Articolo a cura di Gianluca “DottorKillex” Arena
La deriva cui è andato incontro il mercato videoludico negli ultimi dieci anni sembrava aver cassato completamente la fascia intermedia di publisher e sviluppatori, lasciando un enorme vuoto tra i cosiddetti tripla A, che possono contare su budget faraonici, e i titoli indie, sviluppati spesso da una sola persona o da team comunque molto ristretti.
I francesi di Spider e il publisher Focus Home Interactive, loro connazionale, sembrano appartenere a questa categoria quasi estinta, privi degli enormi budget dei colossi dell’industria ma comunque con un’ambizione e un respiro sconosciuti alle produzioni indipendenti più sperimentali.
The Technomancer è la loro ultima fatica: andiamo a scoprirlo, nella nostra recensione della versione PS4.
La guerra dell’acqua
Gli eventi narrati dal gioco sono ambientati circa duecento anni dopo la colonizzazione umana di Marte, pianeta sul quale, però, le risorse idriche sono risicatissime: si combatte all’ultimo sangue per ogni goccia d’acqua, anche perché diverse corporazioni si sono arrogate il diritto di gestire le poche risorse naturali e si combattono senza esclusione di colpi.
Il giocatore vestirà i panni di Zachariah Mancer, un apprendista tecnomante, di stanza ad Ophir, la capitale di Abundance, una delle suddette megacorporazioni: i tecnomanti sono umani mutati, capaci di canalizzare la loro energia corporea e psichica in elettricità pura, scagliando dalle mani saette ad alto voltaggio o elettrificando le armi che portano in pugno.
Temuti e rispettati allo stesso tempo, questi sono costretti a fare il lavoro sporco di Abundance, che ne impiega le straordinarie capacità per sgominare bande di ladri, interrompere commerci di contrabbando e mantenere lo status quo, a discapito della popolazione, che vive ammassata in baracche fatiscenti alla periferia della metropoli.
In questa società distopica i ruoli sono predefiniti, e difficilmente si può uscire dal sentiero tracciato: le persone conservano solamente il loro nome di battesimo, e per cognome hanno un generico identificativo che serve per riconoscere subito a che casta sono associati: i Mancer sono tutti tecnomanti, i Watcher delle spie del regime, i Seeker dei ricercatori scientifici e così via.
Un regime totalitario e brutale, le cui azioni divergono profondamente dalle sue convinzioni personali, condurrà Zachariah ad interrogarsi più volte sul suo ruolo e a dubitare fortemente del suo operato, e la storia ad evolversi di conseguenza: dopo un inizio un po’ lento, complice anche la scarsa varietà di missioni ed ambientazioni, il prodotto Focus Home Interactive prende quota, proponendo personaggi credibili, sulla cui condotta il giocatore potrà influire con dialoghi e decisioni, ed un setting affascinante, sebbene non del tutto originale.
L’immersione nel mondo di gioco è aiutata anche dalla puntuale localizzazione in italiano dei sottotitoli, a fronte di un doppiaggio inglese che, invece, lascia spesso a desiderare (soprattutto nella scelta della voce del nostro alter ego): non sarà l’unico indizio di un budget abbastanza risicato.
Combattimento per tutti i gusti
Oltre ad un sistema di dialoghi di discreta profondità, basato sul carisma del personaggio principale e sui rapporti che è possibile intessere con i vari NPC, il cuore della produzione è rappresentato dal combat system, su cui i ragazzi di Spiders hanno fatto un buon lavoro.
Il giocatore può scegliere, in ogni momento, tra tre diversi stili, con la semplice pressione del tasto corrispondente, così da affrontare ogni scontro in maniera diversa, a seconda della composizione del gruppo nemico e del suo comportamento.
Impugnando una staffa, la soluzione che abbiamo preferito durante le ore di test, si sacrifica la difesa, in favore di danni ad area e di una certa velocità d’esecuzione, laddove, invece, il dual wielding, con una pistola da una parte e un’arma ad una mano dall’altra, consente di tenere le distanze, fiaccando i nemici per poi finirli quando si avvicinano; scudo e spada (o mazza), infine, garantiscono grande protezione, con la possibilità di parare gli attacchi in arrivo e di assorbire parte dei danni dalla distanza, ma, optando per questo outfit, si perde parecchio in termini di velocità e mobilità.
L’immediatezza con cui è possibile passare da uno stile all’altro garantisce brio ai combattimenti, che pure, di loro, risultano un po’ legnosi, con animazioni non sempre azzeccate e una serie di movimenti innaturali, tanto da parte dei nemici quanto da parte dei propri compagni di squadra.
