Quando ero piccino pensavo, tra me e me, che il lavoro dei sogni fosse fare il beta tester per una qualche software house produttrice di videogiochi.
Avere la possibilità di giocare, prima di tutti gli altri e per quanto tempo si volesse un videogioco doveva apparire agli occhi del povero innocente bimbo che ero come la migliore delle condanne.
Fortunatamente, più di venti anni dopo, a farmi ricordare in mente tale scellerato sogno infantile è arrivato lo youtuber Super Bunnyhop con un video a tema beta testers, analizzandone e descrivendone i problemi con testimonianze di numerosissimi lavoratori appartenenti al mondo americano.
Fare il beta tester è più difficile di quel che si creda.
Nel corso di un video da sedici minuti e mezzi, lo youtuber americano prende e analizza da vicino alcuni dei problemi più comuni che un beta tester deve andare ad affrontare dal punto di vista lavorativo: salari bassi, classismo all’interno delle aziende, orari massacranti e moltissimi altri concetti che chiunque sia avvezzo con il sempre più violento mondo dei videogiochi ha tristemente imparato a conoscere.
La figura del beta tester è sempre di maggiore importanza all’interno dell’industria vista la crescente complessità del medium: più meccaniche e più contenuti vengono inseriti all’interno di un videogioco, maggiore è la quantità di parametri da controllare, di livelli da esplorare, di opzioni da controllare; nonostante tutto questo spesso e volentieri i giochi arrivano sugli scaffali pieni di problemi.
Eppure il beta tester, almeno secondo quanto evidenziato dallo youtuber americano, tutto riesce a fare nel corso della sua carriera meno che riposarsi. Nei peggiori dei casi il Beta Tester ha uno degli stipendi più bassi all’interno dell’industria pur condividendo la mole di lavoro con quella degli sviluppatori; la figura del beta tester spesso e volentieri si ritrova a dover affrontare il cosìdetto crunch time che abbiamo imparato a conoscere all’interno di testi e articoli che dimostrano la crudeltà di un industria abituata sempre più a uscite annuali se non stagionali.
Forse questo è stato davvero il colpo di grazia definitivo per il piccolo bambino che, silente, ancora abita qualche angolo del mio cervello.