#Raccontamiunastoria | Returnal: fuga dalla prigione della mente

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Ricordate l’evento live stream con cui Sony, lo scorso 11 Giugno 2020, svelava al mondo le fattezze della sua Playstation 5, insieme a qualche “grande nome” che ne avrebbe accompagnato l’uscita ed i primi mesi di vita? Bene, alzi la mano chi, scorrendo quella promettente line up, si era soffermato proprio su Returnal.

Prima che mi diate dell’hipster, lasciate che vi dica che la mia non è assolutamente un’accusa nei vostri confronti. Tra un Gran Turismo 7 ed un Demon’s Souls in forma smagliante, un Miles Morales che cavalcava il successo di uno dei principali blockbuster di PS4, un Ratchet & Clank: Rift Apart che mostrava cosa intendesse Sony con l’espressione “next gen”, con Deathloop e Ghostwire: Tokyo che avevano attirato l’attenzione dei palati più esigenti, il titolo Housemarque sembrava quasi un progetto secondario; senza considerare che, nei 2 minuti e 14 secondi di durata del suo trailer, praticamente nessuno si era fatto un’idea precisa di che cosa fosse esattamente Returnal.

Un gioco d’avventura? Un’esperienza action? Uno shooter? Un survival? I dubbi erano più che leciti, soprattutto perché, è bene ricordarlo, Housemarque era praticamente alla sua prima esperienza con un tripla A, essendosi sempre cimentata in produzioni dal budget medio/piccolo.

Come ben sappiamo, questa incertezza si protrasse per diversi mesi, dissipandosi quasi a ridosso dell’uscita del videogame. Se la formula ludica era stata rivelata, la curiosità di pubblico e critica si era spostata su un altro aspetto misterioso del titolo: la sua trama.

Del gameplay del videogame Housemarque si è già abbondantemente parlato (trovate qui la nostra recensione), ma la storia di Selene e del pianeta Atropo è ancora oggi materia di discussione, tra verità assodate (poche) e quesiti più o meno inevasi (tantissimi).

Lo scopo della presente rubrica è stato, sin da subito, quello di mettere storie e tecniche narrative sotto la lente di ingrandimento. Proprio in base a quanto ora scritto, non ci soffermeremo più di tanto sulla spiegazione della lore di Returnal e del suo epilogo (demandando tutto ciò ad un eventuale successivo articolo), ma sul modo con cui lo studio finlandese ha scelto di narrarci le vicende di Selene e della sua lenta discesa nel cuore di Atropo.

A tal proposito premettiamo che, nelle righe che seguono, troverete diversi spoiler sulla trama di gioco. Vi consigliamo di proseguire oltre solo dopo aver portato a compimento la vostra avventura.

Alla ricerca di una via d’uscita

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Viaggio alla ricerca della Pallida Ombra.

Nel bel mezzo di una missione esplorativa, un’astronauta di nome Selene Vassos effettua un atterraggio di fortuna su un misterioso pianeta di nome Atropo, con lo scopo di indagare su un altrettanto misterioso segnale chiamato “Pallida Ombra“. La navicella spaziale Helios, su cui la protagonista viaggia, è irrimediabilmente danneggiata, così come lo sono le apparecchiature di bordo; dopo una breve esplorazione dell’ambiente circostante, e fatta la conoscenza con una fauna tutt’altro che amichevole, appare chiaro che c’è qualcosa di decisamente unico su questo corpo celeste.

Al di là delle rovine di una civiltà aliena oramai scomparsa, scopriamo che no, non siamo stati i primi a visitare Atropo. Quasi subito ci imbattiamo nel cadavere di un altro astronauta e, con immenso stupore, ci accorgiamo che quel corpo è proprio quello della nostra Selene, che ancora imbraccia la sua pistola, una delle prime armi con cui saremo chiamati a difenderci.

Le sorprese, però, non sono finite.

A pochi passi di distanza, inizieremo a raccogliere tutta una serie di audio diari, registrati proprio da Selene, da cui emerge un’altra amara verità: ci troviamo su Atropo da molto, moltissimo tempo. Le leggi fisiche di questo pianeta intrappolano chi vi si ritrova in un numero infinito di linee ed intersezioni temporali da cui non è possibile fuggire, neanche con la morte.

Ogni volta che la protagonista sarà sopraffatta, ritornerà nel punto esatto dello schianto di Helios, essendo così costretta ad affrontare nuovamente le tante minacce di Atropo che, però, muterà ad ogni nostra dipartita. Per Selene c’è un solo modo per tornare a casa: raggiungere la fonte della Pallida Ombra, lanciando così un segnale di soccorso ad ASTRA, la corporazione di cui la nostra protagonista fa parte.

L’impresa non si presenta come una delle più semplici, dato che le creature che ci sbarreranno la strada saranno tante e decisamente ostili; inoltre, sembra quasi che Atropo voglia “comunicarci” qualcosa. Nel corso delle nostre esplorazioni, ci imbatteremo spesso in quella che sembra una fedele riproduzione della nostra casa sulla Terra, ed in cui saremo addirittura chiamati ad entrare!

