Recensione di Gianluca “DottorKillex”Arena
Se già dar vita a qualcosa di realmente innovativo in ambito videoludico è impresa ardua, lo è ancora di più in certi campi, dove gli standard apprezzati dal pubblico sono codificati e facilmente identificabili, e deviare dalla strada battuta rappresenta un rischio che nessuna software house sembra voler correre.
Gli sparatutto in prima persona sono un esempio lampante di questa tendenza, ma, fortunatamente, la scena indie può permettersi di rischiare e di proporre idee fresche, proprio come quelle che sorreggono Superhot, titolo peculiare che, dopo l’ottima accoglienza ricevuta su PC lo scorso inverno, giunge adesso su Xbox One.
Che male vuoi che faccia un .exe?
Se un caro amico vi passasse un file eseguibile dicendovi che, al suo interno, è contenuto uno sparatutto in prima persona davvero rivoluzionario, voi che fareste?
Probabilmente, se state leggendo questa recensione, avete un interesse che varia dal discreto al folle per i videogiochi, e quindi, esattamente come noi, lo avviereste senza esitare, tuffandovi nel gioco.
Questo, è l’incipit narrativo di Superhot, che si serve di una schermata DOS dei tempi che furono per immergere ancora di più il giocatore in una realtà alternativa, che coniuga tecnologia vintage e suggestioni futuristiche, un gusto per un modo di videogiocare passato e uno sguardo sull’intrattenimento digitale che potrebbe essere in futuro.
Se, sulle prime, l’esile intreccio narrativo che sottende all’azione a schermo potrebbe sembrare pretestuoso e accessorio, di stage in stage, complici le continue interruzioni e i ritorni alla schermata iniziale, con tanto di chat in stile primitiva, esso prende sempre più piede, fino ad esplodere definitivamente a ridosso delle ultime missioni.
Com’è nostra consuetudine, non sveleremo nulla della trama, anche perché essa gioca molto con il non detto e con un paio di colpi di scena difficili da prevedere, ma sappiate che, pur secondaria rispetto alla fulgida idea che muove le meccaniche di gioco, la storia non è né banale né posticcia, e pone diversi interrogativi quanto mai attuali ed interessanti, sfondando con nonchalance la quarta parete e gettando le basi per uno o più seguiti, che, a conti fatti, speriamo di vedere quanto prima.
Pochi titoli indipendenti, soprattutto se sviluppati da team così piccoli, sono stati dotati di una narrativa tanto vaga quanto efficace: ci piacerebbe che Superhot fosse solo il primo di una lunga serie, perché una storia ben raccontata aggiunge sempre molto all’esperienza ludica.
FPS a turni
Il concept alla base del titolo è tanto semplice quanto geniale: in Superhot il tempo avanza normalmente solamente quando il giocatore si muove.
Rimanendo fermi, e ruotando solo la visuale con lo stick destro, tutto a schermo avanza per millisecondi, come un’immagine digitale mandata avanti frame per frame, così da dare il tempo al giocatore si decidere come agire e passare all’azione solo dopo aver pianificato attentamente ogni mossa.
Una situazione tipo già dei primi livelli potrebbe consistere in uno stage ambientato in un bar, con il barista che sta per prendere un’arma da fuoco da sotto il bancone per polverizzarci la faccia, mentre due altri brutti ceffi entrano nella stanza, uno da destra e uno da sinistra: la soluzione, allora, è afferrare un bicchiere sul bancone e lanciarlo in faccia al barista, che lascerà così cadere la sua pistola, prenderla a volo e voltarsi da uno dei due lati per freddare i suoi compari, nell’ordine preferito.
Si potrebbero fare decine di esempi simili, uno per ognuno degli stage del gioco, tanto brevi quanto latori di soddisfazione per il giocatore: Superhot unisce una peculiare struttura a turni con l’adrenalina e la spettacolarità tipiche degli sparatutto in prima persona, componendo arzigogolati puzzle ogni volta che mette un’arma (spesso impropria) nelle mani del giocatore.
