Nella prima parte di questo lungo racconto su Bloober Team abbiamo ripercorso i difficili esordi dell’azienda polacca, tra esperienze di sviluppo non proprio felici e la volontà ferrea di continuare a provarci, nonostante tutto. Ci siamo lasciati con una prima, timida inversione di tendenza data dal moderato successo del gioco Brawl. È il momento di scoprire come la software house sia riuscita a capitalizzare il suo primo successo fino a divenire un’autorità nel campo dell’horror videoludico.
Capitolo 3: Incubi e deliri
La seconda carta vincente giocata da Bloober è Layers of Fear (2016), il primo vero e proprio gioco horror del team. Nello sviluppo positivo del titolo e nei maggiori fondi a disposizione è stata la fanbase a giocare un ruolo fondamentale, partecipando massicciamente all’early access del gioco su PC, il che ha garantito le risorse economiche sufficienti per portarlo a termine in tranquillità.
[pubblicare il gioco in early access] ci ha aiutato moltissimo. Probabilmente il feedback più importante che abbiamo ricevuto è stato l’interesse generale mostrato nei confronti del gioco: abbiamo avuto la certezza di essere sulla strada giusta per quanto riguarda il modo in cui spaventiamo il giocatore e come abbiamo pensato il level design. Abbiamo lavorato a stretto contatto con la community: abbiamo letto ogni singolo commento pubblicato sui forum e siamo stati più che felici di trovare critiche costruttive. Le persone non si sono limitate a dire che il gioco non gli piaceva (in toto o in parte), ma hanno fornito argomentazioni a sostegno del loro punto di vista, sulla base delle quali abbiamo potuto lavorare nel corso dello sviluppo. Abbiamo utilizzato alcune di queste idee, altre sono state discusse internamente. Nel complesso è stata una grande esperienza che ha contribuito a plasmare Layers of Fear fino al suo stato attuale. Gli sviluppatori del gioco intervistati da Ravi Sinha per Gamingbolt – 22 febbraio 2016
L’idea di sviluppare un horror che travalicasse la solita declinazione survival, caratteristica distintiva delle serie più famose come Resident Evil e Silent Hill, è figlia di quella meravigliosa epifania videoludica che si manifesta un anno prima, ad opera di Hideo Kojima: l’ormai celebre P.T., demo gratuita di ciò che sarebbe dovuta essere l’anticipazione di un Silent Hills targato Kojima/Del Toro e che invece è rimasto un cimelio custodito gelosamente negli hard disk di qualche Playstation 4 ora venduta a peso d’oro, è una rivelazione per i designer di Bloober Team. Essi si rendono conto (e con loro tutta l’industry) che anche un semplice corridoio in loop può risultare terrorizzante e stimolante da giocare.
Non che il survival fosse stata l’unica declinazione dell’horror nei videogiochi fino a quel momento, ovviamente; ma è il momento storico a giocare un ruolo determinante nella fortuna critica e di pubblico di P.T. al di là della fama del suo creatore: la scelta di applicare la struttura dei walking simulator – genere in assoluta esplosione in quegli anni, basti pensare a Dear Esther (2012), The Vanishing of Ethan Carter (2014), Everybody’s Gone to the Rapture (2015), Firewatch (2016) – all’horror d’atmosfera, è una geniale idea di design che conquista il cuore degli appassionati.
Insomma P.T. apre gli occhi agli sviluppatori di Bloober Team e li ispira nella creazione della loro prima avventura psico-horror. È lo stesso producer del gioco Rafal Basaj (attualmente producer presso Reikon Games) ad ammettere questo rapporto di filiazione:
P.T. ci ha in un certo senso aperto gli occhi. Improvvisamente abbiamo sentito la voce del pubblico affermare che c’è posto nel mercato per un horror che non sia meramente un survival – anche il ricorso agli ‘spazi impossibili’ è diventato una delle nostre principali ispirazioni per Layers of Fear. Siamo rimasti molto delusi dalla cancellazione di Silent Hills, che si preannunciava essere un titolo davvero innovativo. Credo il gioco tornerà a galla in futuro, ma sarà sicuramente un gioco diverso. Rafal Basaj citato da Antohny Chapman per Express – 1 febbraio 2016
L’approccio “atmosferico” adottato da Bloober Team nel design del gioco si traduce in primo luogo in un’esperienza priva di game over: Layers of Fear rinuncia dunque all’inquietudine derivante dalla sorte del proprio avatar, focalizzandosi piuttosto sul senso di disagio e di mistero che aleggia in una storia non raccontata, lasciando il compito di ricostruire i pezzi del puzzle al giocatore. In effetti non si fa molto nel gioco, oltre che esplorare le stanze della casa di un pittore ormai in caduta libera nel baratro della follia.
