Ho un rapporto davvero particolare con i videogiochi, ne ho giocati tanti nel corso della mia vita, ma la maggior parte di essi mi mancano.
Negli ultimi anni sto cercando di recuperare alcuni capitoli delle saghe videoludiche più celebri che mi sono perso in passato, ma ammetto di avere tantissime lacune dato che dal 2011 al 2018 ho affrontato un enorme periodo di pausa dal mondo del gaming.
C’è da dire anche che molti titoli non li ho giocati perché non appartenevano ai miei generi preferiti: sin da piccolo ho sempre apprezzato i platform e tra fine anni 90 e inizi del 2000 le mie console erano piene di giochi appartenenti a questo genere, spesso ignorando l’esistenza di altre categorie di videogiochi.
Il mio rapporto complicato con i picchiaduro
Tra i generi a cui ero meno avvezzo in età pre-adolescenziale c’era sicuramente il picchiaduro.
Non sono mai stato un grande appassionato di questo genere e le mie uniche esperienze in questo campo si limitavano a videogiochi tratti da opere trasversali di cui ero appassionato.
Sto parlando ovviamente degli innumerevoli titoli dedicati alla serie di Dragon Ball (indimenticabili le sfide con cugini e amici sui vari Budokai Tenkaichi), delle spettacolari lotte con WWE Smackdown! VS Raw, a cui ero molto legato anche grazie agli incontri che davano in TV e infine trascorrevo le mie ore su un videogioco forse meno conosciuto degli altri citati in precedenza, ma che mi teneva incollato allo schermo: I Cavalieri dello zodiaco – Il Santuario, videogioco pubblicato nel 2005 su PlayStation 2 e ispirato alla corsa delle Dodici Case del celebre manga di Kurumada.
Avrete sicuramente notato la mancanza di nomi illustri del panorama videoludico dei picchiaduro, ovvero i vari Street Fighter, Tekken e Mortal Kombat.
Ebbene, come detto durante l’introduzione di questa mia storia, nel corso della mia “infanzia videoludica” sono sempre stato alla larga da questi titoli dato che non hanno mai attirato la mia attenzione e anche crescendo non ho avuto mai l’occasione di avvicinarmi a queste saghe preferendo sempre altri generi.
In realtà, se proprio vogliamo dirla tutta, l’occasione c’è stata: era il 2006 e misi per la prima volta le mani su una PSP, console portatile di Sony che mi ha dato la possibilità di recuperare alcuni titoli di saghe videoludiche celebri, uno di questi era proprio Mortal Kombat: Unchained.
Mortal Kombat: Unchained era la versione “portatile” del capitolo Deception, pubblicato nel 2004 su PlayStation 2, Xbox e GameCube.
Non è sicuramente il capitolo più celebre della ormai trentennale saga di Mortal Kombat, ma sicuramente uno dei titoli più atipici anche grazie alla presenza della modalità “Konquista” nella quale si controlla il giovane Shujinko in una mappa aperta, quasi come se fosse un gioco di ruolo più che un picchiaduro puro, anche se ovviamente le tipiche battaglie sanguinose rimangono il fulcro del gioco.
Mortal Kombat: quasi 30 anni di violenza e brutalità
Proprio le dinamiche degli incontri hanno reso celebre la serie di Mortal Kombat: i lottatori non si limitano solamente a vincere gli incontri mettendo KO l’avversario con combo di mosse, ma si colpiscono a vicenda con azioni brutali e violente dando vita a macabre scene degne dei migliori film horror e splatter.
Se in Tekken e Street Fighter l’obiettivo era esaurire la barra d’energia degli avversari tramite serie di colpi leciti, seppur sfidando le leggi della fisica in alcuni frangenti, in Mortal Kombat tutti gli attacchi vengono effettuati per ferire gravemente gli avversari con copiose fuoriuscite di sangue e la spettacolarità della saga sta proprio nello scoprire ogni volta che tipo di mossa brutale utilizzerà il personaggio scelto e in che modo finirà l’avversario.
Ah quasi dimenticavo, il marchio di fabbrica della serie di MK sono le “Fatality“, ovvero mosse finali ancor più violente e sanguinose di quelle effettuabili durante la lotta con le quali i personaggi mettono fine all’incontro, molto spesso uccidendo l’avversario.