Già arrivati a questo punto, sono tante le domande che sarebbe lecito porsi. Dove ci troviamo esattamente? Quali sono i misteri di questo pianeta? Che cosa lo lega al passato della nostra eroina? Ed infine: qual è la vera natura di Atropo?

Dopo la morte, c’è sempre il ritorno

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La “calorosa accoglienza” del pianeta Atropo.

Returnal presenta una narrazione frammentata e tutt’altro che lineare, in cui è veramente difficile capire l’esatta collocazione temporale di determinati eventi. Per tentare di comprendere anche solo a grandi linee la trama di gioco dovremo esplorare a fondo i sei biomi di cui è composto Atropo. Se vi state chiedendo come fare, la risposta è “una e trina”: morendo, morendo e ancora morendo.

Il titolo Housemarque è un roguelite e, come tutti i roguelite che si rispettino, ci manderà al tappeto un numero considerevole di volte, facendoci perdere la quasi totalità degli oggetti in nostro possesso, ma facendoci scoprire dettagli sempre nuovi e donandoci, di tanto in tanto, un ulteriore, piccolo frammento del puzzle.

Che si tratti di uno xenoglifo finalmente decifrato al 100%, di un nuovo oggetto ricevuto, di un messaggio all’interno del database di Helios, di uno xenoarchivio contenente la storia delle creature senzienti che abitavano Atropo o di un semplice diario esplorativo, ogni cosa rappresenta un indizio che, in qualche modo, potrà farci avvicinare alla verità. Tuttavia, il grosso delle scoperte non può che passare attraverso le sequenze all’interno della casa di Selene.

L’edificio è un vero e proprio ponte di collegamento tra il pianeta e la vita che la nostra protagonista ha lasciato sulla Terra; proprio per questa ragione, è all’interno di quelle quattro mura che inizieremo a scoprire il passato della donna: dalla passione per le stelle all’incidente automobilistico che ha generato eterocromia delle sue iridi, passando per il rapporto burrascoso con la madre e finendo con alcuni problemi che hanno determinato una sua iniziale esclusione dai progetti spaziali ASTRA. Tuttavia, la dimora sembra nascondere anche dei segreti, celati forse nella cantina, una delle poche stanze a cui non potremo avere accesso, nonché nella figura del misterioso astronauta che, in vari modi, sembra avere un ruolo centrale nelle vicende della protagonista.

Potremo entrare nella casa di Selene sei volte (di cui l’ultima rappresenterà una delle sfide più complesse del gioco) ed in ognuna di esse inizieremo a comprendere quale sia la natura del limbo in cui si trova la donna, di che cosa rappresenti tutto ciò che è possibile trovare su Atropo e, soprattutto, quale sia la vera natura del pianeta.

Basterà varcare la soglia di casa una singola volta per iniziare a ritrovare oggetti del passato della protagonista nei luoghi più disparati; il primo sarà un astronauta giocattolo, a cui poi seguiranno, in ordine sparso, un robot danneggiato, un walkie talkie, un carillon, senza considerare che alcune delle creature che incontreremo sembrano una versione vivente e “mostruosa” di oggetti presenti nella casa di Selene.

È facile immaginare che i tanti loop abbiano potuto incrinare la lucidità della nostra protagonista, ma la domanda da porsi è un’altra: se lei fosse già spezzata prima ancora di sbarcare su Atropo? E, se così fosse, quanto di ciò che vediamo è effettivamente reale?

Scalare la vetta più alta e toccare il fondo dell’abisso

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Le boss fight del gioco sono indimenticabili.

La storia di Selene può essere divisa in due parti, entrambe composte di tre diversi biomi; se, nella prima sezione, iniziavamo ad avere qualche sentore sulle precarie condizioni mentali della donna, è con la seconda metà che queste verranno completamente alla luce, svelando l’evento che ha generato il loop temporale da cui sembra impossibile fuggire.

Il team di sviluppo utilizza due metafore per simboleggiare il viaggio della nostra protagonista: una salita ed una discesa. Nella prima metà di Returnal, il nostro scopo sarà quello di raggiungere la fonte della “Pallida Ombra”, arrivando prima sulla vetta delle Lande Scarlatte per poi raggiungere il punto più alto della Cittadella Fatiscente, da cui Selene riuscirà a lanciare il segnale di soccorso ad ASTRA, tornando così sulla Terra, riabbracciando una vita “normale”, trovando l’amore, invecchiando e spirando tra l’affetto dei suoi cari.

Ma il loop non è stato infranto.

Questa nuova morte, seppur dovuta a cause naturali, ci riporterà ancora una volta su un Atropo completamente diverso da quello che avevamo abbandonato; se, in precedenza, il nostro obiettivo si trovava in alto, questa seconda visita al pianeta sarà contraddistinta da una discesa nelle profondità degli abissi, spiegandoci anche come mai l’acqua rappresentasse un elemento mortale per la nostra donna temeraria.