L’avventura consiste semplicemente nell’aggirarsi per la magione del protagonista, recuperando oggetti e documenti che contengono indizi sulle cause della sua condizione delirante. Un paesaggio allucinato in cui realtà e arte, amore e morte, ragione e follia si mescolano in un continuo gioco di alterazioni prospettiche, deformazioni ottiche e colte citazioni iconiche. Il tutto condito da qualche occasionale puzzle e da reiterati jumpscare, più o meno efficaci.
La scelta dell’adozione di una prospettiva in prima persona, anch’essa mutuata da P.T., si rivela la carta vincente per aumentare l’immedesimazione del giocatore; è inoltre la scelta più sensata per un’avventura in cui non dobbiamo guardarci costantemente da nemici iracondi e avere sempre il controllo della situazione, anzi: paradossalmente la sensazione di presenza conferita dalla prima persona aumenta lo spaesamento del giocatore, la cui vista sull’ambiente è sempre parziale; per sapere cosa c’è dietro di noi siamo costretti i voltarci, e ciò fa sì che l’ambiente davanti a noi possa mutare a nostra insaputa, per suscitare un effetto wow o un jumpscare non appena ci giriamo nuovamente.
Se la formula di gioco è dichiaratamente derivativa, ciò non toglie che la realizzazione tecnica ed il design artistico riescano nell’intento di conferire al gioco una identità riconoscibile. E a quanto pare il pubblico, titillato dalla promessa di un P.T. in salsa polacca, non aspetta altro: Layers of Fear è un grande successo per Bloober Team, che negli anni successivi all’uscita capitalizzerà sull’IP realizzandone un DLC (Inheritance, 2016) un seguito (Layers of Fear 2, 2018), una versione per realtà virtuale (Layers of Fear VR, 2019) e diversi port.
Lo stesso impianto di gioco, pur con le dovute differenze, è alla base degli altri due titoli del fortunato terzetto di Bloober: >observer_ (2017) e Blair Witch (2019).
Il primo, oggigiorno noto ai più nella sua versione riveduta e corretta intitolata Observer: System Redux (2020), attinge ai temi e all’estetica cyberpunk per imbastire una detection con evidenti debiti nei confronti di Blade Runner, costantemente richiamato alla mente del giocatore dalla presenza di Rutger Hauer nei panni del protagonista del gioco. L’elemento horror-allucinatorio è ben presente anche qui, e in effetti non è questo l’aspetto a mio parere più interessante della produzione. Ciò che contribuisce al fascino del gioco è la sua ambientazione nel mondo reale. Si tratta chiaramente di una visione da fantascienza distopica, ma il setting di partenza è Cracovia, città natale di Bloober Team.
Questa è la carta vincente della produzione, perché l’ovvia conoscenza della città da parte dello studio è ciò che consente all’ambientazione di dotarsi di un’estetica verosimile e affascinante. La combinazione di elementi realistici e fantastici, l’utilizzo di modelli poligonali ed elementi grafici che ricalcano vere insegne, luoghi e oggetti della società polacca restituiscono l’impressione di una città viva, reale, ed al tempo stesso aliena a noi giocatori occidentali.
L’ambientazione polacca apre uno spazio di riflessione da parte di Bloober Team circa la storia e la cultura del proprio paese, incistando una classica avventura cyberpunk-horror in una cornice socio-culturale realistica. Una scelta azzeccata che Bloober non mancherà di replicare nel futuro The Medium.
