storia di questo genere videoludico andando a sviscerare i retroscena e l’evoluzione nel corso degli anni facendo anche un confronto tra i due simboli del platform degli anni ’90: Super Mario e Crash Bandicoot.
Un passo indietro tra Space Panic e Donkey Kong
Come si fa a capire se un titolo rientra nella categoria dei platform o no?
Rispetto ad altri generi videoludici, quello del “videogioco a piattaforme” è abbastanza auto esplicativo e intuitivo dato che tutti i videogiochi di questo genere presentano un gameplay unico nel loro genere e che, anche se talvolta fuso ad altri modi di giocare, non è stato mai snaturato nel corso degli anni.
Si definisce videogioco platform un titolo nel quale il giocatore ha il compito di attraversare un livello formato da varie piattaforme, talvolta posizionate su più livelli.
Nel corso degli anni questo genere, come detto, è stato anche fuso ad altre modalità di gioco per rendere il gameplay sempre più vario; di solito i videogiochi platform sono ricchi di puzzle ambientali, enigmi, esplorazioni avventurose e anche sparatutto in casi molto particolari.
Detto ciò c’è da dire che nell’immaginario popolare se si pensa al platform, si pensa ovviamente alla meccanica del “salto” che è l’azione fondamentale per avanzare in livelli di questi videogiochi.
Paradossalmente il videogioco che è considerato dagli esperti videoludici il primo in assoluto a introdurre il genere platform non aveva il salto! Stiamo parlando di Space Panic, titolo arcade del 1980 che era stato il primo a introdurre delle piattaforme a schermo sulle quali però non si poteva saltare, ma soltanto cadere da esse. Forse è proprio per questo motivo che Space Panic viene ricordato poco dai videogiocatori che invece considerano un altro titolo di enorme successo come il vero gioco fondatore del platform, uscito l’anno successivo, ovvero Donkey Kong.
Il titolo di Nintendo non solo aveva delle meccaniche abbastanza rivoluzionarie per l’epoca, ma una di queste fece proprio da apripista per la lunga storia dei videogiochi platform costellata di grandi successi da quell’anno in poi. In Donkey Kong il giocatore poteva saltare per la prima volta per evitare i barili e gli ostacoli lanciati dal gorilla; non a caso il protagonista si chiamava Jumpman che forse molti ricorderanno con il nome che acquisì successivamente: ovvero Mario, forse il protagonista per eccellenza del genere platform.
Passare da Jumpman a Mario: la prima presa di coscienza
Per molti amanti di vecchia data dei videogiochi Super Mario è sostanzialmente sinonimo di platform e tutto ciò che viene dopo è soltanto una brutta copia. Magari questa affermazione è fin troppo azzardata, ma sicuramente la sensazione generale è che il successo di questo genere videoludico è partito proprio dalla magica creazione di Shigeru Miyamoto, considerato da molti il padre del videogioco moderno.
Nel 1984 Nintendo decise di estrapolare il personaggio di Jumpman facendolo rinascere sotto il nome di Mario e rendendolo protagonista di un videogioco personale: un platform a schermata fissa inserito nei cabinati arcade delle sale giochi in cui il protagonista si muoveva e saltava su piattaforme 2D scalciando e uccidendo i nemici che apparivano a schermo.
La formula di Mario Bros. (da “fratelli” dato che nel gioco era presente anche il personaggio di Luigi) fu poi evoluta e perfezionata due anni più tardi con il primo titolo per console, ovvero Super Mario Bros. uscito per NES nel 1985. È proprio qui che nasce il mito di Mario e non solo: è proprio qui che nasce il platform 2D come lo concepiamo adesso con il protagonista che si muove, salta, raccoglie oggetti lungo un percorso lineare con schermate a scorrimento e non più fisse.
Super Mario Bros. è ancora oggi ricordato come uno dei migliori titoli di sempre, come il gioco che ha totalmente cambiato la storia del videogioco introducendo un genere che avrebbe fatto la fortuna di tanti altri sviluppatori in futuro. Questo almeno fino al 1996 quando Sony decise di stravolgere la formula ed entrare a gamba tesa nel mondo dei platform sfruttando le potenzialità futuristiche del suo nuovo hardware: la PlayStation.
Marsupiali australiani made in Naughty Dog
La Sony PlayStation all’epoca era considerata una meraviglia della tecnologia, una potenza di calcolo che non era minimamente paragonabile a quella della concorrenza di Nintendo, che pure aveva lanciato sul mercato la sua nuova console in grado di far girare per la prima volta titoli interamente in 3D, ovvero il Nintendo 64.
Sony e Nintendo alla fine degli anni ’90 stavano iniziando quella che probabilmente è stata la prima e unica grande sfida tra le due aziende giapponesi; infatti qualche anno più tardi Microsoft avrebbe fatto il suo esordio nel mondo dei videogiochi dando vita all’eterna lotta tra PlayStation e Xbox.
Gli anni ’90, però, fecero da teatro non solo a una battaglia tra aziende, ma a una lotta fra icone videoludiche sulla quale ancora oggi ci sono discussioni su forum e siti videoludici (questo articolo ne è la prova lampante).
Ai nastri di partenza Nintendo partiva naturalmente avvantaggiata perché aveva alle spalle quasi 20 anni di esperienza nel campo dei videogiochi e inoltre aveva dalla sua l’icona di Super Mario che aveva conquistato con grande successo le precedenti generazioni su NES e SNES; dal canto suo Sony però non voleva restare a guardare e le premesse per un clamoroso ribaltone c’erano tutte, anche perché aveva a disposizione le mani e la mente di veri e propri luminari del videogioco: stiamo parlando ovviamente di Naughty Dog, che da lì a poco sarebbe diventata una delle software house più amate di sempre.
