Articolo a cura di Gianluca “DottorKillex”Arena
Eccoci giunti alla terza puntata del nuovo anno per Backlog, rubrica tesa a ricordare ad ogni giocatore che, per un gioco entusiasmante in uscita, ce ne sono due (se non tre) che ci si è persi per strada, per un’accoglienza fredda da parte della critica, preconcetti personali o, semplicemente, mancanza di tempo.
Il tempo sa essere gentiluomo, però, e non è mai troppo tardi per recuperare, spesso con costi minimi, i più meritevoli tra i giochi che abbiamo lasciato indietro: una volta a settimana, allora, analizzeremo titoli dimenticati troppo in fretta, che invece meritano di intrattenerci per qualche ora.
Oggi dedicheremo le luci della ribalta ad un titolo sì apprezzato, ma considerato dai più come il fratello minore di quel Fallout 3 che ha spopolato nel 2008: Fallout: New Vegas.
War. War never changes.
Dopo anni di attesa, all’alba del 2008 milioni di fan riuscirono, finalmente, a mettere le mani sul seguito di una delle saghe più amate di tutti i tempi, quella di Fallout, sebbene la nuova incarnazione, passata sotto l’ala protettiva di Bethesda, mantenesse solo alcuni degli elementi che avevano fatto grandi i primi due capitoli, originariamente pubblicati su PC.
Il titolo, nonostante si prese la responsabilità di rompere molti ponti con il passato, fu generalmente molto ben accolto, grazie anche ad una stupefacente campagna di contenuti scaricabili successivi al lancio, che allungarono ed impreziosirono l’esperienza di gioco.
Fallout: New Vegas giunse, due anni dopo, su un mercato ancora ebbro delle scorribande lungo la zona contaminata, e, mantenendo lo stesso motore grafico e la stessa impostazione generale, fu visto dai più come un mero cash-in, mirato a massimizzare i profitti e a sfruttare la scia del titolo che lo aveva preceduto.
Ad uno sguardo poco attento, infatti, i due giochi sembrano identici, campioni di ossimori: la straordinaria libertà di esplorazione, marchio distintivo dei giochi made in Bethesda, veniva controbilanciata da un’esperienza di gioco tutt’altro che scevra da bug e debolezze assortite del codice, un ottimo sistema di combattimento a turni si alternava a caotici e poco soddisfacenti fasi in tempo reale, e, soprattutto, un motore grafico con qualche anno di troppo sulle spalle (quel Gamebryo che aveva mosso anche il quarto episodio della saga di The Elder Scrolls, Oblivion) toglieva lustro alla produzione,
Invece, dopo aver speso centinaia di ore equamente divise tra i due titoli, emergono due anime diverse oltre alle innegabili affinità, con la conclusione che i due Fallout sono più cugini che fratelli: laddove il lavoro di Bethesda si configura, probabilmente, come una migliore esperienza di gioco in senso assoluto, quello Obsidian si lascia sicuramente preferire come gioco di ruolo, per una serie di motivi che andremo ad evidenziare.
Ciò che li accomuna, oltre ad una tonnellata di bug, è il grado di immersione in un mondo vivo, pulsante, coerente e tremendamente ispirato.
In Fallout:New Vegas non vestiremo i panni di un prescelto uscito da un Vault all’alba di una nuova era per i resti dell’umanità, ma quelli di un povero diavolo qualunque, che sceglie il lavoro di corriere per sbarcare il lunario in un mondo post apocalittico e, suo malgrado, si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Seguirà una storia di vendetta delle più classiche, che guadagna in personalità e profondità ciò che, inevitabilmente, perde in originalità.
Total freedom
La ventata di novità e l’emozione che gli appassionati della saga provarono nel 2008 sono ovviamente assenti in New Vegas, che, per sua stessa natura, risulta decisamente derivativo in molte sue componenti, dalla gestione dell’inventario al sistema di combattimento, dal bestiario in cui ci imbatteremo durante le nostre peregrinazioni a molte delle ambientazioni.
Eppure una serie di elementi, apparentemente secondari, dona maggiore profondità e maggiore peso alle scelte del giocatore, fino a fare dell’episodio Obsidian un gioco di ruolo più compiuto di quello orchestrato da Bethesda: si va dalla gestione del proprio compagno di viaggio alla possibilità di modificare armi e proiettili, dall’introduzione della modalità Duro a quella delle fazioni, senza contare la presenza di quattro finali diversi, che favoriscono la rigiocabilità.
