Articolo di Claudio Consoli
Titolare un articolo in maniera sensazionalistica non è, normalmente, nelle mie corde, ma è davvero da tempo che aspettavo di mettere le mani su qualcosa videoludicamente degno d’essere provato con la realtà virtuale, e finalmente ce l’ho fatta, grazie all’invito di Halifax a provare il valido Adr1ft di 505 Games, con Oculus Rift.
Oltre vent’anni, scherzavo, perché la VR è qualcosa che sogno di veder concretizzata sin da ragazzino, dopo averla vista nei film e vissuta solo con periferiche tanto improbabili quanto poco efficaci. Io e Oculus ci siamo già incontrati in passato per tech demo più o meno interessanti, ma la prova di Adr1ft mi ha dato modo di farmi un’idea più chiara dell’insieme, e trarre già qualche personalissima conclusione. In questo articolo vi parlo quindi sia del feeling che ho avuto con la VR in se’ che, ovviamente, del buon titolo provato.
Liberi di fluttuare. Nel vuoto.
In Adr1ft ci troviamo nei panni, più precisamente nella tuta spaziale, di un astronauta alla “deriva”. La base spaziale che ci ospitava è completamente andata distrutta, per ragioni tutte da scoprire, lasciandoci senza memoria nel bel mezzo del nulla. Unici punti di riferimento, le macerie della base, ancora esplorabile, e in lontananza la Terra. Una vista che grazie alla VR regala vertiginose e coinvolgenti sensazioni. Scopo del gioco? Mentre nella primissima fase cerchiamo di fluttuare alla ricerca di bombole d’ossigeno per sopravvivere, e nel prosieguo del gioco risolviamo puzzle ambientali, dobbiamo cercare di scoprire cosa sia successo grazie a resti, registrazioni e documenti che troveremo in aree chiave dell’avventura. E magari sì, forse anche salvarci, se possibile.
Infilare sulla testa Oculus e partire con un gioco nel quale la gravità è pari a zero, facendo fatica a capire se si sta procedendo a testa in su o in giù, è un’esperienza tutta particolare. L’impatto generale è sicuramente apprezzabile e coinvolgente. Sul versante grafico e tecnico Adr1ft fa quello che deve, proponendo scenari essenziali nelle strutture -d’altra parte è una base spaziale, asettica per sua natura- ma colmi di oggetti studiati per dare tridimensionalità. Come avviene in film come Avatar, gli elementi sono volutamente studiati per stuzzicare l’effetto 3D e coinvolgere il giocatore, dalla nebbia di detriti costantemente presente, passando a stanze più colorate, con piante e fiori, fino a casse e persino bolle d’acqua attraverso le quali mi sono divertito ad osservare un’ulteriore alterazione visiva per qualche secondo. Buona parte di questi è composta da oggetti che è possibile colpire con un apposito tasto, apprezzando una fisica assolutamente credibile.
I comandi della tuta sono esattamente quelli che vi aspettereste, se vi trovaste alla guida di un’astronave o, in un certo senso, di un elicottero: possiamo muoverci nelle quattro direzioni, gestire l’inquadratura con l’analogico destro e salire, scendere o fare quello che su un aereo definiremmo rollio, usando i quattro tasti dorsali. Il movimento della nostra testa, rilevato da Oculus, permette invece di muovere virtualmente il capo all’interno del grosso casco trasparente, dando modo di osservare cosa avviene intorno, in maniera scollegata rispetto al cambio inquadratura via analogico, e al contempo di buttare un occhio ai vari indicatori presenti sull’HUD. Tali valori sono intelligentemente posti negli angoli del casco virtuale, proprio per obbligarci a sfruttare questa coinvolgente feature, ma al contempo mettendo in mostra il limite più evidente di Oculus, ovvero un campo visivo limitato a 100° che impone di spostare fisicamente la testa nei vari angoli, piuttosto che solo gli occhi come faremmo nel mondo reale. In basso destra troviamo il livello d’ossigeno, in costante calo a causa di una crepa sul vetro, che scorgiamo invece nella parte alta, e che anche una volta riparata tornerà a formarsi se sbatteremo troppo contro oggetti e scenario. Nell’angolo basso sinistro, abbiamo invece l’utilissimo radar oltre che un sensore che indica la nostra velocità, utile a capire quando slancio abbiamo guadagnato dai propulsori. Lo spostamento avviene infatti grazie a piccoli thrusters che consumano anch’essi ossigeno, pertanto prendere confidenza in fretta con l’inerzia diventa importante per evitare di abusare della propulsione e restare a secco a pochi centimetri da un’indispensabile bombola d’ossigeno. Non che a me non sia successo, nel mio unico decesso nell’arco dell’intera prova.
Dopo qualche minuto di gioco, avendo compreso come utilizzare tutti gli strumenti di gioco, la mia iniziale sensazione di “io speriamo che me la cavo” s’è trasformata in un’esplorazione consapevole dello scenario e, devo dire, anche in una più facile battaglia con l’immancabile motion sickness. La prova è durata un’ora circa, nella quale giusto un paio di volte ho avuto la sensazione che sarebbe stato meglio fare una pausa, perlopiù per situazioni in-game che, con l’esperienza, sono certo gli sviluppatori impareranno a gestire col tempo.
Se vomitassi in questa sfera di vetro, a gravità zero?
