Articolo di Valerio De Vittorio
La sfida Activision ed Electronic Arts continua quest’anno, anche se il colosso americano non affretta fortunatamente i tempi con il suo cavallo di razza Battlefield, temporaneamente sostituito sul campo di battaglia pre-natalizio da Medal of Honor: Warfighter. La serie di Danger Close prosegue sulla linea tracciata dal reboot lanciato due anni fa, con alterni riscontri. L’obiettivo è proporre un’interpretazione più viva ed emozionalmente intensa rispetto alle classiche sparatorie su monorotaia tanto amate ed odiate di Call of Duty, perché la storia di alcuni soldati faccia riflettere il giocatore sugli orrori della guerra.
Sceneggiatori in vacanza
La trama di Medal of Honor: Warfighter non stupisce particolarmente nella premessa, proponendo il classico conflitto su scala globale tra spietati terroristi, i cui propositi ci sono tutt’ora oscuri, e forze militari di diverse nazioni. Il gioco vorrebbe provare ad avere una storia, inframmezzando l’azione con diverse cut-scene che dovrebbero coinvolgere il giocatore nelle vicende personali di alcuni protagonisti. Di uno di loro ci vengono mostrate la moglie e la figlia, probabilmente per farci sentire il difficile equilibrio tra l’essere un soldato, totalmente devoto alla propria patria, ed allo stesso tempo un padre ed un marito. Peccato che la sceneggiatura oltre a fare acqua da tutte le parti, rimanendo poco comprensibile per la maggior parte del tempo, propone dei dialoghi che sembrano stati scritti da un ragazzino. Con poca fantasia. Il “villain” non risolleva la triste sorte di questa trama raffazzonata, rappresentando lo stereotipo di straniero cattivo perché sì. Un peccato davvero che il reboot di questa storica serie abbia già perso una delle cose più interessanti proposte, visto che il capitolo di due anni fa riusciva realmente in certi momenti a coinvolgere con situazioni drammatiche e protagonisti che non sembravano per una volta tutti figli di Rambo. Danger Close invece di sviluppare questo spunto che contribuiva a dare a Medal of Honor una personalità propria, ha preferito (o gli è stato consigliato di preferire) un approccio più canonico, similare a qualsiasi shooter generico figlio del successo dei vari Modern Warfare. A questo punto preferiremmo un ritorno alla Seconda Guerra Mondiale, se non altro perché la serie possa differenziarsi in qualche modo dalla concorrenza. Un’ultima nota sul setting scelto, che vede un susseguirsi di scenari di guerra ispirati a luoghi realmente esistenti, i quali risultano del tutto anonimi e sanno di già visto.
Copia e incolla?
“Voglio comprare Warfighter per sparare e divertirmi, della storia me ne importa meno di zero” potreste pensare, giustamente. Il titolo EA non vi riserverà particolari sorprese, proponendo nella campagna singolo giocatore il classico repertorio di sparatorie, corse da copertura a copertura, fasi stealth in notturna, alcune fasi su mezzi (quelle in auto particolarmente divertenti, bisogna ammetterlo), puntamenti laser per richiamare il supporto aereo e diverse irruzioni. Moltissime irruzioni! Di fatti una delle peculiarità di Warfighter è rappresentata dai “breach” . Nel gioco sviluppato dai Danger Close sfonderete porte ogni due per tre, con tanto di menu semicircolare dal quale selezionare in che modalità distruggere la serratura, sbloccabili ogni volta che metterete in fila 4 headshot non appena fatta irruzione. E’ abbastanza intuitivo come basare uno degli elementi distintivi su questi momenti, tipicamente presenti in altri titoli giusto un paio di volte per alzare la tensione e spezzare la monotonia delle sparatorie, non sia minimamente sufficiente per dare al gioco una personalità propria. Peggio ancora, all’ennesima porta da sfondare, desidererete l’implementazione di un tasto per saltare la sequenza e tornare a riempire di piombo anonimi terroristi.
Nella sparatorie si intravede un barlume di potenzialità strategiche, date dalla possiblità di agganciarsi ad una copertura per sporgersi, anche di lato o la scivolata in corsa, già vista nel predecessore. Peccato che l’intelligenza artificiale e le situazioni proposte siano piatte e anonime, incapaci di scatenare il desiderio di applicare una qualunque tattica. Le armi presenti sono le solite, gli avversari unicamente capaci di fare da bersaglio mobile, ed i compagni di squadra di attirare a sé parte del fuoco avversario. La mancanza di cura nel tratteggiare qualche personaggio di spalla valido, non aiuta a creare un feeling con gli altri soldati, elemento che nel precedente Medal of Honor faceva invece capolino in alcune situazioni particolarmente tese. Ci era stato promesso che Warfighter ci avrebbe fatto assaporare l’orrore della guerra ed il dramma di essere un soldato in battaglia, ma nella campagna che abbiamo giocato non vi è traccia di emozione alcuna.