Se nel capitolo del 2008 si poteva interagire con il nostro aiutante solo tramite ripetitive finestre di dialogo, l’introduzione di una ruota per gestirne più facilmente lo zaino e l’atteggiamento in battaglia risultano assai intuitive, e rendono il nostro compagno di viaggio un alleato prezioso, che generalmente si muove in maniera più sensata rispetto al passato.
New Vegas vede anche un sostanziale ri-bilanciamento del loot, che adesso si rivela molto più povero in termini di nuove armi rinvenute (DLC a parte), così da favorire la modifica di quelle già in possesso del giocatore e l’utilizzo di proiettili speciali, diversi per ogni tipo di nemico affrontato: ogni arma, peraltro, gode di due diversi parametri (danno e danno per secondo), che si applicano, rispettivamente, ai nemici corazzati e a quelli che invece attaccano con armature leggere o addirittura senza (come umani nudi o animali).
Le fazioni e la modalità Duro sono, a mio parere, le due introduzioni più significative, che maggiormente diversificano il gameplay dei due titoli e li rendono, seppure diversi, entrambi assolutamente imperdibili.
Le prime riportano ai due episodi pubblicati da Interplay, e costringono il giocatore a pesare con il bilancino ogni azione in game, così come a prestare attenzione al proprio abbigliamento e all’allineamento: diverse zone del Mojave sono controllate da diversi gruppi di potere, molto spesso in contrasto tra loro, così che, durante i nostri viaggi, sia costante la sensazione di muoversi in un mondo vivo, che reagisce alle nostre azioni e ci presenti le conseguenze delle nostre scelte.
In altre parole, indossare un’armatura di fazione dell’RNC (Repubblica della Nuova California) in una zona controllata dalla Legione (schiavisti ispirati all’Impero Romano) equivale a farsi sparare addosso a vista, e schierarsi con la Confraternita d’Acciaio potrebbe inibire al giocatore l’intera questline dei Seguaci dell’Apocalisse.
In ultimo, in risposta alle accuse di eccessive semplificazioni e impoverimento delle meccaniche da gdr che erano state rivolte al terzo episodio, ecco la modalità Duro, che introduce il bisogno di dormire, nutrirsi, curarsi dalle radiazioni e tante altre necessità ovvie, che conducono però ad un’esperienza di gioco davvero survival, che si configura come un simulatore di sopravvivenza piuttosto che come un open world a forti tinte esplorative.
Rigiocare Fallout: New Vegas in questa modalità rappresenta un’esperienza del tutto nuova, dalla difficoltà punitiva ma anche dall’irresistibile fascino.
Prezzo e reperibilità
Nonostante siano passati quasi cinque anni dal lancio europeo del gioco, la reperibilità è più che buona, sia che cerchiate una copia nuova sia che vi accontentiate di una usata: il consiglio è quello di optare per la versione PC, che, grazie ad una comunità attivissima, può contare su un’infinità di mod e su un comparto grafico generalmente superiore a quelle Xbox 360 e PS3, per non parlare del prezzo inferiore.
Rimanendo in ambito console, invece, serviranno poco meno di venti euro per portarvi a casa la versione base, e circa cinque – sei in più per far vostra la Ultimate Edition, che comprende anche i quattro contenuti scaricabili rilasciati nel corso del 2011 (Honest Hearts, Dead Money, Old World Blues e Lonesome Road) che, pur in un’alternanza qualitativa, assicurano almeno una trentina di ore di gioco supplementari.
Nessuna speranza, a meno di non rivolgersi a privati ed essere pronti a sborsare ben oltre cento euro, per la lussuosa Limited Edition che accompagnò il lancio europeo, con tanto di carte da gioco che richiamano le attività che potrete intraprendere una volta giunti a New Vegas, la versione post apocalittica della città del gioco del Nevada.
Commento finale
Nonostante recensioni generalmente positive, troppe volte Fallout:New Vegas non è riuscito ad uscire dall’ingombrante ombra del terzo capitolo, tacciato di essere semplicemente un more of the same che non è riuscito a risolvere i problemi che affliggevano il prodotto Bethesda, da animazioni legnose a frequenti bug, passando per una storyline troppo diluita durante le decine di ore di gioco offerte.
A posteriori, invece, il titolo Obsidian si rivela valido almeno quanto il suo predecessore, grazie al ritorno a dinamiche più tipicamente da gioco di ruolo e all’aumentato livello di sfida offerto dalla modalità Duro: se non l’avete ancora recuperato, pensandolo magari un semplice clone di Fallout 3, c’è tutto il tempo di rimediare.