Ci sono stage che richiedono una precisa sequenza di movimenti ed azioni per essere portati a termine, ma la maggioranza di quelli che compongono la campagna principale si rivelano pagine bianche in cui il giocatore potrà scrivere la propria storia, che preferisca finire i nemici a colpi di katana, danzando tra i proiettili come un novello Neo di Matrix, o che opti per un fucile d’assalto, le cui sventagliate di proiettili spargono morte a largo raggio.
Il livello di difficoltà non è né troppo morbido né eccessivamente punitivo, e si impenna davvero solamente durante lo scontro finale e alcuni dei livelli più ingegnosi entro i quali portare a termine le Sfide, eppure Superhot eccelle nel far sentire il giocatore un vero maestro assassino, un eroe trash uscito da un film di John Woo.
Il senso di onnipotenza trasmesso dallo gestire una situazione in cui quattro o più nemici ci stanno sparando addosso contemporaneamente, dilatando il tempo e saltando sopra ad una tempesta di proiettili è unico, e sopravanza senza troppe difficoltà quello offerto da tanti sparatutto classici.
Sì, proprio quelliche hanno invaso il mercato nel corso delle ultime due generazioni di console.
La possibilità di ripartire istantaneamente dopo che uno dei numerosi nemici ci ha colpito (a proposito, one shot, one kill) non fa altro che aggiungere al senso di urgenza e di adrenalina che pervade ogni stage, ulteriormente ampliato dalla voce, a metà tra il glam pop e il sintetico, che ripete ossessivamente “Superhot” alla fine del massacro digitale.
Rosso, nero e bianco
Il minimalismo tecnico ed artistico della produzione polacca non incide sulla resa visiva generale, che rimane gradevolissima, pur rispondendo a canoni non esattamente comuni nel panorama videoludico moderno.
Innanzitutto i colori: Superhot designa con tre colori i diversi elementi a schermo.
Rosso per i nemici, automi stilizzati che sembrano usciti da un deposito di manichini di un grande magazzino, nero per le armi, che siano da fuoco o improprie (compresi portacenere e bottiglie di malto) e bianco per lo sfondo e l’ambientazione, di modo che gli altri due elementi risaltino meglio.
La fluidità, quando il giocatore deciderà di muoversi, è invidiabile, e la versione Xbox One da noi testata non ha lamentato deficienze rispetto a quella PC, lanciata lo scorso febbraio: se non vi secca giocare ad una versione iperfuturistica di uno sparatutto con poligoni grezzi a vista, allora apprezzerete lo stile inconfondibile e totalmente asservito al gameplay.
Distinguere i nemici e gli elementi utili a proseguire è questione di pochi secondi, e il caos a schermo che si materializza con la stragrande maggioranza dei congeneri attualmente sul mercato è solamente un vago ricordo.
Se c’è un difetto della produzione, questo risiede nella scarsa longevità della campagna principale, completabile in un lasso di tempo che varia tra le due e le tre ore: è pur vero, però, che al suo completamento si sbloccano centinaia di sfide speciali, ognuna con condizioni peculiari, e una modalità Endless che consentirà ai più coraggiosi di confrontarsi con ondate di nemici senza fine.
Questa offerta ludica, su PC, al costo di quindici euro, era più che sufficiente: lo diventa di meno alla luce del sovrapprezzo di questa versione console, ma, se ancora non si fosse capito, il gioco vale comunque la candela.
Commento finale
Come molti titoli indipendenti di successo, Superhot è soprattutto un’idea brillante magistralmente realizzata, un prodotto atipico e coraggioso che gioca con le convenzioni stabilite di due generi (o forse tre, perché ci sono molti elementi puzzle) per creare qualcosa di completamente inedito, merce rara nell’attuale panorama videoludico.
Il fatto che su Xbox One si sia costretti a pagarlo di più che su PC (nonostante non vi siano aggiunte rispetto a quella versione) e che la durata complessiva non è entusiasmante non detraggono nulla dalla totalizzante esperienza di gioco, che non possiamo che consigliare a tutti gli appassionati di FPS e/o di giochi a turni, dove pensare conta quanto agire.