Innanzitutto, il gioco è ambientato a Cracovia, in Polonia. Non abbiamo paura di dirlo alla gente. L’edificio principale del gioco è stato ricavato da un edificio reale in cui vive uno dei nostri dipendenti. (…) Quello che abbiamo voluto fare è stato utilizzare come modelli molti oggetti provenienti dalla nostra cultura, che non saranno comprensibili per il pubblico occidentale. Persino l’auto in cui si trova il nostro protagonista all’inizio del gioco è stata realizzata in modo da assomigliare a una vettura cult dei primi anni ’90 in Polonia. (…) Ci sono riferimenti storici: la Chiron Corporation, la malvagia corporation del gioco, fa la sua propaganda un po’ come la Russia sovietica ha fatto nel nostro paese e in quelli vicini. (…) Quello che volevamo fare era dare molti riferimenti che fossero comprensibili alla community di giocatori polacchi ed est europei in generale, ma anche creare qualcosa di molto esotico per le persone dei paesi occidentali. Rafał Basaj intervistato da Juan Manuel Fontan per The Indie Game Website – 22 aprile 2018
Blair Witch è invece il tentativo di coniugare le meccaniche dell’avventura horror con un adattamento di un classico della cinematografia mockumentary, anche se in questo caso l’accoglienza di pubblico e critica è stata più tiepida. Per un ex studente di informatica e cinema come Babieno, probabilmente il titolo avrebbe dovuto rappresentare la perfetta combinazione delle sue passioni nonché il raggiungimento della propria ambizione personale: realizzare l’avventura horror di stampo cinematografico definitiva.
La scintilla che dà il via al progetto la ricorda il QA lead Maciej Głomb: il team ha appena finito di lavorare ad Observer e si sta interrogando sul prossimo progetto da sviluppare, quando arriva la classica proposta che non si può rifiutare:
Avevamo appena finito i lavori su Observer (…) e cercavamo un modo per esplorare ancor più approfonditamente l’horror psicologico. Proprio nello stesso periodo Lionsgate era alla ricerca di uno studio che potesse trasporre il franchise di Blair Witch nel medium videoludico. Dato che avevamo già avuto dei contatti in passato, è stato naturale instaurare un dialogo in tal proposito e decidere di sviluppare questo titolo. Maciej Głomb intervistato da David Craddock per Shacknews – 13 giugno 2019
Lo scopo del team non è ricalcare la storia del film bensì imbastirne una originale da ambientare nell’iconica foresta del franchise. Nel gioco si nota lo sforzo intrapreso da Bloober per aggiungere delle novità all’impianto da walking sim horror che ha contraddistinto le due IP precedenti. La più evidente è la presenza di Bullet, il cane del protagonista, un compagno che offre un aiuto concreto al giocatore e con il quale esso è portato a creare un legame affettivo.
In termini di programmazione esso comporta per il team l’inedita sfida di sviluppare una IA: sembra una cosa banale, ma Bloober non ne aveva mai dovuta sviluppare una, dato che nei giochi precedenti il protagonista era sempre l’unico personaggio attivo (e gli NPC presenti in Observer apparivano tutti in sequenze scriptate). Un’implementazione che comporta una sfida notevole in termini del trovare il giusto equilibrio tra un aiutante troppo zelante ed un compagno troppo insulso:
Abbiamo avuto molti problemi con Bullet e la sua intelligenza, perché nelle nostre prime iterazioni era troppo intelligente. In pratica, gli dicevi di cercare e lui ti guidava per tutto il gioco. Credo che bilanciare Bullet sia stata la sfida più difficile, perché se è troppo intelligente non va bene, ma nemmeno se è troppo stupido perché a quel punto il giocatore non vedrebbe un senso nell’utilizzarlo. Credo che questa sia stata la sfida più grande per noi: crearlo e poi bilanciarlo in modo che sia utile al gioco, ma non renda triviale il gameplay. Maciej Głomb intervistato daWilliam Worral per TechRaptor – 27 ottobre 2019
Bloober si sforza di introdurre ulteriori novità nella propria formula di gameplay, ad esempio un basilare sistema di combattimento e una meccanica di puzzle-solving legata all’utilizzo di una videocamera per esaminare vecchi filmati alla ricerca di indizi chiave.
Sono tutti tentativi apprezzabili anche se troppo abbozzati per risultare innovativi. In generale il gioco sembra fungere più che altro da palestra per gli sviluppatori, che possono sperimentare soluzioni diverse e acquisire nuove competenze. Un tentativo lodevole, anche se è indubbio che Blair Witch sia rimasto più in sordina rispetto agli altri titoli Bloober recenti.