Il grande successo di Street Fighter II, pubblicato nel 1991, aveva condotto l’ormai fallita azienda Midway Games a creare un nuovo videogioco beat’em up il quale ebbe la possibilità di emergere dal calderone infinito di cloni di Street Fighter proprio grazie alla grafica e al gameplay innovativo: nasce così Mortal Kombat, pubblicato l’8 ottobre del 1992 sui principali cabinati arcade per poi approdare anche su Sega Master System, SNES, Mega CD, Game Boy e altre piattaforme.
Quali furono gli elementi che hanno portato al successo Mortal Kombat?
Come detto, i due fattori principali del grande successo del primo Mortal Kombat e di conseguenza di tutta la saga furono due: la grafica innovativa ed espedienti di gameplay mai visti prima.
Sebbene la struttura su cui si basa il titolo prende spunto da quella di Street Fighter, picchiaduro già molto conosciuto all’epoca, sono presenti alcune differenze sostanziali: per esempio la presenza degli “endurance match” nei quelli il giocatore deve sfidare più avversari in maniera consecutiva senza la possibilità di recuperare energia; ma la novità più importante di questa nuova saga, come già accennato in precedenza, è proprio la violenza e la brutalità con le quali vengono sferrati tutti gli attacchi.
In Mortal Kombat il giocatore assiste a scene di violenza al limite del realismo nelle quali i lottatori vengono feriti brutalmente con grandi spargimenti di sangue.
Questa caratteristica è stata la chiave della fama di Mortal Kombat anche per i capitoli successivi: i videogiocatori restavano incollati allo schermo per scoprire che tipo di mosse aveva in serbo questo o l’altro personaggio e in che modo avrebbe finito l’avversario con la sua peculiare Fatality, divenuta ormai marchio di fabbrica della saga. Anche chi non ha mai giocato a MK conosce il glaciale Sub-Zero, il ninja Scorpion, la star di Hollywood Johnny Cage, il dio del tuono Raiden o il mostruoso Goro, divenuti ormai personaggi simbolici del panorama videoludico.
Ritorno al futuro: vacanze e console portatili
Facciamo un salto di 14 anni e dal 1992 arriviamo fino al 2006: l’Italia vince il suo quarto Campionato Mondiale di Calcio, esce nelle sale cinematografica il film “La ricerca della felicità” interpretato da Will Smith e io ricevo una PSP come regalo per la mia prima comunione. La nuova console di casa Sony aveva l’arduo compito di sfidare Nintendo, padrona incontrastata fino a quel momento del videogioco portatile, ottenendo un discreto successo rientrando quasi nella top 10 delle console più vendute di sempre.
I primi tre giochi che ebbi l’occasione di provare sulla console furono FIFA World Cup 2006, Crash Tag Team Racing e MediEvil Resurrection; ma con la possibilità di poter giocare ovunque mi trovassi ben presto mi ritrovai a provare tantissimi titoli: Assassin’s Creed Bloodlines, God of War Chains of Olympus, Wipeout, Ratchet and Clank: l’altezza non conta, Virtua Tennis e appunto Mortal Kombat: Unchained.
Era la mia prima esperienza con Mortal Kombat dato che in passato non avevo mai avuto la possibilità di giocare a nessun titolo della serie ed è alquanto bizzarro pensare che il mio primo approccio con la saga è stato sul titolo forse che più si distaccava dai canoni principali.
Il capitolo Unchained, come accennato anche all’inizio di questa storia, infatti, conteneva degli elementi piuttosto atipici: il giocatore, al di fuori delle classiche lotte, aveva la possibilità di viaggiare per i reami controllando un giovane apprendista di nome Shujinko raccogliendo oggetti collezionabili e informazioni interagendo con i vari personaggi della serie all’interno di una mappa aperta, quasi come se fosse un gioco di ruolo.
Col passare degli anni, anche grazie al mio ingresso nel mondo editoriale a tema videoludico, ho studiato la serie di Mortal Kombat nel suo complesso e ho capito che Unchained era solo il sesto di una lunga serie di capitoli nata nell’ottobre del 1992 e arrivati sino ai giorni nostri, dopo 30 anni, con l’ultimo capitolo uscito in ordine cronologico ovvero Mortal Kombat 11, sviluppato NetherRealm Studios e pubblicato nel 2019 su PlayStation 4, Xbox One, PC, Google Stadia e Nintendo Switch. Ancora una volta dopo 30 anni, ancora una volta si chiude con una FATALITY!