Mi risulta abbastanza difficile cominciare a scrivere questa recensione per un motivo molto specifico: cosa posso dire riguardo la retromania che non sia stato già detto altro?
Quale panegirico posso mettere in piedi sul fatto che i pixel sono tornati in auge che non sia stato già utilizzato e sviscerato con attenzione durante il corso degli ultimi anni?
I pixel sono tornati tra noi forti e decisi da parecchio tempo e anzi, non ci hanno mai realmente abbandonato.
Narita Boy pertanto è un videogioco che cavalca quella che è un’onda lunga, vecchia di quarant’anni e già particolarmente trafficata. Il prodotto dello spagnolo Studio Koba però lo fa con un certo gusto e con la classe di chi i maestri li ha studiati bene, con delle suggestioni che non si trovano in tutti i prodotti dalla bella pixel art e con lo stile di uno che un po’ di magia dei videogiochi l’ha respirata davvero.
Narita Boy è un prodotto che nasce principalmente dalla mente di Eduardo Fornieles, game designer e pixel artist spagnolo noto per aver lavorato con Friend & Foe su Vane. Narita Boy è un po’ il diario personale di Eduardo che all’interno del titolo ha condensato le suggestioni e le esperienza avute durante tutta una vita. C’è il Giappone in cui Eduardo è vissuto per tre anni, c’è la sua infanzia spagnola passata davanti al computer a sperimentare videogiochi, c’è l’estetica anni ottanta su cui glisseremo bellamente per invece sottolineare la bontà della costruzione del mondo.
Ora, un passo alla volta, immergiamoci nella vasca pixellosa.
Il retrofuturismo fatto bene di Narita Boy
Ok, ci stiamo impegnando per evitare di parlare dell’estetica anni ottanta ma non sappiamo per quanto si possa davvero resistere. Narita Boy è un protervo di luci al neon e richiami culturali a tutto un immaginario che viaggia sottopelle al videogiocatore da ben più di un lustro.
Il retrofuturismo però non viene declinato unicamente entro il versante del realistico ma viene anche spostato e traslato su piani di coscienza superiori, con derive spirituali che disegnano un multiverso fatto di pixel e raggi tricromatici, in grado d’incasellare con sapiente gusto tutto un immaginario possibile che però nei videogiochi non s’era fatto vedere molto prima di Narita boy.
La pixel art ad alta risoluzione è incredibile ed è sottomessa ad una direzione artistica da applausi. Se dovessimo isolare i venti videogiochi più artisticamente incredibili degli ultimi dieci anni non esiteremmo un secondo ad infilarci anche Narita boy per capirci.
Le oltre trecento schermate che compongono il gioco sono una più bella dell’altra, con scorci in grado di aprire tanto gli occhi quanto il cuore grazie ad un sapiente uso dei colori e grazie a forme che provengono da una fantasia fervida.
L’immaginario di Narita Boy infatti gioca in maniera efficace in quella buffa zona grigia che esiste tra l’high fantasy di Tolkeniana memoria e l’estetica retrofuturistica, traslando stranger things in valli dove le pietre diventano cumuli di hard disk ed i tramonti diventano imponenti color cycles che si stampano poi nella memoria a lungo termine.
Se noi memorizziamo schermate e sensazioni nella corteccia cerebrale, il protagonista di Narita Boy lo fa in nastri magnetici ingombranti e costosi.
Sottolineamo, quasi andando off topic, quanto sia bella la direzione artistica e la scelta di portare il mondo di gioco non su un piano puramente citazionistico ma bensì su una dimensione più spirituale. I luoghi che attraverseremo nei panni del protagonista hanno una loro cosmogonia ed un loro respiro, quest’ultimo però è ampio come un testo sacro e gli stessi personaggi non giocanti che abitano il mondo di gioco potrebbero tranquillamente raggrupparsi in un nugolo di profeti destinati a cantare le storie del tecnomondo.
Tra tecnospade (che vedremo nel dettaglio fra poco), raggi tricromi e floppy disk da usare come tavola da surf l’alchimia di Narita Boy è potente e terribilmente evocativa. Ci ha ricordato, per certi versi, l’intelligenza con cui l’immaginario cristiano è stato declinato per la creazione di un metroidvania soulslike all’interno del sempre spagnoleggiante Blasphemous.