Crash vs Mario: una lotta non così tanto scontata
Cosa inventarsi per sbaragliare la concorrenza?
Beh, Sony non sapeva ancora che aveva tra le mani un gioiello pronto a brillare fornito direttamente da due giovani ragazzi che da lì a poco sarebbero diventati noti a tutto il mondo videoludico: Andy Gavin e Jason Rubin, fondatori di Naughty Dog e creatori del videogioco Crash Bandicoot, il platform che aveva l’arduo compito di sfidare e battere l’agguerrita concorrenza di Nintendo e del già noto Super Mario.
Per molti Crash Bandicoot partiva già sconfitto, nessuno avrebbe mai preferito un altro personaggio all’idraulico baffuto, ma forse queste persone avevano sottovalutato le potenzialità di PlayStation che proprio in quegli anni stava dando sfoggio delle sue qualità. Il 3D era la tecnologia del futuro ed è chiaro che Naughty Dog doveva lavorare su quello, ma come fare per sorprendere il pubblico? Super Mario 64 era esattamente un platform in 3D, si doveva trovare qualcosa di diverso.
Al di là della caratterizzazione del protagonista, dei personaggi, delle ambientazioni e della trama ciò che sorprese di più il pubblico per quanto riguarda Crash Bandicoot era proprio il gameplay e il level design: Nintendo con il passaggio alla tecnologia 3D aveva optato per mondi più aperti, ma questo ovviamente ha costretto gli sviluppatori a ridurre gli elementi a schermo e abbassare la qualità delle texture che apparivano poco nitide, anche a causa delle limitazioni tecniche dell’hardware di Nintendo 64.
Naughty Dog invece comprese che non era possibile (per tempo, ma soprattutto per limiti tecnici) creare dei mondi aperti e quindi decise di fare dei livelli a corridoio nel quale il protagonista si muoveva da un punto A a un punto B: il segreto del successo? Gli sviluppatori di Naughty Dog riuscirono a spremere le capacità tecniche di Playstation trasformando i livelli in corridoi ricchissimi di elimenti a schermo. Questo elemento contribuì all’impatto scenografico del titolo, facendo risaltare fin da subito Crash Bandicoot come uno dei titoli più importanti della sua epoca.
Se da una parte abbiamo un videogioco “davvero tridimensionale”, anche nel suo far approcciare il giocatore ai suoi mondi, dall’altra abbiamo un videogioco in grado di mostrare le vere potenzialità della grafica tridimensionale traslando un immaginario cartoon all’interno di un percorso esplorabile. Nonostante il futuro abbia poi decretato l’immortalità di Super Mario, Crash Bandicoot ha lasciato un profondo solco all’interno dell’universo dei platform, specie per il pubblico europeo ed americano.
Ad oggi esistono ancora platform in purezza?
Il genere videoludico del platform che tanto ha appassionato milioni di videogiocatori in tutto il mondo tra gli anni ’90 e il 2000, da qualche anno, considerando soprattutto le ultime tre generazioni di console, ha un po’ lasciato spazio ad altri generi videoludici più in voga come gli FPS, gli action/adventure single player e ovviamente i multiplayer online come Fortnite.
Siamo tutti d’accordo su quanto appena detto, ma esistono ancora platform puri nel mercato videoludico moderno?
Per prima cosa dobbiamo cercare di dare una definizione a tale termine.
Per “platform puro” possiamo provare ad intendere un videogioco che sfrutti il concetto di piattaforme su cui saltare senza influenze da parte di altri generi, imperniando il gameplay sul sistema di movimento e gli strumenti che il gioco offre al player. Questo implica un mettere quantomeno da parte le meccaniche di combattimento in favore di meccaniche che mettano al centro dell’esperienza il movimento, vero cardine dell’esperienza platform.
Mario e Crash, nonostante qualche influenza esterna, al giorno d’oggi possono ancora vantare meccaniche da platform puri e lo stesso si può dire di saghe splendide come quella di Rayman che con Origins e Legends ha inanellato una coppia di autentiche perle del genere. Il mercato indipendente, dalla sua, ha portato alta la bandiera grazie a titoli come A Hat In Time o Demon Turf mentre brand come Sonic hanno deviato in maniera più aggressiva, introducendo all’interno del loro pentolone alchemico sistemi di combattimento imperniati sull’action o meccaniche da action-rpg abbastanza bizzarre.
Sotto suggerimento della mia amica e collega Maria Enrica (con la quale ho scambiato pareri a lungo per la realizzazione di questo articolo), possiamo citare anche la coppia di puzzle/platform di Playdead: Limbo e Inside, i quali però possono essere già considerati un mix di generi tra il rompicapo e i videogiochi a piattaforme.
Il futuro del genere, almeno nella sua iterazione più pura, sembra non essere dei migliori. Con il passare degli anni i titoli che hanno offerto variazioni sul tema sono aumentati e quelli che invece hanno cercato di centrare il loro discorso ludico sugli elementi fondamentali sono diminuiti, complice anche la difficoltà di sviluppo all’interno di un genere dai canoni così ristretti. In generale il mercato videoludico sembra avere sempre meno spazio per questo genere di giochi, fagocitati da produzioni più orientate verso la spettacolarità che altro.