La discesa rappresenta la presa di coscienza della protagonista, che inizia a ricordare il suo passato, riportando a galla il “peccato originale” che ha generato tutto: l’incidente stradale a cui lei è miracolosamente sopravvissuta, ma che ha portato alla morte di Helios, il suo giovanissimo figlio. Il bambino sarà addirittura protagonista di ben due sequenze all’interno della casa, che sveleranno alcuni dei lati più problematici della personalità di Selene, ossessionata dai suoi fallimenti ed incapace di accettarli.

Il raggiungimento delle profondità oceaniche è la metafora meglio riuscita di Housemarque, che fa capire al giocatore che il nemico, il vero nemico, è situato all’interno di noi e, per raggiungerlo, dovremo fare i conti con un vissuto che la protagonista ha fatto di tutto per dimenticare, creando un complesso sistema di illusioni ed addossando le sue colpe ad una serie di figure più o meno reali.

Il primo passo verso la verità è rappresentato da… una canzone! Una melodia tetra e senza fine che attirerà Selene verso un’intensa boss fight, e che altro non si rivela essere che una versione “spettrale” di “Don’t Fear the Reaper” dei Blue Oyster Cult, il pezzo che Selene stava ascoltando in auto poco prima dell’incidente che l’ha coinvolta.

E sarà proprio quella stessa automobile che troveremo subito dopo aver battuto l’ultimo boss di Returnal, aprendoci così la strada al primo finale di gioco.

La lunga strada verso la verità

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Le sequenze nella casa di Selene saranno quelle più esplicative.

Nonostante Housemarque fosse alla sua prima esperienza con il mondo tripla A, e nonostante il fatto che nessuno dei suoi precedenti videogame facesse della narrativa il suo punto di forza, con Returnal lo studio di Helsinki è riuscito ad abbinare sia un gameplay solidissimo che una trama capace di avvincere lo spettatore.

Uno dei motivi principali alla base del fascino della narrazione è quello di svelarsi poco per volta, generando tante domande ma rispondendo a poche di esse, spingendoci a valutare qualsiasi interpretazione di ciò che ci circonda anche nel momento in cui avremo raggiunto i titoli di coda.

Il trauma di Selene è collocato in profondità e, proprio per questa ragione, è ben nascosto, difficile da raggiungere, ma non per questo invisibile. Gli indizi sulla sanità mentale della donna non mancheranno per tutto il corso della sua avventura, ma non sapremo mai quanto questi possano essere veritieri, o almeno non prima di determinati momenti.

Anche dando per assodata la follia di Selene, è difficile affermare con esattezza fino a che punto questa si spinga. Nonostante il team di sviluppo ci faccia capire a chiare lettere che la protagonista è la sola ed unica causa di tutti i suoi mali, nonostante tutto ciò che la circonda sia intriso di riferimenti alla mitologia greca (altra grande passione dell’eroina), siamo veramente sicuri che Atropo, con tutto ciò che ospita, sia solo una proiezione mentale? O c’è qualcosa di reale?

Sarà proprio questo a spingere il giocatore a continuare le ricerche, nel tentativo di decifrare gli xenoglifi e di ascoltare tutti i diari esplorativi presenti, avendo però ben presente che a Selene non rimane che un’unica scelta: accettare il suo ruolo, i suoi errori, le sue colpe e capire che Atropo è la sua nuova casa, quella da cui niente e nessuno potrà strapparla.

Il tavolo dei grandi

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Come si fa a spezzare il loop?

A circa un anno dalla sua release, possiamo affermare con sicurezza che Returnal è uno dei pochissimi connubi perfettamente riusciti tra gameplay e trama, in cui nessuna delle due componenti diventa preponderante rispetto all’altra. Se è vero il cuore dell’esperienza di gioco targata Housemarque risiede nel suo shooting tanto frenetico quanto ragionato, è altrettanto vero che, per sederti al tavolo dei tripla A, c’è bisogno di qualcosa in più. Lo sviluppatore finlandese è riuscito a mettere in piedi una trama interessante, narrata in maniera tanto spezzettata quanto affascinante, una lore convincente e, last but not least, una protagonista intrigante, profonda e con “qualcosa da dire”.

Returnal ha dimostrato che è possibile sviluppare un tripla A con lo spirito di un indie, come forse solo Death Stranding era riuscito a fare prima, dichiarando con fermezza che il budget deve essere schiavo e mai maestro, sempre al servizio di quel guizzo creativo di cui siamo sempre alla ricerca.

L’avventura di Selene ha segnato l’ingresso di Housemarque nell’ambiziosa scuderia dei Playstation Studios, facendo comprendere l’approccio Sony alle sue acquisizioni, incentrate quasi sempre su piccoli team con grandi idee che, un gioco dopo l’altro, crescono e diventano adulti.

Returnal è l’esame di maturità di uno sviluppatore rampante, che supera brillantemente anche la prova su cui tutti lo ritenevano meno preparato: quel tema di italiano che, senza il supporto di una penna affilata e creativa, è destinato ad essere mero esercizio di tecnica o, peggio ancora, un triste foglio bianco.