In passato, giochi e console erano molto più semplici rispetto a oggi. Basti pensare ai vari Super Mario e al loro modus operandi: il giocatore accende la console e si ritrova lì, nel mezzo dello stage, con il suo personaggio, senza l’ombra di una spiegazione. Tocca a lui scoprire quale pulsante è responsabile di quale azione, chi sono i nemici, come si fanno fuori, e così via. Ed è proprio su questo schema vintage che si basa il gameplay di Gleamlight, uscito su Nintendo Switch lo scorso 20 agosto.
Parola d’ordine: semplicità
Avventura platform in 2D sviluppata da Dico Co. e prodotta da D3 Publisher, Gleamlight è ambientato in un mondo dove tutto, dai personaggi all’architettura, è fatto di vetro. Il giocatore impersona un misterioso piccolo cavaliere rosso di nome Gleam che, armato solo di una spada, deve farsi largo tra i nemici che ostacolano il suo cammino. Si tratta di un gameplay molto semplice, che strizza l’occhio alle glorie del passato: non ci sono tutorial, non c’è un menu di gioco, non viene nemmeno notificato al giocatore quando il personaggio – circa al termine di ogni boss fight – ottiene un nuovo potere.
Dal doppio salto all’attacco caricato, il nostro alter ego rosso diventa più potente (ma non troppo) man mano che Gleamlight avanza, a un costo: ciascuna delle azioni speciali richiede della “vita” da parte del protagonista. Saltare avrà quindi lo stesso effetto dei colpi dei nemici e, a lungo andare, potrebbe portare al prematuro sgretolamento del personaggio: come se non bastasse, l’unico modo per comprendere quanti HP abbiamo è osservare l’intensità della luce emessa dal protagonista. Gleamlight è infatti privo di qualsivoglia UI: non ci sono indicatori di nessun genere, dunque ciascuna azione deve essere soppesata con attenzione per evitare brutte sorprese.
Proprio come il gameplay, la storia è semplificata all’osso: senza dialoghi né significativi cambiamenti di scenario, tutto ciò che si può comprendere della trama di Gleamlight va intuito, dato che nulla viene mai esplicitato. Va da sé che, a queste condizioni, la storia non può che essere assolutamente secondaria nell’esperienza di gioco, che viene quasi totalmente sorretta dal gameplay.
L’altro lato della medaglia
Proprio questo è il problema principale di Gleamlight: fa troppo affidamento su un gameplay che non è in grado né di soddisfare le aspettative, né di reggere l’intero gioco sulle proprie spalle. La trama è sì appena accennata e la mancanza di dialoghi non aiuta in questo senso, ma un cambiamento di scenario o di nemici avrebbe senza dubbio fatto la differenza – vedi Super Mario Land: chi non ha mai compreso quale fosse il suo scopo, pur con letteralmente solo una frase in tutto il gioco?
Al contrario, Gleamlight prosegue come senza inizio e senza fine: i nemici sono sempre gli stessi, con poche aggiunte e ancora meno cambiamenti nella strategia necessaria per disfarsene. Allo stesso modo i livelli sono tutti strutturati nello stesso modo, con la stessa architettura e con enigmi sempre simili. Nonostante non si tratti di un gioco particolarmente longevo, bastano poche ore per rendersi conto della sua eccessiva ripetitività che, unita all’apparente mancanza di un vero e proprio scopo, rischia di compromettere una serena ed appassionata fruizione del gioco.
Gleamlight è una vera e propria delizia per gli occhi e per le orecchie. La grafica meravigliosa, che ricorda le vetrate illustrate di chiese e palazzi, si fonde con una colonna sonora semplice e rilassante per restituire un’impressione visiva e uditiva davvero appagante. Ciò non basta però a salvare l’esperienza: l’eccessiva ripetitività di gameplay e scenari, unita alla mancanza di una vera e propria trama, rendono Gleamlight ben poco appassionante.