Alla fine della corsa, che vi terrà impegnati poco più di cinque ore, avrete affrontato situazioni già note, visitato luoghi già visti ed eliminato nemici identici a quelli di qualunque altro shooter medio uscito negli ultimi anni. Non che altri giochi del genere, tra cui gli stessi tre Modern Warfare, abbiano brillato per originalità, ma quanto meno le loro campagna sono ben orchestrate, dense di momenti spettacolari, capaci di tenere il tasso d’adrenalina sempre elevato. Warfighter copia e lo fa pure senza particolare impegno.
Per fortuna che c’è l’online salva-tutto
Solitamente ad affiancare una campagna per i giocatori solitari, gli FPS bellici odierni offrono una componente online valida e ricca di modalità. Il nuovo Medal of Honor ci risolleva dalla forte delusione con un menu più che sufficiente e messo insieme con competenza. In mezzo ad un pacchetto che comunque sa decisamente di già visto, vi è un elemento distintivo non solo interessante, ma anche divertente ed efficace; il sistema “Fire Team”. In pratica, all’interno di una squadra, ogni giocatore sarà accoppiato ad un altro, così che potranno offrirsi benefici a vicenda. Ad esempio in caso di morte, il compagno farà da spawn point, ci si potrà fornire energia e munizioni e si acquisiranno punti per l’operato di entrambi. Il risultato è un affiatamento anche tra perfetti sconosciuti che si incontrano per la prima volta su di un server, finora praticamente inedito per il genere, dando alla componente online di Warfighter un valore aggiunto decisamente valido. Peccato che il resto dell’offerta non goda della medesima personalità, fornendo il battlelog implementato direttamente nel gioco e pochi altri spunti di interesse come la personalizzazione del proprio profilo. Visto quanto proporrà il nuovo Black Ops, con decine di modalità, perks, personalizzazioni e gli Zombie, il titolo Danger Close purtroppo non avrà vita facile nelle settimane a venire. Ciò nonostante la componente online rimane valida e permette al titolo di ottenere una valutazione quanto meno sufficiente.
Medal of Honor: Warfighter è piuttosto mediocre anche nel comparto tecnico, purtroppo. Gli svluppatori abbandonano l’Unreal Engine in favore del Frostbite 2.0 di DICE con tanto di texture HD da installare nel caso della versione Xbox 360, ma il risultato è una grafica poco accattivante, che propone scenografie banali, povere di dettagli, nonostante la presenza di diversi elementi in movimento; che siano fronde mosse dal vento, piuttosto che una pioggia battente. Inoltre bordi sgranati, effetti grafici e filtri in bassa risoluzione, sporcano l’immagine, restituendo una resa scarsamente d’impatto. Buono l’audio, con esplosioni e spari assortiti gradevoli e musiche adeguate. Da citare la lunga lista di bug, grafici e non, solo in parte risolti dalla ptach, disponibile al “day one”. Questo avvalora l’idea che Warfighter sia un titolo fatto uscire di fretta, tagliando già in partenza qualunque possibilità di offrire un prodotto solido, divertente e rifinito.
Commento finale
Se anche Activision ha deciso di cambiare setting, spostandosi nel futuro, e di rivedere alcuni dei capisaldi del proprio blockbuster annuale, forse è perché la formula è ormai stantia e priva di mordente. Ma purtroppo il vero problema di Warfighter non è tanto la mancanza di originalità, quanto piuttosto un’esecuzione approssimativa che risulta in una campagna singolo giocatore scollegata e poco appasionante, ed un multiplayer solo competente ma che non potrà offrire niente di lontanamente paragonabile ad altri concorrenti o allo stesso Battlefield 3. Se cercate una trama che vi appassioni con i drammi dei militari, Spec Ops: The Line, in terza persona quindi di genere leggermente diverso, è decisamente più coinvolgente del lavoro Danger Close. Se preferite la spettacolarità e l’azione alla Rambo sapete già a quale serie rivolgervi. Volete invece divertirvi con un online ricco ed appassionante? Tra i vari Call of Duty (in particolare il prossimo Black Ops 2), Battlefield 3 o persino l’ormai imminente Halo 4, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ci rammarica ammetterlo, ma il reboot di Medal of Honor dopo un inizio forse non folgorante ma comunque valido come punto di partenza, ha già perso la propria identità, risultando in un prodotto più assimilabile a titoli dal budget limitato.