Narita Boy può vantare anche di una narrativa tutto sommato interessante, che ricalca le suggestioni di Ready Player One per poi spremersi in un coarcerbo illimitato di citazioni e rimandi. Il titolo raccolta le vicende di un bambino mezzo giapponese destinato a seguire le irraggiungibili orme del padre Lionel Pearl. Quest’ultimo, infatti, non è altro che il creatore di Narita One, una console per videogiochi leggendaria che ha generato intorno alla figura del suo creatore un vero e proprio culto (come vedete i paralleli con Ready Player One non sono invisibili). Durante l’evoluzione del gioco il comparto narrativo viene presentato in maniera abbastanza intelligente, con flashback interattivi e sezioni più o meno giocabili.
L’avventura del nostro personaggio è accompagnata da un comparto sonoro di grande qualità, realizzato da Salvinsky (lol) aka Salvador Fornieles Rodero. Chiaramente non ci si muove molto lontano dagli stilemi del genere, richiamando con forza tutto l’immaginario e la potenza comunicativa di synthwave, retrowave, certa chip music pure troppo nostalgica e generi musicali affini.
Melodicamente ci troviamo davanti ad un sacco di lavori di grande qualità, che potrebbero benissimo accompagnare sessioni di lavoro in smart working da qui al futuro prossimo.
Noi abbiamo provato il gioco su Nintendo Switch, prevalentemente in versione portatile e non abbiamo notato ne cali di frame ne altro. Il piccolo schermo della Switch magari non è il massimo per scattare screenshot buoni per il nostro prossimo wallpaper ma diciamo che giocare a Narita Boy seduti sul trono di ceramica è una gioia.
Tecnospade e salti artigianali
Se siete arrivati fino a qui con la lettura (grazie ragazzi) avrete più o meno capito che Narita Boy è un videogioco molto interessante da un punto di vista tecnico/artistico, mescolando sapientemente un sacco di elementi diversi per un risultato finale più che convincente.
Ok, ok, ma come si gioca?
Ecco, questa è una domanda dal sapore ben diverso.
Dal punto di vista critico Narita Boy si configura come un action game piuttosto avventuroso, in cui attraverso l’esplorazione del mondo di gioco si trovano gli oggetti e gli indizi necessari per comprendere cosa fare e soprattutto dove andare.
Il giocatore, dopo aver ottenuto la tecno spada, avrà finalmente modo di difendersi dagli stallions a suon di fendenti. Il sistema di combattimento del titolo non è particolarmente raffinato e offre qualche combo di colpi mischiabile a schivate, attacchi caricati o attacchi a distanza. L’asticella della difficoltà è tara su di un ottimo equilibrio che rende il videogioco abbastanza divertente nella stragrande maggioranza dei suoi momenti, senza però mai eccellere. Certamente poteva esserci un po’ più di cura nella strutturazione del sistema di combattimento, con colpi dal feeling più convincente o da una gestione migliore delle hitbox ma niente che faccia stracciare le vesti gridando allo scandalo.
A mostrare un po’ il fianco è il sistema di platforming e l’esplorazione del mondo.
In Narita Boy, a causa dell’assenza di una mappa e a causa della struttura del gioco, è molto spesso necessario eseguire backtracking in zone che non offrono più nulla d’interessante al giocatore. A questo va aggiunta una gestione dei salti un po’ scivolosa che regalerà qualche passaggio un po’ ostico ai giocatori meno abili.
La pagella finale parla chiaro: all’interno di un comparto tecnico artistico di primissimo ordine, con dei vertici assoluti quasi toccati per i nostri felici occhietti troviamo un sistema di gioco un po’ claudicante, che soffre di qualche inesperienza dal punto di vista del design.
Narita Boy è una gioia per gli occhi e una quasi gioia per i polpastrelli. Il titolo di Studio Koba è divertente, visivamente incredibile e artisticamente enorme. A danneggiare questa combinazione di elementi ci sono delle imprecisioni che non rendono il gameplay perfetto ma che difficilmente faranno cambiare idea a chi sta cercando un action bidimensionale un po’ metroidvanioso.
PRO
- Tecnicamente impressionante
- Sonoro di grande qualità
- Worldbuilding gustoso
CONTRO
- Gameplay un po' impreciso e zoppicante
- Platforming scivoloso
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