Capitolo 4: La metà oscura
Nel 2020 Bloober Team annuncia che il suo nuovo gioco, The Medium (2021), sarà un’esclusiva temporale console Xbox. Fino a quel momento, eccetto i titoli Nintendo degli esordi, Bloober non si era mai legata ad un produttore specifico, ma l’incontro con Microsoft è accolto positivamente dallo studio polacco che vede in questa partnership una ulteriore possibilità di crescita.
D’altro canto, Microsoft può portare sotto la sua ala uno studio specializzato in giochi horror, un genere che non gode di grande rappresentanza presso i suoi studi interni (una rapida carrellata mentale mi porta alla mente solo Tango Gameworks, a seguito dell’acquisizione di ZeniMax):
Le console devono avere un’interessante libreria di giochi per convincere i giocatori ad acquistarli, ed è per questo che Microsoft è andata in cerca di collaborazioni presso quegli sviluppatori che avessero una forte identità rispetto al genere di giochi che realizzano. (…) Ci supporta quasi come se si trattasse di un suo prodotto interno, e le foto di Phil Spencer con la maglietta della nostra azienda sono state diffuse dai media di tutto il mondo. (…) Teniamo molto alla collaborazione con Microsoft. È un gigante del settore e il fatto stesso che abbia scorto in noi un grande potenziale mi rende molto felice. I vantaggi di essere partner sono decisamente superiori alle limitazioni, altrimenti non avremmo deciso di collaborare. Microsoft non ci ha imposto diktat sul gioco: ritiene che siamo noi gli esperti in questo campo. Ci sostengono invece nelle attività di promozione e marketing, il che a sua volta ci aiuta molto. Piotr Babieno intervistato dalla redazione di Interia – 25 novembre 2020
Insomma l’iniezione di fiducia (e di risorse) da parte del colosso di Redmond è proprio ciò di cui Bloober Team aveva bisogno per concretizzare un’idea concettualizzata anni prima, ma mai approfondita per limiti di know-how e di risorse hardware delle console: realizzare un’avventura in cui i comandi del giocatore controllano un personaggio che si aggira simultaneamente in due ambienti diversi.
Anche in questo caso l’ispirazione primigenia e dichiarata è un classico della videoludica dell’orrore: la serie Silent Hill, contraddistinta dal presupposto narrativo dell’esistenza di un Otherworld – una realtà parallela alla nostra che ne costituisce il lato oscuro, partorito dagli incubi e dagli orrori reconditi dei viventi – è il pilastro attorno cui sviluppare il game design di The Medium, che ruota attorno alla possibilità della protagonista di agire simultaneamente in entrambe le dimensioni, reale ed onirica, e in tal modo risolvere enigmi e risolvere situazioni che consentono di avanzare nella storia. Una meccanica denominata Dual Reality, che è resa finalmente possibile dalla potenza di calcolo delle console moderne:
Se il nome The Medium vi suona familiare, forse è perché Bloober ha annunciato il progetto addirittura nel 2012, con l’intenzione di rilasciarlo su Xbox 360, PlayStation 3 e Wii U. Da allora lo studio ne ha parlato occasionalmente, ma è solo ora, con un accordo di esclusività per la console Xbox Series X (il gioco verrà lanciato anche su PC) e una data di uscita in vista, che Bloober è finalmente in condizione di svelare di più rispetto a quello che definisce il “più grande gioco che abbiamo mai creato” e il suo “progetto più ambizioso fino ad ora”. Matt Wales per Eurogamer – 7 maggio 2020
Bloober non ha fatto mistero, come dicevo poc’anzi, di aver tratto ispirazione dall’opera del Team Silent: ce l’ha dichiarato espressamente il lead designer Wojciech Piejko, intervistato dall’ottimo Michele Longobardi. Tuttavia il funzionamento della meccanica Dual Reality è implementato in maniera diversa rispetto all’opera di Konami. Il team ha infatti un’idea molto particolare di come gestire l’esplorazione delle due realtà da parte del giocatore: le interazioni tra i due piani dovranno infatti avvenire a schermo simultaneamente.
Lo studio lavora alacremente allo sviluppo di questa meccanica, facendone uno dei cardini dell’esperienza di gioco. Vi porrà tanta attenzione da decidere addirittura di brevettare il sistema: scelta giusta? Sbagliata? Discutibile? Sulla diatriba dei brevetti nei videogiochi si è espresso il nostro esimio Pasquale Monniello in due bellissimi approfondimenti che potete leggere qui e qui.