Se avessi dovuto scommettere sul fatto che sarei stato male o meno, avrei scommesso sul no. I parchi divertimento mi hanno fatto capire che nel limite del buonsenso, non sono un soggetto sensibile alla nausea. Certo, un po’ di dubbio l’ho avuto fino all’ultimo, considerando che se escludiamo i simulatori di rollercoaster, sulla carta Adr1ft m’era parso uno tra i titoli più provanti attualmente in commercio, in questo senso. Con una punta di arroganza immaginavo che, se avessi potuto avere problemi, li avrei avuti nei primi minuti di gioco, quando ancora ci si trova sospesi tra l’effetto wow ed il prendere in mano le redini dei controlli, fase che invece ho vissuto relativamente bene. La prima parte del gioco è infatti un tutorial che si svolge in una stanza sferica piena di oggetti svolazzanti, tra i quali un pallone che immancabilmente viene voglia di colpire. Lì si impara quale tasto fa cosa, ma nulla spiega al giocatore i trucchetti per evitare di star male: li ho imparati da solo, pian piano, nel corso della prova. Probabilmente si tratta di aspetti meramente soggettivi, ma ho compreso che, almeno per me, è stato essenziale trovare punti di riferimento, quali scritte ed indicazioni sui muri della base che mi permettessero di rimanere aggrappato al concetto di “testa in su”. L’unico momento di tentennamento è arrivato dopo circa venti minuti di gioco quando, per la prima volta, ho dovuto attivare un terminale. In quel caso, premendo l’apposito tasto sul gamepad, il controllo sul personaggio si perde per qualche istante, e si viene automaticamente avvicinati al terminale. Nulla di particolare, avviene in altre centinaia di giochi quando gli sviluppatori vogliono agevolare l’interazione con qualcosa di difficilmente raggiungibile o in movimento, ma quel momento nel quale non si è più al controllo del proprio corpo virtuale, e si viene spostati in maniera obbligata, mi ha quasi letteralmente steso, regalandomi una particolarissima sensazione di vuoto proprio sopra lo stomaco. Per un attimo ho immaginato di vomitare letteralmente nel casco spaziale, decretando la peggior morte Sci-Fi della storia, salvo ricordarmi che stavo indossando un visore, e che al limite avrei fatto una terribile figura con il PR. Per evitare il peggio ho dovuto socchiudere un attimo gli occhi. Il fatto stesso di aver necessitato di staccare per cinque minuti nel corso di un’ora di prova, nonostante sia più che abituato sessioni videoludiche da 8/10 ore senza quasi staccare lo sguardo dalla TV, ormai da una vita, vi offre un metro di paragone piuttosto valido.
Tutta questa serie di elementi mi ha fatto comprendere che anche in un soggetto con alto tasso di resistenza alla nausea da luna park come me, la motion sickness può colpire, e anche duramente, se in fase di sviluppo non si considerano anche gli aspetti apparentemente insignificanti, e se il giocatore non fa un giusto lavoro mentale all’interno del mondo virtuale. Abbandonarsi al piacere di possibilità fisiche altrimenti impossibili è la parte divertente del gioco, specialmente in titoli come Adr1ft, ma consiglierei di farlo sempre cercando dei riferimenti che aiutino a non perdere del tutto l’orientamento anche perché, comunque, il nostro corpo e’ lì seduto sulla sedia, e un po’ lo stiamo prendendo in giro.
Forse Adr1ft non è, in questo senso, il titolo migliore per entrare nella realtà virtuale per la prima volta. Probabilmente, una sezione iniziale nella quale abituarsi al virtuale, prima che la nave vada in frantumi, sarebbe stato utile. Oppure, semplicemente, abituarsi a giocare con un visore sul naso con generi un attimo meno vorticosi, potrebbe essere una saggia scelta prima di lanciarsi in un titolo che non è semplicemente a rischio nausea, ma che volutamente mette il giocatore nella condizione di essere disorientato, mettendogli fretta nel cercare ossigeno e quindi chiedendogli di muoversi velocemente nello spazio, pochi secondi dopo avergli insegnato come si faccia. Valutare l’eventuale nausea che si può provare in Adr1ft e attribuirla in assoluto alla VR o nello specifico ad Oculus, sarebbe come pretendere di giocare per la prima volta ad un gioco di guida simulativo, senza aiuti impostati, ed attribuire al gameplay il non riuscire a fare una curva decentemente, invece che partire da generi arcade o meno complessi ed imparare prima a dosare acceleratore e freno. Con questa premessa, diventa evidente che il titolo sia prettamente da giocarsi con visore, sia esso Oculus Rift o più avanti Vive e PlayStation VR, entrambe periferiche che avranno la propria versione ottimizzata in futuro. La sua disponibilità per PC in forma giocabile classica, senza visore, è una piacevole conferma, considerando anche il prezzo davvero budget dell’offerta, ma si tratta inevitabilmente di un’esperienza che perde quasi del tutto dei suoi pregi principali.
Conclusioni
Ho apprezzato moltissimo l’esperienza VR offerta da Adr1ft. La mia impressione è che il titolo si inserisca nella categoria di giochi sviluppati per giocatori meno sensibili, o che abbiano già macinato qualche ora nella VR. Certamente, un’esperienza immancabile per chi abbia investito su un visore, nonostante un gameplay piuttosto basilare. Le potenzialità della VR nelle mani di sviluppatori capaci come 505 Games sono altissime, a patto che venga posta particolare attenzione anche ai dettagli e nonostante quello che continuo a ritenere il punto debole di questa prima generazione di visori, ovvero un campo visivo limitato, che non permette il totale coinvolgimento che darebbe una visione a 180 gradi. Ma forse, per adesso, è meglio così.