Quello che perde in fluidità, però, il sistema di combattimento di The Technomancer lo guadagna (e con gli interessi) nella varietà di approcci richiesti e nel livello medio di difficoltà, sorprendentemente sostenuto, soprattutto durante la prima decina di ore di gioco: il button mashing raramente paga, se non con nemici dotati di scarsa intelligenza artificiale, come bestie o insetti troppo cresciuti, e, soprattutto gli avversari umani, non si fanno scrupoli ad arretrare, schivare e attaccare in gruppo, mentre uno di loro bersaglia il giocatore a distanza a colpi di arma da fuoco.
Schivando all’ultimo secondo, poi, si attiva una breve finestra in cui il tempo rallenta, consentendo al giocatore di infliggere un paio di colpi al nemico inerme prima che tutto torni alla normalità: non vi aspettate una versione francese di Dark Souls, beninteso, ma gli scontri funzionano bene e restituiscono un soddisfacente senso di fisicità.
La ciliegina sulla torta è rappresentata dai poteri dei tecnomanti, che godono di un albero delle abilità dedicato e che differenziano il gioco da tanti altri congeneri: lampi dalle mani, armi elettrificate, pugni elettrici e tempeste magnetiche sono solo alcune delle devastanti abilità a disposizione del giocatore, che non mancherà di incontrare, nella seconda parte dell’avventura, nemici equipaggiati in modo da resistere all’elettricità.
Peccato, allora, che le fasi esplorative non tengano il passo, proponendosi ridondanti e macchinose, anche perché, nonostante la situazione migliori dopo un certo punto del gioco, The Technomancer non ha mai il respiro ampio cui certe produzioni ruolistiche recenti ci hanno abituato, costringendo il giocatore in aree di limitate dimensioni e non lasciandolo mai davvero libero all’interno del mondo di gioco.
Come anticipato sopra, probabilmente un open world puro avrebbe rappresentato il classico passo più lungo della gamba per il team di sviluppo, che ha saggiamente optato per una serie di location collegate tra loro tramite un sistema di fast travel.
A dirla tutta, ci sarebbe anche un basilare sistema di crafting, ma risulta poco approfondito e il suo peso, all’interno dell’economia di gioco, è trascurabile.
Solidità prima di tutto
Il motore grafico proprietario che muove The Technomancer, una versione rivista e corretta del Phyre Engine di Sony, non si è mai segnalato per la spettacolarità degli scorci o per la pulizia dell’immagine, quanto , piuttosto, per la solidità delle performance e la relativa rarità di bug fisici: questi, infatti, sono i pregi migliori del prodotto sviluppato da Spiders, che in poco meno di trenta ore non si è mai segnalato per deficienze nel codice o bug che impedissero l’avanzamento nella quest principale o in una di quelle secondarie.
Per quanto questo sia già un obiettivo raggiunto non di poco conto, va anche detto che solo in rari casi il framerate ha mostrato qualche incertezza, perlopiù in occasione di scene molto affollate in cui non abbiamo lesinato l’utilizzo dei poteri da tecnomante: la sensazione generale, quindi, è quella di un prodotto che ha un po’ sacrificato il lato estetico (sebbene la direzione artistica non sia malvagia) a vantaggio delle prestazioni, che in effetti si dimostrano buone nella versione PS4 da noi testata.
Le ambientazioni, comunque, nonostante manchino un po’ di freschezza (di giochi ambientati sul Pienatra Rosso ne abbiamo visti parecchi, non ultimo Mars War Logs degli stessi autori), si dimostrano mediamente ispirate, così come il design di alcuni mostri e quello degli equipaggiamenti dedicati ai tecnomanti, assai stilosi e futuristici.
Bene anche la durata complessiva, con un titolo che dura il giusto senza allungare il brodo con missioni “riempitivo”: siamo sulle venticinque ore per la sola quest principale, cui se ne possono aggiungere facilmente altre sette o otto in caso ci si voglia imbarcare nelle numerose storie di contorno, alcune delle quali meritano di essere raccontate.
Commento finale
Probabilmente non sarà ricordato dai posteri come uno dei migliori giochi di ruolo di stampo occidentale tra quelli disponibili su Playstation 4, né come il punto di riferimento futuro per gli RPG ad ambientazione fantascientifica, eppure The Technomancer è il miglior lavoro dei ragazzi di Spiders finora, grazie ad un combat system soddisfacente, una grande quantità di missioni secondarie, alcuni personaggi di supporto degni di nota ed un engine solido, anche se senza troppi lustrini.
Se amate il genere, o, ancor di più, avete apprezzato almeno uno dei prodotti precedenti del team francese, l’avventura di Zacharias Mancer potrebbe riservarvi più di una sorpresa: ci attendiamo, adesso, un ulteriore evoluzione qualitativa a partire dal prossimo progetto degli sviluppatori parigini.