In sostanza il “metodo di gioco simultaneo in videogiochi per giocatore singolo” – nome con cui è registrato il brevetto US10500488B2 depositato da Piotr Babieno e Konrad Rekieć (Project Lead del gioco) – consiste nel renderizzare simultaneamente due istanze di gioco (ciascuna con la propria estetica) restituite a schermo tramite split-screen, in cui un medesimo input di comando da parte del giocatore provochi un’azione simultanea dell’avatar in entrambe le istanze, la quale azione può portare ad esiti differenti. Più nel dettaglio:
L’invenzione riguarda il metodo di gioco simultaneo nei videogiochi progettati per singolo giocatore. L’invenzione è realizzata tramite computer e utilizza almeno un display, almeno un dispositivo informatico che genera l’immagine di gioco visualizzata sul display e almeno un controller di gioco manovrato dall’utente. Il metodo di controllo dell’avatar previsto dall’invenzione è caratterizzato dal fatto che il giocatore, utilizzando un controller, controlla simultaneamente almeno due personaggi (1), (2), mentre ciascuno dei personaggi controllati dallo stesso utente viene visualizzato simultaneamente in un viewport separato (6), (7), che costituisce un universo narrativo separato (A), (B) e l’input proveniente dal controller viene trasformato dal layer di sincronizzazione del gioco, tenendo conto di modificatori predefiniti specifici per ciascuno degli universi narrativi presenti (A), (B). Potete leggere la documentazione completa relativa al brevetto a questo indirizzo
Al di là del linguaggio tecnico il significato è semplice: la stessa azione effettuata nelle due realtà parallele provoca conseguenze diverse, e il giocatore deve capire come combinare queste sequenze di cause ed effetti per superare ostacoli, recuperare oggetti fuori portata, valicare zone inaccessibili, sfuggire ad un pericolo… insomma, proseguire nel gioco.
All’atto pratico è una meccanica di gameplay di immediata comprensione, e gestibile tramite classici trial-and-error. Nell’economia del gioco poi queste fasi sono numerose ma non soverchianti, e hanno un grado di complessità variabile ma mai eccessivamente frustrante o fuori portata. In questo si riconosce una linea di continuità propria delle avventure di Bloober Team, che secondo Rafał Basaj puntano a creare il sottogenere specifico da lui definito “Hidden Horror”:
Le persone amano i film horror psicologici, quindi perché non dovrebbero apprezzare i giochi realizzati con questo stesso approccio? Abbiamo creato un intero sottogenere sulla base di questa idea e lo abbiamo chiamato “Hidden Horror”. Esso si basa solo su due principi (…) [il primo è che] tutti i giochi hanno un nucleo tematico, che può essere di natura sociologica o psicologica. Il tema di Layers of Fear era la dialettica tra vita familiare serena e carriera di successo. (…) Con Observer si trattava invece di riflettere sui confini del concetto di umanità, che abbiamo esplorato in molti modi attraverso gli inquilini che si possono incontrare nel palazzo ove è ambientato il gioco e le loro storie.
(…) Suscitiamo dilemmi morali nei giocatori, il che ci porta al secondo principio dell’Hidden Horror, che è qualcosa che chiamiamo “Catarsi 2.0”. Quello che vogliamo fare non è solo far rivivere ai giocatori le loro angosce e paure, con la conseguenza di non avere più paura di qualcosa perché l’hai vissuta. Vogliamo anche che le persone si fermino per un secondo, sia mentre giocano sia quando hanno smesso, per riflettere sul vero significato del gioco. Perché il protagonista ha fatto quello che ha fatto, o perché io giocatore ho scelto di fare quello se potevo fare quest’altro. Vogliamo che riflettano sulla loro vita, in base a ciò che hanno esperito attraverso il videogioco. Rafał Basaj intervistato da Juan Manuel Fontan per The Indie Game Website – 22 aprile 2018
Al di là di questi proclami, che spetta alla sensibilità del singolo giocatore giudicare calzanti o eccessivi, The Medium è indubbiamente un’avventura dall’atmosfera suggestiva, caratteristica enfatizzata da quella adesione alla realtà locale che già denotava Observer e qui replicata nel design delle location principali del gioco, l’abitazione della protagonista e l’enorme hotel abbandonato, entrambi modellati su edifici esistenti di Cracovia (riferimenti specifici nel video sottostante).
Gli alti valori produttivi, l’intrigante meccanica del mondo parallelo, l’affascinante estetica dell’Otherworld ispirata all’arte di Zdzisław Beksiński i grandi nomi coinvolti nel progetto (Troy Baker al doppiaggio, Akira Yamaoka alle musiche) e le palesi influenze da Silent Hill concorrono a fare di The Medium il più grande successo di pubblico e critica mai raggiunto da Bloober Team.
Capitolo 5: Il silenzio degli innocenti
Certo che The Medium è proprio un omaggio spudorato a Silent Hill. Sarebbe bello se Bloober Team facesse un nuovo gioco della serie!
Sono stati in molti a fantasticare su questa possibilità, dopo l’uscita di The Medium. Semplici sogni, chiacchiere con cui trastullarsi tra fan dell’horror. Finché sono iniziate a spuntare dichiarazioni tipo questa:
(…) abbiamo già iniziato a lavorare su un nuovo titolo, che ci è stato commissionato da uno dei leader mondiali del settore, che possiede un’IP molto nota del nostro genere. Al momento non possiamo rivelare di quale azienda o titolo si tratti, ma posso dire che il contratto firmato significa per noi una promozione verso la cerchia dei produttori mondiali di videogiochi. Piotr Babieno intervistato dalla redazione di Interia – 25 novembre 2020
E allora le persone hanno iniziato a farsi due conti. Il progetto di Kojima cancellato anni prima… Un leader mondiale del settore che possiede una IP horror molto nota… Improvvisamente quella che sembrava essere solo una fantasia inizia ad assumere connotati molto concreti. Fan e giornalisti hanno iniziato un febbrile lavoro di incrocio di fonti e raccolta di dichiarazioni, una delle più note è senz’altro quella di TheGrateDebate che, unendo i puntini, presenta indizi convincenti circa la possibilità concreta di un Silent Hill a firma Bloober.
I più speranzosi anelavano un annuncio in tal senso durante la recente Summer Game Fest 2022. Un annuncio è arrivato, anche se non relativo alla serie di Konami, bensì al nuovo Layers of Fears, il cui lancio è previsto per inizio 2023. Da dichiarazioni precedenti sappiamo però quest’ultimo non è l’unico gioco su cui il team polacco è al lavoro (del resto, Layers of Fears è una IP proprietaria quindi non può essere l’oggetto della dichiarazione riportata sopra). Dunque il nodo gordiano attendeva ancora di essere sciolto.
Il velo è stato infine squarciato il 19 ottobre 2022, nel corso dello showcase di Konami specificatamente dedicato alle novità sul franchise Silent Hill (qui il recap completo dell’evento). Nel corso dello show è stato infatti svelato che Bloober Team sta sviluppando un remake di Silent Hill 2, forse il capitolo più amato della serie (sicuramente il mio preferito), che uscirà in data da definirsi su PC e PS5 in esclusiva temporanea console per 12 mesi. Si tratterà di una riproposizione fedele del gioco, ovviamente impreziosita da moderni accorgimenti quali grafica 4K, una nuova visuale over-the-shoulder ed un combat system rivisitato. Babieno ha rilasciato alcune dichiarazioni dalle quali emerge che i lavori sul gioco procedano già da 3 anni, e che il titolo si trovi in una fase di sviluppo già piuttosto avanzata. Non dovremmo perciò attendere molto tempo prima di ricevere informazioni ufficiali circa la finestra di lancio.
Inoltre lo studio polacco sta iniziando a seguire la tendenza transmediale di tutte le major videoludiche contemporanee: ha infatti annunciato una partnership con Platige Image (studio specializzato nella realizzazione di cinematiche e VFX) per la realizzazione di una serie basata su The Medium.
L’ingaggio per il remake di Silent Hill 2 sembra il compimento di tutti i sogni coltivati pervicacemente da Babieno nel corso della lunga e travagliata storia di Bloober Team, che con questo titolo si gioca il suo biglietto d’ingresso nella pletora dei più blasonati studi di sviluppo. Siamo ancora una volta in procinto di un momento cruciale per il futuro della compagnia polacca: auguriamoci che riescano a terrorizzarci a dovere.